E Dio disse: “don Dino, prendi colla e colori, togli i bimbi dalla strada”

Prete giovanissimo: "e solo felice". Mandato in una parrocchia di frontiera: "Presi colla e colori per togliere i bimbi dalla strada. La Playstation? Una scusa per non stare vicino a loro". Don Dino Mazzoli: la vocazione, la via, la Fede. Il male? "L'ho incontrato è facile da fare. Il bene? Più facile ancora"

Parla con Dio, ma anche con gli uomini. Con il primo per fede, con gli altri per missione. Per la sua missione si è ritrovato in un luogo di frontiera: anche se era a due passi da casa; ma dopotutto san Filippo Nero consigliava ai missionari in partenza per il Katai di fare tappa a Prima Porta appena fuori Roma, perchè il Katai l’avrebbero trovato lì. Come Filippo ha cominciato a far giocare i bambini perché non sapeva come toglierli dalla strada. C’è riuscito così bene che lo hanno chiamato a replicare quei giochi anche in tv, su palcoscenici nazionali. Non ha l’aspetto del Giullare di Dio ma fa il pieno ogni volta che si mette a predicare. Benvenuto a don Dino Mazzoli. 

don Dino Mazzoli

Don Dino, quando ha incontrato Dio? 

Ho iniziato il cammino quando ero giovane: avevo 18 anni. Ho iniziato per un senso della ricerca che mi è sempre appartenuto, questo bisogno di trovare qualche cosa che mi rendesse veramente felice. Ero contento, non ho avuto una vita particolarmente triste. Ero felice ma mi mancava quella dimensione che mi redesse veramente tale. Ecco, oggi posso dire di essere veramente felice“. 

Siamo tutti alla ricerca di qualche cosa? 

Sicuramente, la vita è il cammino della ricerca per eccellenza. Si parte, si nasce con il desiderio e la voglia di ricercare. Però ad un certo punto bisogna anche fermarsi. San Tommaso diceva: ‘Cerchiamo come coloro che devono trovare e troviamo come coloro che devono cercare ancora‘. È il senso eterno della ricerca“. 

Come l’ha trovata questa pace, don Dino? Perché ha tanti modi di manifestarsi: come il Quo Vadis, come sul Lago Tiberiade, come la cavalcata verso Damasco… 

La vocazione di ognuno è personale. E’ bello rileggerla in quello che il Vangelo ci propone. Nella chiamata di Pietro ci ho rivisto la mia. Nella conversione di San Paolo anche. Nella chiamata dei discepoli ho rivisto la mia. È bello saperla rileggere veramente in tanti momenti“. 

Com’è fatta la chiamata? Perché non è che squilla il telefono, o arriva una mail, oppure la cartolina di precetto che usava come quando si andava a fare il servizio militare.
don Dino Mazzoli novizio

È semplicemente la risposta a qualcosa a cui siamo indubbiamente chiamati. Quindi non potevo non farlo. Non è una strada che ad un certo punto finisce a cono e ti costringe ad andare verso una direzione. È qualcosa che si apre. La chiamata è apertura, perché nel momento in cui tu ti apri, vivi veramente la tua vocazione. Altrimenti la tua vocazione è qualcosa che realizza semplicemente te stesso. Quando una vocazione nasce da questo lascia un po’ il tempo che trova“. 

Il primo ostacolo, in genere, è la famiglia. Anche nel suo caso?

Sicuramente, la famiglia è il primo ostacolo. Nel mio caso lo è stata. I miei genitori non erano particolarmente felici. Adesso posso dire il contrario perché sono orgogliosi, sono felicissimi. Si pensa sempre che sia una scelta di vita in cui si va a perdere, una vita in cui si vivono delle mancanze. Io posso dire l’opposto adesso, e loro sanno semplicemente che è così”.

Don Antonio Mazzi, in questi studi qualche anno fa disse ‘alla fine mi sono detto ‘Che bisogno ho di una famiglia se così posso essere il papà, il fratello di tutti?”

Ora non ho una sola famiglia, ne ho migliaia che devo custodire; non ho dei figli ma ne ho centinaia che ogni giorno si rivolgono alla parrocchia. Non ho una persona con cui condividere, ma ho tanti amici che mi danno la possibilità. E questo non viene a riempire o colmare una solitudine, non è un palliativo, ma è realizzare qulche cosa per cui si è chiamati e per cui si è veramente predestinati. Ed è bello quando una persona prende coscienza di tutto questo”

Fare il sacerdote è una scelta di solitudine?

Bisogna essere predisposti ad una scelta celibataria: non mi piace mai dire ‘ho scelto la solitudine’, perché fondamentalmente non sono mai solo, anzi. Però sento certe volte il bisogno di essere veramente solo e di ritirarmi in quella dimensione dove posso veramente incontrare Dio“.

Il calo delle vocazioni è legato al fatto forse che stiamo troppo bene, che soffriamo poco? 

Non sono completamente d’accordo. È un po’ quasi rivedere quelle vocazioni del passato che lasciavano un po’ il tempo che trovavano. La fame dettava anche delle scelte radicali. Quindi quelle vocazioni – forse, non sta a noi giudicarle naturalmente – erano delle vocazioni strutturate da un bisogno, anche di un riscatto sociale; perché il sacerdote era un qualche cosa che aveva un ruolo, era un qualcuno che aveva una una situazione da da poter proporre. Oggi no, oggi non c’è questa esigenza ed a maggior ragione le vocazioni penso che siamo più autentiche. A maggior ragione quelle poche vocazioni che abbiamo sono però autentiche, reali, concrete, perché veramente partono da un concreto bisogno di Dio“.

don Dino Mazzoli a Frosinone
Celebre la battuta dello ‘State buoni si potete‘. Filippo Neri parla con Ignazio di Loyola che benedice i giovani in partenza per la missione e dice a padre Ignazio: ‘Dite a questi due missionari che mentre vanno verso il Katai, si fermassero un attimo a Prima Porta e dessero un’occhiata: è pieno di porstitute e ragazzini. Il Catai volendo è dietro casa’. Lei il Catai lo ha trovato dietro casa? 

Io l’ho trovato nelle comunità che il Signore mi ha dato da vivere. Vengo da una realtà difficile che era quella di Frosinone, quella di Selvapiana, quindi che ha avuto i suoi limiti, i suoi i suoi problemi. Tante volte qualcuno ha fatto fatto finta che non ci fossero e di nasconderli; però la parrocchia ha tentato sempre di abbracciare anche le situazioni più disparate nella misura in cui poteva. Non abbiamo potuto fare miracoli, sicuramente avremmo potuto fare molto molto molto di più, e mi auguro che i miei successori lo facciano“. 

Dicono che la passione per i giochi e l’Art Attack siano nati per tenere impegnati i ragazzini del quartiere di evitargli le tentazioni… 

Io questa passione ce l’avevo dentro, la creatività fa parte della mia vita, fa parte della mia vocazione; io non posso pensare alla mia vocazione senza la creatività. Quindi non è un qualche cosa che mi sono costruito ad hoc, per per la mia vita e per una per una comunità. Ma me la sono ritrovata addosso perché mi appartiene semplicemente e ho cercato di portare quello che sono, quello che semplicemente so fare, in un contesto un pochino problematico. Questa cosa ha funzionato; ho visto negli anni che che la creatività è un bisogno dell’uomo, veramente l’uomo ha bisogno di creatività”.

Dicono che oggi i bambini vivano di smartphone e Playstation

Tanti in questi tempi mi dicevano ‘Ma no! Ma i bambini hanno altre preferenze, oggi hanno hanno i giochi elettronici hanno tutte quelle nuove dimensioni’. Invece mi sono reso conto che nel momento in cui dai dei fogli, della carta e della colla ci possono perdere anche due ore. E lì c’è un lavoro da fare: se io non investo tempo e forze è naturale che con i bambini poi… è più semplice metterli davanti ad un videogioco“. 

E oltre alla carta, oltre la colla gli ha dato pure una serie di materiali riciclati con i quali fate i presepi… 
don Dino Mazzoli sul set di Din Don Art

“È normale che tutto questo passi anche attraverso attraverso il discorso delle sostenibilità…” 

Presepi interamente di cartone… 

Ne abbiamo fatti tantissimi, ne abbiamo fatto uno tutto di cartoni riciclati molto molto bello. Uno con le bottiglie di plastica, circa 10.000 bottiglie… ricordo la parrocchia invasa dalla plastica. Era anche un modo di dire ‘Abbiamo un qualche cosa da costruire, facciamolo con quello che abbiamo. Non abbiamo risorse? Fa niente, abbiamo la creatività, abbiamo le forze, abbiamo il materiale umano; è quella la cosa più bella”.

Si è lanciato anche su Facebook: foto, dirette, video, con un vescovo che ha ricordato sull’altare che però su Facebook si può commetere peccato…

I social sono una dimensione che ormai ci appartiene, ci aiuta, nella misura in cui noi li utilizziamo. Diventare schiavi dei social è semplicissimo, perché si diventa dipendenti di quel like, di quel ‘mi segue’, di quelle dinamiche che conosciamo. Diventa quell’arma a doppio taglio in cui essere spietati, in cui calunniare, in cui distruggere, disprezzare. E quando un social diventa questo per me non ha più una funzione. Quindi io da lì mi discosto, non mi troverete mai su Facebook a fare una polemica. Io i social li sfrutto, ne utilizzo la potenzialità, per arrivare in maniera immediata. I social sono semplicemente questo, una vetrina su cui proporre una cosa immediata e su cui poi lavorare“. 

E’ un modo per dire che è banale fare del male? Cioè si riesce a fare del male in maniera molto molto semplice? 

Questo è il limite della tecnologia: si riesce a fare del male in maniera veramente semplice e tante volte in maniera gratuita veramente mirata. Quindi diventa anche un ‘gioco a distruggersi’ poi, perché tante cose vengono amplificate“.

Cos’è il male? E don Dino la ha incontrato, il male? 
don Dino Mazzoli, quando tutto il mondo si mette a tavola

Il male è sicuramente la proiezione cosciente a non fare il bene. Il male sono tutte quelle relatà che dividono. La parola diavolo ha proprio queste origine, che è il ‘diaballos’, cioé colui che divide. Il diavolo che cosa fa? Semplicemente divide, non mette in opposizione ma divide, crea un taglio netto nelle situazioni. Quando una comunità è divisa in quella comunità si vive male, quando due persone sono divise sicuramente giocheranno al gioco del male. Si, il male l’abbiamo incontrato tutti nella nostra vita, e tante volte si camuffa con una maschera di bellezza, una maschera di promessa, una maschera di allusione. Il male ha tante maschere, però bisogna avere anche il coraggio di riconoscerlo. Tante volte non sono l’astuzia o l’abilità a riconoscerlo, ma averne il coraggio. E’ un fatto di coraggio, riconoscere il male e allontanarsi…” 

E il bene, che cos’è? Anche il bene è facile da fare? 

Il bene è molto più semplice da fare. Perché per fare il male bisogna essere veramente preparati; bisogna strutturarlo, pensarlo e avere veramente una mente a parte. Il bene è semplicemente vedere negli altri la felicità. Quando io negli altri riesco a leggere quella felicità per una cosa che ho portato nella loro vita, in quel momento sto facendo il bene, sto creando una situazione bella“. 

Il suo vescovo ha detto che mancare di rispetto verso la Terra è mancare di rispetto verso Dio, è peccato. Esagerato? 

No, non è esagerato. Su questo mi si trova fortemente convinto. Disprezzare quello che abbiamo, quello che il Signore ci ha donato quotidianamente è bestemmiare

Uno dei grandi peccati di questa epoca – ha detto sempre il suo vescovo – è lasciare la gente sola. 
don Dino Mazzoli

È quello che dicevamo all’inizio. Filippo Neri ha detto: ‘Guardate la vostra missione nella vostra terra”. Tante volte noi pensiamo che possiamo fare del bene chissà dove, chissà come, senza renderci conto che i soggetti che hanno bisogno di quel bene immediato ce li abbiamo affianco. Sono sono i nostri genitori, sono i nostri anziani, sono i nostri vicini. Io ho vissuto l’esperienza e visto la solitudine vera nella città quando andavi a benedire le case e il piano di sopra non conosceva il piano di sotto; persone che abitano lì da 20-30 anni che non sanno come si chiamano gli altri, se hanno bisogno di qualcosa, se vivono una situazione di indigenza, niente. Quella è la vera solitudine, quella solitudine che ci lascia indifferenti davanti ad un male oggettivo. Perché una persona anziana è una persona anziana, non ce lo dobbiamo nemmeno porre il problema se sia sola. E’ sicuramente sola. Perché già la vecchiaia è di per se una forma di solitudine, perché ci priva di quello che eravamo prima e di quello che non siamo più adesso. Allora bisogna valorizzarli, renderli anche un po’ protagonisti di questa vita in cui hanno veramente ancora tanto da dare. Penso che sia anche nostra responsabilità“. 

Qual è il momento più difficile per un prete? 

Avere a che fare con la sofferenza. Non è mai facile. E un prete ha spesso a che fare con la sofferenza. Penso ai grandi lutti, ai giovani; veramente lì ti trovi ti trovi spiazzato, perché ogni parola è superflua, ogni parola è solamente un silenzio da riempire. Lì ti trovi veramente ad avere a che fare con un silenzio che ha dentro una rabbia, un dolore, un qualcosa che non riesce ad essere espresso. Lì puoi essere semplicemente vicino, con la preghiera sicuramente, ma anche con con il solo esserci, perché tante volte chi soffre ha solo bisogno che qualcuno ci sia.

Sembra un paradosso, perché in un momento del genere di tristezza ti si fa vicino l’intera comunità, ma poi il tempo affievolisce un po’ tutto. Chi soffre si trova veramente da solo, avendo a che fare ogni giorno con questo dolore che si rinnova.

Io ho parlato con tante madri che hanno perso i figli e mi parlano sempre di questo dolore che non non si spegne; non è che diventa più lieve con gli anni, perché il tempo non aggiusta niente se non siamo noi a riparare qualcosa, sono fortemente convinto di questo“. 

Qual è il momento invece in cui ci si sente più utili? 

Io penso che un sacerdote non debba sentirsi utile, altrimenti diventa un tecnico. Tante volte lo siamo, perché la parrocchia è lì per dare certificati e rilasciare documenti. Un sacerdote deve sentirsi realizzato innanzitutto nella propria vocazione. Nel momento in cui la tua vocazione diventa uno strumento per avvicinare Dio agli altri… ecco, lì non ti senti utile, ma ti senti veramente felice“. 

Quanti uomini che sono alla ricerca di Dio ha trovato nella sua missione, nella parrocchia a Frosinone? 

Più di quelli che pensiamo. Oggi c’è il bisogno di Dio, c’è il desiderio di Dio. Tante volte noi sacerdoti – di questo ne faccio un mea culpa – presi dalle cose tecniche e da problemi concreti , ci rendiamo conto che forse abbiamo investito troppo tempo in quelle cose e poco nei rapporti umani. Io penso che dovremmo riscoprire un po’ il contatto umano. E’ un obiettivo che mi che mi sono prefisso non quotidianamente, ma ogni ora, perché tante volte il tempo che dedichi alle persone è poco”.  

Foto © Giornalisti Indipendenti
In Italia dove la gente non legge, in una Frosinone che legge ancora meno della media nazionale, lei si inventa Libri Liberi.

E’ stata una cosa bella, perché il bisogno della cultura tante volte non coincide con l’esigenza economica; tante volte i libri costano. I libri hanno un costo e tanti non potevano permetterseli. Partiamo con questa con questa iniziativa, molto molto semplice: c’è uno scaffale in cui vengono messi dei libri, chi li ha li può portare, mentre chi non li ha li può prendere. Con questo scambio, con questa dinamica tanti ci hanno ci hanno portato testi veramente importanti, testi a cui erano legati. ‘Ti porto questo libro perché dentro c’è veramente un pezzo di me e sono contento che qualcuno lo prenda per ritrovarci qualche cosa di importante‘.


I giovani continuano a venire in chiesa? 

A quanto pare si, i giovani continano a venire in chiesa, e questo mi ha stupito positivamente, perché malgrado tutto, che la crisi della chiesa dipenda cioé dall’assenza di una parte giovane, io posso dire sicuramente il contrario“.

Ci sarebbe bisogno di una nuova evangelizzazione? 

Più che di una nuova evangelizzazione io penso che ci sia il bisogno di riscoprire quello che già avevamo. La chiesa non ha bisogno dell’aggiunta di altre cose o di novità…” 

Ha bisogno di gettare acqua su quel seme che ci hanno dato quando ervamo giovani? 

Basta semplicemente coltivarlo, perché quel seme è già avviato” 

Quindi ce lo abbiamo dentro? 
don Dino Mazzoli e Din Don Art

La pianta si è un po’ indebolita, ha bisogno solamente di essere rivitalizzata con quelle luce che può essere la novità, innaffiata con l’acqua dell’iniziativa… ma la chiesa ha già dentro tutto quello di cui abbiamo bisogno. E’ normale che debba parlare in maniera diversa, sicuramente deve farlo, perché non possiamo parlare ai giovani con un linguaggio un po’ demodè. I giovani hanno bisogno di essere avvicinati anche con quel linguaggio che conoscono maggiormente, ma semplicemente per il fatto che non ne conoscono un altro. La chiesa non deve per forza diventare moderna…“. 

D’altronde a Dio il senso dell’ironia non manca, perché: Israele gli chiedeva un condottiero che cacciasse con la spada i romani e gli ha mandato invece un bambino; chiedeva un leone un leone con cui sbranare i cani romani e gli ha mandato un agnello. E ha vinto lo stesso. 

Io penso che i Re Magi, quando sono arrivati davanti alla grotta, siano rimasti un po’ delusi: si aspettavano il Grande, il Potente e ci hanno trovato un bambino. Però in quella fragilità, quella piccolezza – un bambino ha bisogno veramente di tutto – è quasi il grido di Dio che dice ‘Io ho bisogno di voi’. In quel bambino c’era il grido di Dio che dice ‘Io ho bisogno di un’umanità che mi protegga, mi custodisca, mi accolga’. E noi siamo quell’umanità, non si parla dell’umanità di un passato remoto, quel bambino continua a parlare con la stessa fragilità agli uomini di oggi“.

Ecco perché la mia attività si concentra molto sui bambini: perché sono il futuro, sono la speranza, sono quei semi che vanno curati e che saranno la chiesa di domani. Se noi li abbandoniamo, lasciandoli a quei videogiochi che tanto ci aiutani perché ci tolgono ingombri non da poco, stiamo dicendo ‘il futuro costruitevelo voi, noi non possiamo darvi strumenti“. 

don Dino Mazzoli
Certo che Cristo poteva farla più semplice: vince nel momento in cui, agli occhi di tutti, sta perdendo. E ai suoi carnefici fa il regalo più grande, perché gli sta regalando in quel momento la speranza. Ma perché è così complesso da capire? 

Finché noi nella Croce vediamo la sconfitta noi non saremo mai dei buoni cristiani. Noi nella Croce vediamo la fine, la morte. Senza pensare che c’è un dopo, e quel dopo ce lo dimentichiamo tante volte, quella pietra che rotola dal sepolcro e dentro ci fa vedere la vita. Noi ce la dimentichiamo e ci fermiamo a quella Croce, a quella morte, a quella sofferenza. Per Cristo la Croce non era la sconfitta: era il podio, era il momento in cui era stato elevato al punto più alto, nel momento più alto della sua vita. Tanto da offrirla. Da riconsegnarla al Padre per vincere e vincere la morte nella bellezza della Resurrezione“.

Oltre ad avere senso dell’ironia, Dio si diverte ogni tanto anche a fare qualche scherzo: come è capitato a lei quando finalmente si trovò a servire la messa davanti a Papa Benedetto XVI…

Eravamo veramente agitati da questa situazione, eravamo lì lì, ad un certo punto mi poggiai una mano sul petto e sentivo il cuore che batteva di un battito non dettato dall’emozione, ma era davvero molto strano. Tanto che dietro al baldacchino di San Pietro c’è il Punto Medico. E io vado lì e dico: ‘Non mi sto sentendo particolarmente bene‘. Mi fanno l’elettrocardiogramma, chiamano immediatamente e fanno arrivare l’unità di soccorso in basilica. Mi portano via. In ospedale purtroppo mi perdo la celebrazione, e me ne dicpiace molto. Mi dice il medico: ‘Dino (non ero ancora sacerdote) mi spiace che tu non abbia visto il Papa, ma posso assicurarti che il Papa ti ha visto. Ti ha visto proprio quando sei partito in ambulanza…”.

Ad un giovane che sente la vocazione, don Dino cosa direbbe per aiutarlo a comprendere se è vocazione vera o no? 

Osa, io dico osa“. 

Il video