Mafia Capitale – Il Pd fa quadrato intorno a Zingaretti. Il silenzio di Renzi e i suoi

ANDREA CARUGATI per L’HUFFINGTONPOST

Questa volta il Pd fa quadrato. Nessun distinguo, nessuna smagliatura, nessuna parola che non testimoni fiducia e solidarietà nel presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Alla sede della regione lo stillicidio di dichiarazioni dell’indagato Salvatore Buzzi, ex patron delle coop sociali nella Capitale, pesano però come macigni. Anche perché, rileva più di un esponente Pd, “purtroppo siamo solo all’inizio, rischiamo che per tutta l’estate i giornali pubblichino il fango di Buzzi, che cerca di schivare l’accusa di mafia sostenendo che è stato costretto a pagare”. Di qui forse la prudenza dei big democratici. Perché è vero che ci sono solo parole di solidarietà. Però pesano anche alcuni silenzi. Non solo quello del premier, ma anche quelli degli uomini a lui più vicini: i Guerini, Serracchiani, i parlamentari del giglio magico. Tutti in silenzio. Eppure tutti abituati a partire con dichiarazioni a raffica non appena arriva un input da palazzo Chigi.

Tocca al solito Matteo Orfini, ormai plenipotenziario Pd per tutte le vicende del Lazio, soccorrere subito il governatore, dopo la lettura dei giornali con le accuse di Buzzi. “La macchina del fango di un indagato per mafia non fermerà l’impegno di Zingaretti per il buon governo, la trasparenza e la legalità”, twitta il presidente Pd, riprendendo la formula già usata dallo stesso governatore, che ha querelato Buzzi e spiega in un lungo post su Facebook la sua versione dei fatti: “Non esistono e non sono mai esistite spartizioni di nessun tipo. In due anni e mezzo di presidenza della Regione con oltre 4 miliardi di bandi assegnati, le cooperative legate a Mafia capitale non hanno preso un centesimo. Non appena abbiamo avuto percezione di una possibile infiltrazione nel bando Cup, lo abbiamo immediatamente sospeso e ripresentato in collaborazione con l’Anac di Raffaele Cantone”. “Lo stesso Buzzi ammette con i pm che si potrebbe trattare di cialtronerie, di chiacchiericcio, di falsità. Siamo alla delazione per sentito dire”, accusa Zingaretti. “Non posso più accettare di essere vittima della macchina del fango. Non posso più accettare menzogne e bugie che tentano di delegittimarmi pubblicamente. Ne va del mio nome e soprattutto dell’enorme lavoro di pulizia, trasparenza e buon governo che in meno di tre anni siamo riusciti a realizzare alla Regione Lazio. E che forse dà fastidio a molti”.

Il governatore grida il suo “non ci sto”. Già sabato scorso, dopo le prime indiscrezioni sui verbali di Buzzi, aveva parlato di un “rischio di impraticabilità di campo per chi sta provando con dedizione e onestà a cambiare le cose”. Ora il clima e i ragionamenti nel cerchio stretto di Zingaretti sono ancora più cupi: “Non si può governare in un clima di fango e veleni come questo, sarebbe impossibile per chiunque. Già è difficile per la crisi e la scarsità delle risorse, in questo clima diventa impossibile”. Parole che fanno pensare alla tentazione di un passo indietro. Chi ha parlato con il governatore assicura che lui non intende “farsi logorare come Marino”. O resistere a dispetto dei santi. “Il nostro lavoro di pulizia e trasparenza dà fastidio a molti”, mette nero su bianco in un duro post su Facebook. Un messaggio “urbi et orbi”, che ha come destinatari, evidentemente, anche i vertici del Pd. Nessuna ipotesi di dimissioni, però. “Non esiste”, dice il suo portavoce.

I dem che parlano difendono tutti il buon governo della Regione. Ma, a parte Orfini, manca la voce dei big. “Deve andare avanti nel suo impegno di governatore. Non possono essere le parole di un indagato per mafia a mettere in discussione il buon governo della giunta”, scrivono in una nota i dieci senatori dem eletti nel Lazio. “Sciacallaggio mediatico”, tuona Riccardo Valentini, capogruppo Pd in regione, che ricorda il lavoro fatto per risanare i conti della sanità e ridurre il numero delle partecipate. “Il Pd è orgoglioso di un lavoro che ha restituito alla nostra regione una dignità troppe volte perduta”, dice il segretario del Pd Lazio Fabio Melilli. “Di questo lavoro il partito è orgoglioso”. Piena solidarietà anche da Sel, con cui in regione l’asse è ancora solido: “Avanti con Nicola Zingaretti per il buon governo. Non saranno questi personaggi a fermarci con fango, falsità e accuse per sentito dire”, dice il vicepresidente Massimiliano Smeriglio. Con lui tutto il partito di Sel nel Lazio.

Resta però un grande punto interrogativo. Quanto durerà lo stillicidio di accuse di Buzzi? E soprattutto: fino a quando Zingaretti deciderà di sopportare questo fango? Dubbi che si uniscono, dentro il Pd, ai sospetti su chi possa esserci “dietro questa campagna”. Renzi finora non ha messo bocca sulle vicende della Regione Lazio. Ma in nessuna occasione i suoi strali si sono rivolti verso il governatore, con cui pure non mancano le divergenze politiche, a partire dalle tasse locali. Ma non solo, visto che in più occasioni il nome del governatore è stato citato come possibile sfidante del segretario al congresso Pd previsto per il 2017. Il premier tace, e così il suo entourage. Eppure molti interpretano il grido di dolore del governatore anche come una richiesta di sostegno più esplicito. Diretta ai vertici del Pd e a palazzo Chigi. Dove, almeno per ora, prevale una linea di cautela: nessun assalto alla diligenza come nel caso di Marino in Campidoglio, ma neppure la volontà di “metterci la faccia”. Prima si attende che si plachi il diluvio di brogliacci di Buzzi, per capire fino a che punto spingersi. “Non dimentichiamo l’inchiesta ha già toccato due persone molto vicine a Zingaretti, come l’ex capo di gabinetto Venafro e l’ex capogruppo in Comune D’Ausilio”, spiega un deputato renziano. “La cautela è d’obbligo…”.