Giuseppe Ciarrapico, l’insolito mediatore

Dall'archivio di Alessioporcu.it l'intervista a Giuseppe Ciarrapico. Dal viaggio con Andreotti a New York dove intuì il business dei quotidiani locali. L'amicizia con il principe Caracciolo. La rotativa comprata insieme ad Hannover avallandosi le cambiali a vicenda su un tavolino da bar. La mediazione nel Lodo Mondadori. Le suore che gli offrono la Quisisana. Ritratto a tratti inedito di un uomo che non cambiò mai idea

Di lui in molti parlano male, il che secondo Voltaire spesso significa che è una persona interessante. Dicono che abbia avuto fortuna, ma un impero nella Sanità, un altro nel settore delle Acque e un altro nel settore dell’Editoria sono troppi per essere soltanto frutto della buona sorte.

Dicono che fosse un fascista: è uno di quelli che non lo ritiene un insulto. Dicono che non abbia contato granché, dopotutto. E che fosse spesso un millantatore. Però i fatti dicono che ogni volta che lo ha voluto ha sempre avuto accesso a Giulio Andreotti, al principe Carlo Caracciolo, e quando De Benedetti e Berlusconi arrivarono ai ferri corti venne chiamato lui per mediare: Giuseppe Ciarrapico.

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Giuseppe Ciarrapico Foto: copyright Imagoeconomica Carlo Carino
I personaggi celebri, spesso sono circondati da leggende. Una che la riguarda è legata al funerale di Benito Mussolini. A lungo si è raccontato che lei fosse tra quelli che hanno portato a spalla la bara del Duce. È verità o leggenda?

È vero. Portata a spalle per un breve periodo, perché come le cose che sono sempre capitate a noi fascisti (vede che accetto la ‘qualità’ senza preoccupazione) quando al quadrivio di Mendola, con Donna Rachele presente, arrivò la famosa cassetta della Pasta Agnesi in cui avevano nobilmente ridotto la salma del Duce, si trattò soltanto di caricarsi sulle spalle la cassa di Pasta Agnesi.

Poi c’era un’altra cassetta che conteneva il famoso stivale: quello che dopo Piazzale Loreto, nella sala dell’obitorio, la pietà umana pensò di sfilarlo dalla gamba del Duce. Caricammo questa cassetta di Pasta Agnesi con dentro la salma del Duce e cominciammo la strada verso Predappio. Con superficialità non ci eravamo resi conto che per andare a Predappio dal quadrivio di Mendola c’erano ben 17 chilometri, erano troppi pure per la nostra fede.

Comunque, nella notte arrivammo finalmente a Predappio, dove affidammo alla pietà del cimitero locale la sepoltura della salma del Duce che oggi è lì nella nicchia ‘Mussolini’, come viene chiamata, dove c’è la salma del Duce, quella di Bruno Mussolini, dove c’è la teca che contiene il famoso stivale”.

Lei perché fu ed è stato fascista?

Sa, io dico che ho un Dna fascista. Noi di tradizione, lo siamo. La mia è famiglia fascista. Mio nonno, Cavaliere del Lavoro, uno dei più grossi cementieri italiani, ricordava e ci raccontava sempre che alla vigilia della Marcia su Roma il comando fascista stava all’hotel Bruffani, a Perugia. Gli telefonò Michelino Bianchi, allora Segretario del Partito Fascista, e gli disse: ‘Guarda, siamo rimasti senza soldi’. Allora mio nonno partì da Pescara, dove c’era il cementificio, con la famosa Ford T20 ne andò di corsa all’hotel Bruffani con 300mila lire di allora, che a quei tempi erano una cifra poderosa per finanziare l’arrivo della rivoluzione a Roma. Quindi il mio è un Dna”.

Senatore, un’altra voce che la riguarda da decenni: lei  stato lo storico stampatore dei manifesti elettorali del Movimento Sociale Italiano. Si narra che ogni volta poi lei andasse in Via della Scrofa a Roma dove c’era…

Nooo… Via della Scrofa è un surrogato degli ultimi tempi. Il Movimento Sociale Italiano nasce a Corso Vittorio Emanuele”.

Giuseppe Ciarrapico
Quindi, quando andava a Corso Vittorio Emanuele per farsi pagare da Almirante (pare che) questi riuscisse puntualmente ad evitare di mettere mano al portafoglio improvvisando per lei un discorso che puntava sugli affetti, sul cameratismo disinteressato. Anche questa, è verità o leggenda?

È un falso incredibile. Io sapevo benissimo che il MSI aveva bisogno di credito. E per far credito Almirante credo che abbia firmato cambiali a livello industriale. Ma sono stato sempre puntualmente pagato. Ma non ero lo stampatore dei manifesti, qui c’è un errore di base: dopo la morte di Michelini, Giorgio Almirante mi chiamò e mi disse: ‘Ti vuoi occupare di tutta quella che oggi verrebbe chiamata la parte dei Media?’.

Io chiesi: ‘Ma di cosa si tratta?’ Mi rispose che dovevo prendermi l’edizione del Secolo d’Italia, la tipografia di via del Boschetto, che era quella dove in teoria si sarebbero dovuti stampare i manifesti ma era materialmente impossibile. E poi si trattava di distribuire in tutta Italia, modernamente, la tempestività dei manifesti.

Tenga presente che allora il Secolo d’Italia, per essere caricato sui treni per un normale trasporto necessitava di una scorta di camerati, perché alla stazione ferroviaria tutti gettavano quei pacchi. Tenga presente che io mi inventai allora la ‘spedizione via aerea’. Noi andavamo all’Alitalia la notte e portavamo i pacchi per tutta Italia, e mi vantai e mi vanto che in 24 ore noi raggiungevamo tutte le città italiane con la consegna dei pacchi e del materiale di propaganda”.

Così che è nato il Ciarrapico tipografo?

No. Il Ciarrapico tipografo nasce nel momento in cui… nel vecchio stabilimento di Cassino che si trovava vicino alla stazione, mi trovai nella necessità di affrontare il problema di dare da mangiare ai dipendenti che ci lavoravano dentro. Era uno stabilimento enorme…

Di che anno parliamo?
Giuseppe Ciarrapico. Foto Guido Montani

Del 1953.  E non avevamo lavoro a sufficienza. Quando mi chiamò Almirante e mi disse di occuparmi dei manifesti per la propaganda del Msi, allora concentrai a Cassino tutto il lavoro del Movimento Sociale Italiano: lì si stampava, da lì si partiva.

Quando poi costruii lo stabilimento a Villa Santa Lucia, concentrai qui al parte tipografica di tutte le mie attività industriali. Qui si facevano le etichette per la Fiuggi, per tutte le acque minerali (io ero il Re delle Acque Minerali, non so se ricorda, mi rifilarono questo soprannome) quindi stampavamo dalle etichette alle brochures: tutto quello che serviva, per un impero che nel momento più alto fatturava mille miliardi di lire”.

Oltre i libri ed i manifesti elettorali lei stampava OP, periodico degli anni ‘70…

Questo è un falso che mi hanno rifilato. ‘Sto Op era di uno strano personaggio, Mino Pecorelli. Ne stampai soltanto un numero perché mi costrinse a farlo…

La ‘costrinse’?

“Mi chiese di farlo… via. È stato anche un mio amico con tutti i suoi difetti ‘A Frà che te serve’, Franco Evangelisti, il braccio destro di Giulio Andreotti.

Quando Evangelisti fu portato senatore qui, nel collegio di Latina-Sora, e fu eliminato quello strano personaggio, veramente strano, che era Vincenzo Ignazio Senese, che non so che fine abbia fatto… (Di Senese dissero che come Caligola aveva fatto senatore un cavallo Andreotti fece sanatore Senese).

Quando dunque Evangelisti venne qui per essere lui senatore, mi chiese questo favore di stampare un numero – lui me ne chiese due, io glie ne feci uno solo – di OP.

Mino Pecorelli

Questo perché OP ad Evangelisti lo massacrava, Pecorelli lo ricattava… Pecorelli è quello che poi scomparve, non so, ucciso…

Venne assassinato…

Non si capì mai. Io ho stampato due numeri: uno che andò in distribuzione e un altro che non venne mai distribuito”.

Abbiamo raccontato delle tipografie. Le acque minerali: terme, imbottigliamento, Fiuggi con una gestione che è finita tra i movimenti di piazza. Lo slogan all’epoca fu ‘L’acqua ai popolo’. Una lista vinse le elezioni comunali cavalcando quel tema. Col senno di poi oggi secondo lei a Fiuggi la rimpiangono?

Bèh, parlano i fatti: se lei viene con me a Fiuggi io faccio la parte del Padrino atto II, ricevo una fila di fanatici di Ciarrapico. Se lei pensa che io ho lasciato la Fiuggi con 600 dipendenti e vendendo 100 milioni di bottiglie… Questo con una formula semplicissima: le vendevo io personalmente, io e mia moglie facevamo i testimoni a tutte le comunioni, a tutte le cresime, a tutti i matrimoni di quelli che erano i commercianti dell’acqua. E 120 milioni di bottiglie d’acqua erano un’enormità. E io ho fatto fortuna, ho fatto soldi. Feci tanti soldi e potei comprare tante altre acque minerali. Ci fu un punto in cui io superai la San Pellegrino, con 700 milioni di bottiglie”.

Senatore, e alle cliniche invece come ci arrivò?

Dunque, io ho lavorato per un certo periodo come braccio destro di un finanziere svizzero, Bagnasco. Lui prendeva le vacanze dal 15 luglio al 15 agosto, al contrario di come facciamo noi che normalmente andiamo in vacanza ad agosto. Bagnasco era il finanziere di Europrogramme, uno dei più grossi fondi finanziari di allora. Mi disse: ‘Mi vuoi sostituire durante il mese di mia assenza?’. Lui andava nei Caraibi… a Saint Barth. Risposi: ‘Dipende’. E lui: ‘ Ti do 4 milioni e mezzo al mese per due mesi arrotondati’. Era un mese e mezzo e arrotondammo a due mesi. Era una cifra notevole allora. Convinsi mia moglie che dovevo rinunciare alle vacanze per quel compito.

Un giorno si presentano da me delle monache… Tra l’altro mi colpì il fatto che l’amministratore delegato di queste monache era una stupenda monaca svizzero-tedesca con i capelli rossi. Mi disse: ‘Avremmo bisogno di 11 miliardi di lire’. Era ‘na cifra allora. Io avevo i poteri per dare gli 11 miliardi e dissi: ‘Suor Stephen – si chiamava così – a disposizione per le 4.00 di oggi pomeriggio’. Stabilimmo la commissione e misi a disposizione ‘sta somma. Passa luglio, arriva agosto, io stavo per finire, chiamo suor Stephen e le dico: ‘Guardi, che facciamo con questi soldi?’. Lei rispose: ‘No guardi, non mi occorrono più’. C’era da pagare una commissione – mi pare che fosse un milione – e io, prendendomi la responsabilità le dissi che no, non ci doveva assolutamente nulla.

Allora lei rispose: ‘Guardi, io ci tengo a farle visitare la nostra casa madre’, che era il più bello, il più caro educandato per ragazze per bene in Svizzera.

Una volta che andai a Zofingen per comprare una fabbrica di inchiostro per la tipografia che ho avuto per alcuni anni, passando per Lucerna mi ricordai dell’invito di Suor Stephen. Andai a trovarla e li mi disse: ‘Guardi, giunge proprio a proposito, mi deve fare una cortesia, mi deve comprare una clinica a Roma’.

La clinica Quisisana

Na clinica? Io non l’ho mai fatto questo mestiere’. E lei: ‘È la Quisisana a via Giangiacomo Porro’. Io allora cercavo un palazzo per uffici e dissi che l’avrei trasformata in palazzo per uffici, al che lei mi disse che potevo farci quello che volevo. Allora chiesi quanto costasse e mi rispose con una cifra per cui non credetti alle mie orecchie: ‘Dieci milioni’. Io dissi che mi sembrava un po’ troppo e lei contro propose per otto milioni.

Mi deve dare il tempo per accumulare liquidità’, le dissi, e lei: ‘La paghi quando vuole’. Non avevo fatto in tempo a finire il discorso che Suor Stephen aveva già immesso nella macchina da scrivere, allora c’erano quelle, una bozza di contratto. Quando mi disse quanto potessi versare da subito io risposi che le potevo dare 500 mila lire, staccando un assegno dal mio conto corrente con preghiera di non incassarlo, perché allora era reato fare un assegno all’estero. ‘Mi deve dare il tempo – dissi – di tornare a Roma e lì glie lo tramuterò in un accredito bancario, così evitiamo di fare…’.

Come vuole, per carità!’. Insomma, la morale è che con 500mila lire mi comprai la Quisisana, che è un enorme fabbricato con 9.500 metri quadri di parco…

Fin qui il Ciarrapico tipografo, quello delle acque minerali, quello delle cliniche… Negli Anni ‘80 lei fonda il primo quotidiano locale della provincia di Frosinone, Ciociaria Oggi al quale fa seguire dopo pochi mesi Latina Oggi. Si diceva che non sarebbero arrivati a mangiare il panettone, oggi è ancora nelle edicole e, nonostante la crisi del settore, è ancora il quotidiano più venduto.

Ero a Washington con il presidente Giulio Andreotti, eravamo stati mi pare al NIAF la National Italian American Foundation: è un’associazione culturale statunitense che promuove la cultura dell’Italia negli Stati Uniti. Lì incontrai a cena la signora che possedeva il Washington Post. Le dissi che era fortunata, perché ‘oggi il Post è un quotidiano leader, chissà quante copie ne vende…’. Lei mi fece: ‘no, il Post per me è uno sport di lusso, io vendo Bronx News’. ‘Cos’è Bronx News?’, le chiesi. “È il giornale del quartiere del Bronx’. ‘Ma al Bronx se chiedo al tassista di portami quello non mi ci porta!’. E lei: ‘Vada e vedrà che BN si vende in ogni palazzo del quartiere”.

Giuseppe Ciarrapico con Giulio Andreotti. Foto © Archivio AdnKronos

La mattina dopo, alle 6 convinco un tassista per accompagnarmi nel Bronx, dove ti era andata bene se giravi e non ti minacciavano con un coltello in pancia per il portafoglio. Bronx News invece era nei pacchi davanti ai fabbricati, dove la gente ritirava una copia e lasciava i soldi. Allora mi dissi che evidentemente quel giornale aveva un segreto. E qual era? Semplicemente che Bronx News raccontava i fatti del Bronx, non una riga al di fuori dal Bronx, tutto nel e del Bronx.

Tornai a Washington, chiamai mio figlio che era giornalista, è stato caporedattore per l’estero de Il Tempo. Gli parlai di quel fenomeno ‘strano’, dicendogli: ‘Vogliamo fare un quotidiano?’. Lui mi rispose: ‘Papà ma che, ci mettiamo a fare il quotidiano? Gli affari vanno tanto bene negli altri settori e noi ci mettiamo a fare un quotidiano?’Si, io avrei pensato di fare Ciociaria Oggi’. E lui: ‘Papà ma che ci mettiamo a fare il giornale dei burini?’. Gli feci: ‘Ma anche loro hanno diritto di leggere un quotidiano’.

Ad ogni modo alla fine mio figlio mi disse di fare come volevo e così nacque Ciociaria Oggi. Dopo 15 giorni però mi dissi che a me, come fascista, non poteva essere negata la soddisfazione di fare un quotidiano chiamato ‘Littoria Oggi’. Mio figlio allora mi disse: ‘Papà, adesso stiamo esagerando’. Allora Littoria Oggi diventò Latina Oggi.

Quando poi partimmo con Ciociaria Oggi, con un successo incredibile, mi dissi che allora Bronx News poteva essere Ciociaria Oggi, Littoria Oggi o Latina Oggi… c’è stato un momento in cui ne avevo sette”.

Senatore, è famoso per la conclusione burrascosa dei rapporti con i suoi direttori che, nella migliore delle occasioni, l’hanno definita ‘invadente’. Ma il padrone puo’ entrare in redazione?

L’Editore deve entrare in redazione. Un quotidiano può avere successo solo se si personifica nell’editore. È inutile lasciare fare al direttore… il direttore deve fare il direttore, io devo fa’ l’editore…

Lei è stato il mediatore tra Berlusconi e De Benedetti nel famoso Lodo Mondadori, chi la chiamò?

Tutti. Se non mi avessero chiamato tutti non avrei accettato”.

La prima telefonata, come andò?

Io vedevo Carlo Caracciolo, mio fratello, un amico indimenticabile nonostante lui fosse un convinto comunista, tant’è che quando lo commemorai al Senato dissi: ‘Lui rosso, io nero’. Carlo era un uomo di un fascino incredibile…”. Feci dodici minuti di discorso e al termine tutti, destra e sinistra, mi hanno battuto le mani.

L’ingegner Carlo De Benedetti, il principe Carlo Caracciolo e Giuseppe Ciarrapico (Dagospia)
Caracciolo lo vediamo tra un secondo… Quindi lei vide nel Lodo Mondadori, Caracciolo…?

Io ero amico di Caracciolo, che quasi tutte le settimane mi invitava a pranzo a casa sua. Tra l’altro lui aveva un maggiordomo che portava un turbante, era del Bengala, poi si scoprì che non era bengalese ma era un egiziano che fingeva di essere del bengala perché Carlo era affascinato da questo turbante.

Mentre pranzavo con Carlo a un certo punto arriva Corrado Passera, l’attuale amministratore di Banca Intesa, mi pare. Che disse: ‘Carlo, qui siamo nel pieno di un casino, perché non c’è accordo… Mondadori…”.

Io chiesi quale fosse il problema e mi venne risposto: ‘Sai, non riusciamo a trovare una quadra, abbiamo vinto le cause, poi le abbiamo perse, poi ancora le abbiamo rivinte, tra noi e Carlo De Benedetti…’, che era l’avversario.

Io feci: ‘Chi se ne sta occupando?’. E loro: ‘Mediobanca, Cuccia, se ne sono occupati un po’ tutti’.

Io riposi: ‘A me sembra una cosa di una tale semplicità trovare un accordo… se si stabiliscono quali sono le pretese dell’uno e dell’altro, il valore degli asset dell’uno e dell’altro, quando si arriverà ad un equilibrio l’accordo sarà fatto’. E me ne andai.

Non feci in tempo ad arrivare nel mio ufficio che allora era in via di Pinciana, dove avevo la Fiuggi, che mi arrivò una telefonata di Caracciolo che disse: ‘Ma te ne vuoi occupare tu?’ ‘Si, ma deve esserci l’accordo di tutti, di De Benedetti, di Eugenio Scalfari e naturalmente di Berlusconi’. Al che lui mi disse che mi garantiva il suo accordo, quello di Eugenio Scalfari e di Carlo De Benedetti; bisognava sentire se fosse d’accordo Silvio Berlusconi. Andai a trovare Gianni Letta, mio vecchio amico, e detto fatto: entro mezz’ora arrivò il telex di Berlusconi, che diceva che accettava senz’altro una mia mediazione. A quel punto dissi: ‘Me ne occupo’”.

È vero che…

Mi diedero appuntamento a Verona, perché frattanto io ero sù di peso ed avevo preso un appuntamento da Chenot a Merano, al che me ne ero andato a Merano con l’elicottero, allora avevo due elicotteri… io sono pilota di elicottero, ho avuto una grande passione per pilotare…

Quindi va a Merano e?…

Vado e mi porto l’elicottero, che stazionava dove fanno le corse ad ostacoli… Volo a Verona dove avevo appuntamento con Caracciolo e Passera per cominciare. Questi arrivano con un Fiorino. Ricordo, da lì scaricavano tonnellate di documenti cartacei .

Io dissi: ‘Si ma che dobbiamo fa’ co’ sta roba?’. E loro: ?Tu dovresti leggerti questi documenti, in modo da…’. ‘Ma m’avete preso pe’ na banca d’affari? No no – feci io – io ho comprato un quaderno a quadretti, ci ho fatto una riga in mezzo, da una parte scrivo quello che volete voi, dall’altra quello che vuole Berlusconi, quando avèmo fatto l’ambata l’accordo è fatto”.

E così cominciò la mediazione. Ma è vero che in quel periodo l’avvocato Agnelli volle incontrarla ma la convocò in una maniera ‘poco ortodossa’?

Agnelli era sempre poco ortodosso. Però era Gianni Agnelli, l’uomo più affascinante che io abbia mai incontrato nella mia vita. Col quaderno in mano incominciai a scrivere, da una parte e dall’altra.

Per non scontentare le due parti, quando ero a Milano una volta cenavo da De Benedetti a via Ciabattino, mi pare si chiami così; un’altra volta cenavo ad Arcore quando passava Berlusconi. Erano due mondi completamente diversi: cenare con De Benedetti era di una tristezza terribile, innanzitutto perché… io non so, lui aveva la mania delle tappezzerie o in grigio topo o in color amaranto. Io che so’ un po’ scaramantico non amo l’amaranto nella maniera più assoluta; ricordo crisantemi… Ma poi sono un tipo allegro. Cenare vicino ad un padrone di casa come De Benedetti che è sempre incazzato anche quando non ce n’è motivo mi annoiava un po’.

Giuseppe Ciarrapico

Ad Arcore era tutto un altro ambiente: c’era questo enorme tavolo, che ho visto che c’è ancora, attorno al quel c’erano tutti… c’era Gianni Letta, ma soprattutto c’era un uomo pelato che non capivo chi fosse. Allora mi rivolsi a Berlusconi e gli dissi: ‘Scusa, ma chi è quello?’. ‘È l’Amministratore delegato del Milan, Galliani’. ‘E che c’entra?’ ‘No, c’entra perché è un uomo di buon senso’. Ecco la grande qualità di Berlusconi: è pragmatico. Serviva quello perché era un ‘uomo di buon senso’”.

E in quel periodo lei venne convocato da Agnelli, in che modo?

In quel periodo io facevo il Lodo con De Benedetti, un giorno vado da lui nella villa che lui ha a Torino sopra… non ricordo dove, dove comunque aveva la villa anche Agnelli.

De Benedetti mi invita a cena anche lì, però francamente allora non simpatizzavo, adesso siamo in ottimi rapporti. Allora dissi: ‘Guarda, se non ti spiace io ho l’aeromobile qui in aeroporto, me ne vado a Verona, lì ho l’elicottero che mi riporta a Merano”.

Mentre uscivo dalla villa e stavamo andando via un’altra auto che veniva in senso contrario ci punta i fari addosso sbarrandoci la strada. Pensai ad un rapimento o un attentato: istintivamente pensai a qualcosa con cui difendermi e misi la mano sulla pistola che all’epoca portavo sempre con me. Invece erano le guardie del corpo dell’Avvocato Agnelli che mi dissero: ‘L’avvocato avrebbe piacere di parlarle’.

‘Ma veramente io sto ripartendo’.

‘L’avvocato dice se domani mattina puo’ fare il breakfast con lui’.

‘E stanotte io resto qui? Ma non sono preparato: non ho nemmeno uno spazzolino, un pigiama’ ‘

È stato preparato tutto a Corso Unione Sovietica, dove c’è la Foresteria dell’avvocato’.

In effetti fui ricevuto in maniera principesca. La mattina raggiunsi l’avvocato in villa Frescot e Agnelli, che era soprattutto un uomo curioso come una biscia. a cui piaceva sapere, mi chiese: ‘Mi racconta?’. Ed io: ‘No avvocà, c’è un segreto professionale… con l’accordo siamo a buon punto’. E finì lì. Glielo raccontai facendo una frugalissima colazione. C’erano un po’ di marmellatine e delle piccolissime mozzarelle. Pensai fossero le più piccole del mondo, erano le stesse che ho ritrovato poi alcuni anni più tardi nello stabilimento di Cassino quando ci fu la presentazione della Tipo, se non sbaglio Si vede che le comprava in stock.”.

Carlo Caracciolo, principe ed editore, soprattutto amico fidatissimo. Un’amicizia nata per colpa di una rotativa, è vero?

Andammo ad Hannover, dove c’era l’esposizione delle macchine grafiche, Mentre visitavo la città il commendator Capitini, grande venditore di macchine grafiche, mi avvicinò e mi chiede se poteva presentarmi il principe Carlo Caracciolo, spiegando che anche lui era ‘interessato ad una rotativa off set’, erano le prime che venivano costruite.

Una rotativa roto off set

Io ero interessato, infatti portai la roto off set qui a Cassino nel vecchio stabilimento. Il problema era pagarla. Capitini disse che poteva farmi ‘una larga dilazione’ e mi chiese ‘una fidejussione bancaria’. Io risposi: ‘Commendatò è lì che casca l’asino, se io potessi darle una fidejussione non starei qui a ragionare’. ‘Ma non ha qualcuno che avalli le cambiali’?. Ed io: ‘E chi me le avalla?’.

C’era Caracciolo che voleva comprare una rotativa off set anche lui per il quotidiano di Livorno Il Tirreno ed anche lui aveva un problema di garanzie per la rateazione. Allora capii che era un uomo brillantissimo.

Capitini mi disse: ‘Senta, perché lei non rilascia garanzia a Caracciolo e Caracciolo non le rilascia a lei?’. ‘Ma se po’ fa’?’. ‘Rilasci le cambiali’, che però ad Hannover non esistevano. Chiesi tempo fino alla mattina dopo, chiamai il mio segretario a Roma e gli dissi di andare a comprare le cambiali.

Lui non era mai stato fuori nemmeno dalla Val D’Aosta e mi chiese come dovesse fare per venire ad Hannover. Gli risposi: ‘Semplice, vai alla stazione Termini, chiedi un biglietto per Hannover, monti sul treno e ce scenni”. La mattina a mezzogiorno arrivò dunque il mio cosiddetto segretario con un pacco di cambiali. Nella stessa stazione ferroviaria, nel bar della stazione io e Caracciolo firmammo questa marea di cambiali. Ricordo che trovammo un cameriere italiano che poteva farci da interprete. Me lo ricordo bene perché io e Carlo mangiammo una zuppa con i knuddel che digerimmo l’anno appresso. E da lì diventammo grandi amici. Io avallavo lui e lui avallava me. Così lui si fece la roto off set per Il Tirreno ed io la mia che portai a Cassino”.

Si racconta che anni addietro fu lui a salvarle le cliniche, firmando una fideiussione praticamente illimitata che la blindava da qualsiasi attacco.

Fu nel 2001. Non era illimitata ma 200 miliardi di lire. Le banche si misero in testa di portarmi via le cliniche. Avevamo i crediti, miliardi di crediti da riscuotere. ma stavano sulla carta. Nonostante la mia amicizia con il camerata Francesco Storace la Regione Lazio non mi pagava. Si creò una situazione per la quale ad un certo punti subii un tentativo di scalata.

Dicono che faticò a trovarla…

Io cercavo il modo per difendermi da quell’attacco. Non stavo molto a pensare di rispondere al telefono. Alla fine Caracciolo riuscì a contattarmi. Mi telefonò da Torrecchia. “Sono quattro giorni che ti cerco, ho l\’impressione che stai storto”. “Storto? Mi stanno a porta via Eurosanità, come vuoi che stia…?”. Non mi fece nemmeno fiatare: chiese l’importo he mi serviva e me lo mise a disposizione .

Senatore, una volta la chiamarono nel cuore della notte da una delle sue cliniche e le dissero: ‘Presidente, venga di corsa qua. Trovò Caracciolo al Pronto Soccorso…

Caracciolo purtroppo era gravemente malato di tumore, e questo male lo travolse per tre anni. Fu terribilmente operato a Parigi e tornò a Roma, dove ogni tanto aveva delle crisi terribili e io lo ricoveravo alla Quisisana.

Foto: © Daniele Scudieri / Imagoeconomica

L’ultima volta che lo hanno ricoverato da me, i medici della Rianimazione del Quisisana mi chiamarono al telefono dicendomi di andare immediatamente in clinica. Una volta lì mi dissero: «Guardi che questo ha in atto un infarto da Viagra. Cerchi di farsi dire quanto ne ha preso». Mi chinai su di lui che era intubato e gli dissi: «Carlo, ti ho lasciato che stavi bene un mese fa…». E lui: «Sai, forse ho sbagliato in qualche cosa…». E in cosa, dimmi a me Carle’? «Ho preso il Viagra». «Carlo, fammi segno con la mano, quante pastiglie hai preso?». Con la mano aperta mi mostrò tutte e cinque le dita. Io allora gli feci: ‘Tu sei pazzo. Promettimi che tu il Viagra non lo prendi più’”.

È vero che fino alla fine non perse il senso per le belle donne?

Ultimamente aveva preso una paurosa sbandata per Ségolène Royal. Per fare colpo su di lei comprò Libération.

Il Principe l’ha citata nel testamento, che cosa le ha lasciato?

Il tavolo da lavoro e una stupenda libreria del XVII, un capolavoro di un formato bellissimo”.

Senatore, lei che ha frequentato Almirante, Andreotti… i politici di oggi sono dello stesso livello?

Nooooooo…..”

Secondo lei come verrà ricordato Giuseppe Ciarrapico?

Spero come uomo di buona volontà, soprattutto come uno che non cambiò mai idea”.