Francesco Scalia, quello che 20 anni fa realizzava i sogni di oggi. E oggi non sogna più

FRANCESCO SCALIA. FOTO © PAOLO CERRONI / IMAGOECONOMICA

Avvocato, sindaco, presidente, senatore, professore. Francesco Scalia lo si puo’ chiamare in cento modi, ma forse quello più esatto è pioniere. Perché a strade, scuole, mobilità e filiera dei rifiuti in provincia di Frosinone lui ci aveva pensato prima di tutti

Ha iniziato da giovane: come sindaco. Poi è diventato presidente (della Provincia), quindi assessore (alla Regione), e poi Senatore. Alla fine ha deciso di fare il professore. Perché ha una grande capacità di visione. È uno che già 20 anni fa a Frosinone ci aveva visto una stazione ferroviaria nuova con cui ridisegnare tutto il quartiere Scalo. Ci aveva visto anche la fermata del treno ad Alta Velocità ed un aeroporto. Per questo aveva cominciato a costruire una serie di infrastrutture. Quelle che oggi stanno rendendo possibile, a 20 anni di distanza, la realizzazione di molti di quei progetti.

Progetti che 20 anni fa aveva immaginato solo Francesco Scalia.

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Tutto cominciò così

Cosa spinge un giovane avvocato a candidarsi a sindaco di una cità con i conti dissestati come li aveva all’epoca Ferentino?
Francesco Scalia

«La politica è si servizio, ambizione, ma essenzialmente è passione. All’epoca io ero assistente di una cattedra prestigiosa, che era stata di Guarino, di Piras e all’epoca era di Celuti Nelli, con Diritto amministrativo. Ero in uno studio molto importante di Roma e facevo politica da sempre. Già allora ero Segretario Provinciale del Partito.

Sindaco grazie al rifiuto degli altri

«Non ero io il candidato a sindaco. Il candidato era una caro amico che purtroppo non c’è più. Dopo di che il candidato divenne Piergianni Fiorletta. Ma era un momento particolare e non se la sentì. Insieme cercammo altri candidati possibili, Roberto Valeri che poi avrebbe fatto il sindaco, una notte a parlare con lui senza riuscirci. Poi Giorgio Pompeo, un grande medico purtroppo scomparso, che era però impegnato con l’ospedale. Alla fine mi ritrovai ad assumermi la responsabilità. Mi candidai perché non vollero farlo gli altri».

Fu il trampolino per diventare Presidente della Provincia quando bisognava prendere le preferenze dei cittadini in tutti i Comuni.

«Fare il sindaco credo sia l’impegno più bello ma anche più duro. Bello perché lavori per la tua gente e puoi cambiare e realizzare cose. E vedi il risultato. Più in alto vai e più i tempi si allungano, perché la macchina si fa farraginosa. Le Province erano begli enti, ed è stato un errore madornale quello di cambiarle. Avremmo dovuto agire sulle Regioni piuttosto, portarle ad essere quello che per la Costituzione devono essere: enti di programmazione e legislazione. Magari accorparle e rafforzarle come enti di area vasta, perché sono troppe. Insieme ai sindaci con la Provincia abbiamo fatto cose utili, prima dell’impazzimento generale».

Mi scusi Senatore: ma se le Province andavano bene perché le avete riformate: le ricordo che è stata la sua parte politica a volerlo fare, Renzi ne aveva fatto un caposaldo e lei è stato uno dei primi renziani del territorio.

«Le Province non le ho cambiate io. Io ero contrario su tutta la linea e lo dissi anche a Delrio. C’era questa idea della provincia ente inutile. Noi abbiamo una condizione particolare, con una città-capoluogo più piccola, e c’era probabilmente questa sensazione sbagliata che fosse una cosa di cui poter fare a meno. In realtà è un ente necessario, perché ci sono servizi e che non possono essere gestiti a livello comunale. Né a livello regionale e statale. Come si fa a gestire i rifiuti se non a livello provinciale?».

Il papà di Saf e San Vittore

Il termovalorizzatore ACEA di San Vittore
A proposito di rifiuti: pochi sanno che lei è il ‘papà’ del modello che in questi 25 anni ha impedito che finissimo in emergenza. Prima le immondizie le portavamo dentro una buca: a Malagrotta, con lei invece nasce la Saf mettendo insieme tutti i Comuni in parti uguali. Roma e Napoli in questi anni sono finite sommerse dalle spazzature e noi no. Come le venne in mente quel piano?

«Anche questo è un problema italiano, ma in questa provincia lo abbiamo superato. Per autorizzare il termovalorizzatore di San Vittore che nessuno voleva autorizzare, né Storace né il ministero, studiai il modo per utilizzarlo come Provincia. E lo autorizzai . Lo feci nonostante avessi i cittadini di San Vittore che mi occupavano la sede e manifestavano durante il Consiglio».

«Però lo realizzai prevedendo un piano di monitoraggio, per cui se si vanno a vedere gli studi fatti dalla Regione Lazio si vede il confronto fra Colleferro e San Vittore. Quest’ultimo è bianco cioè non c’è inquinamento, Colleferro era rosso-nero, cioè ai massimi livelli di inquinamento.

A San Vittore, per dare le autorizzazioni imposi un controllo da remoto. E’ meno impattante quell’impianto che le stufe a pellet o i camini delle case, che sono la causa del 40% delle emissioni. I problemi li danno le abitazioni, non gli impianti industriali che sono controllati».

L’aeroporto e la Tav

L’aeroporto di Frosinone: scommessa e cruccio di Scalia
Una cosa che non è riuscito a fare è l’aeroporto: gli studi dicevano che si poteva fare. Invece non si fece e lei finì sotto inchiesta. È un rimpianto?

«Non ho rimpianti perché ce l’ho messa tutta. Perl’aeroporto più che di rimpianto parlerei di nervosismo. Perché vedi una parte della provincia ‘appecoronata’ su certe posizioni. Io litigai con Marrazzo, anche lui convintissimo su Frosinone. Ma anche lui venne ‘stretto’. Perché in Italia ci sono poteri più forti della politica. Uscì un titolo di giornale di Marrazzo, che non sentivo da giorni. Recitava ‘Decide il Ministero, non la Regione’. Io gli contestati quella cosa, che cioè sulla localizzazione dell’aeroporto, con competenza Stato-Regioni, la Regione Lazio non avesse voce in capitolo».

Era un’inchiesta che riguardava il suo progetto per realizzare l’aeroporto. Oggi il Treno ad Alta Velocità ferma a Frosinone. E c’è un nuovo interessamento per un possibile aeroporto in città. Quanto è concreto il nuovo piano?

«Non lo so. Io spero che il passo in avanti che l’Europa ha fatto anche a causa di Covid sia un motivo di speranza in questo senso. Che ci siano cioè risveglio e mutamento vero negli ingranaggi del paese. Perché così, per quanta buona volontà ci sia, un gruppo di imprenditori per fortuna non della provincia di Frosinone ha valutato il progetto e registrato il grande interesse di Ryanair. Imprenditori che ritengono folle mantenere una regione come il Lazio un aeroporto come Ciampino. Aeroporto che è contro ogni garanzia di sicurezza, praticamente una pista nella città. Con esso l’aeroporto di Fiumicino, per il quale paghiamo il raddoppio da 13 anni. Un raddoppio che non si fa e non si puo’ fare».

Ci fu una manovra per bloccarle il suo progetto per l’aeroporto a Frosinone?

«I fatti dimostrano quello che ho sempre detto e sostenuto, senza essere mai stato querelato. Che cioè era tutta una manovra per impedire che si facesse a Frosinone il vero terzo aeroporto nel Lazio. Si decise di farlo a Viterbo e non a Frosinone. La scelta di Viterbo era condizionata alle realizzazione della ferrovia e dell’autostrada. Che non c’erano. Immaginiamoci se era una scelta realizzabile. Tant’è che venne accantonata immediatamente.

Ciampino, che doveva tornare ad essere un aeroporto per i voli di Stato continua a fare sei milioni di passeggeri all’anno. Questo quando nel 2007 il governo aveva deciso che non dovesse essere più aperto al traffico civile. Frosinone invece non si è fatto eppure è l’unico aeroporto che si poteva fare davvero. Perché un aeroporto ha bisogno di infrastrutture di collegamento. E Frosinone le aveva: autostrade, ferrovie, svincoli raggiungibili in un attimo».

Perché pensava ad un aeroporto?
L’ingresso dell’ETR 500 a Frosinone © Foto Patrizi

«Io pensavo al progetto non per quello che succede in aria, ma per quello che succede a terra. L’aeroporto cioè era funzionale alla creazione di un traffico che utilizzasse l’alta velocità. E non per un treno che si ferma una volta al giorno fra andata e ritorno. Bensì per un sistema di navette da immettere nell’ultima tratta dell’alta velocità. Un sistema che collegava Frosinone a Roma in 25 minuti ogni mezzora. Ed è una cosa che ha progettato l’attuale presidente e Amministratore Delegato di Ferrovie Gianfranco Battisti, questo studio lo fece lui»

Due fermate Tav al giorno sono utili?

«Arrivo a dire che l’aeroporto può anche non esserci. Ovvio che se c’è è meglio. Però già la fermata dell’Alta Velocità ha ragion d’essere. Alta Velocità che non è navetta o metropolitana leggera, non è il treno pendolari ma il treno utile per attrarre sul territorio persone che lavorano su Roma ed hanno disponibilità economica. Per quello a cui avevamo pensato c’era bisogno però del traffico passeggeri.

Un sistema di questo tipo, costoso, non sarebbe realizzabile se non ci fosse una mole di passeggeri che lo renda economicamente efficiente».

«Ma efficiente lo diventa, con passeggeri da tutto il mondo che vanno a Roma, anche per i pendolari che abbattono i tempi. Diventa efficiente per chi vuole riunirsi per una cena nei nostri ristoranti. Per chi vuole vivere qui ma lavorare a Roma, avendo costi e qualità della vita differenti. Era la possibilità di trasformare una provincia da industriale che arrancava in provincia dei servizi, del benessere. E con esso della cultura».

La rivoluzione Acea

Acea
È lei a guidare la provincia di Frosinone attraverso la legge che impone un gestore unico per l’acqua: il suo contratto con Acea fu tra i primi, attirò l’attenzione dei quotidiani economici britannici che ne tessettero le lodi. Anche lì finì con un processo.

«Fu l’applicazione rigorosa delle leggi. Cercammo di tutelare i cittadini. e ci riuscimmo. Purtroppo venne alla luce solo con un processo. Quello in cui si esaminò la transazione fatta negli anni successivi. Acea si era accorta che con quel contratto eravamo blindati. Decise di andarsene. E di farci causa: sostenendo che la sua offerta era stata fatta sulla base di cifre fornite dai Comuni riguardo ai costi e che poi si erano rivelate sballate. Trovammo una via d’uscita. Una transazione che ci lasciava tutelati e che lasciava anche ad Acea dei margini di guadagno».

«Era la famosa transazione che chiudeva tutto con una tariffa idrica Acea ad 1,20 euro. Più alta della tariffa precedente. Ma molto più bassa della media nazionale. Nel processo il giudice in sentenza mi fece i complimenti, definendo quella come l’unica soluzione possibile. In pratica: era emerso che le cifre fornite dai comuni erano sballate ed io applicai l’adeguamento sui costi reali. Quella fu una transazione che io firmai come rappresentante e senza neanche una telefonata con Acea».

«Avevo fatto un contenzioso, avevo applicato tutte le sanzioni che potevano essere applicate. Applicai così tante sanzioni che abbattemmo il credito di 27 milioni vantato da Acea e portandolo a 10 milioni soltanto. E quei 10 milioni li spalmai in 30 anni e recuperabili dai canoni che dovevano dare i Comuni».

In quelle assemblee dei sindaci non ci si divideva tra sinistra e destra.

«Quello che facemmo con Acea venne realizzato anche con i sindaci di destra. E lo feci da responsabile dell’ambito territoriale. E nella Conferenza dei sindaci anche primi cittadini di destra approvarono piano e tariffa».

Poi venne l’amministrazione Iannarilli ed annullò tutto.

«Tutto venne annullato e il costo finale fu di 75 milioni di euro, in contanti, immediatamente e con una tariffa superiore ai 2 euro. Perché il mio successore ritenne di fare ‘l’investigatore’».

Quelle Province, prima della riforma, costruivano scuole, svincoli stradali come quello per La Folcara a Cassino che è il principale polo universitario nel Lazio fuori da Roma. E poi lo svincolo autostradale a Ferentino, i lavori per completare della Sora-Frosinone. Le Province all’epoca erano questo?

«Se gestite bene si, erano questo. Le scuole sono la cosa migliore che abbiamo fatto».

«Ad esempio a Cassino io avevo un liceo scientifico diviso in tre palazzi, senza palestra e su cui pagavamo affitti spaventosi. Non avevo disponibilità per fare una scuola. Con un primo tentativo feci un bando di “acquisto per cose future“. Prendere cioè un terreno con destinazione d’uso compatibile e pagare dopo sei mesi, alla consegna. Le scuole a Frosinone le abbiamo fatte così. Senza spendere un euro, perché sei mesi dopo, alla consegna, avendo noi dismesso gli affitti iniziavamo a pagare le rate del mutuo».

«L’altro sistema fu il Project Financing per le opere ‘calde’».

Anche con il Cotral transammo, facemmo una delega di tutte le provvidenze di leggi future a favore delle Province per il trasporto pubblico per cui se si incassava si azzerava il debito. Il mio primo bilancio fu a zero lire e con una provincia che poteva respirare».

Quel litigio con Piero Marrazzo

Dalla Provincia alla Regione: assessore ai tempi di Piero Marrazzo. Com’era il Marrazzo politico?

«Ottimo, molto attivo, con grande capacità di comunicazione ma non solo quella. Era determinato e lasciava spazio di manovra alla giunta».

L’uscita di scena fu traumatica.

«Purtroppo poi tutto finì con le sue dimissioni per la nota vicenda, che per me gestì malissimo. Quelli che sono considerati maghi della comunicazione poi difettano proprio in questo, come lo stesso Renzi. Probabilmente, se lui avesse detto subito la verità, senza cedere umanamente al panico, avrebbe potuto tranquillamente ricandidarsi. Sondaggi alla mano aveva un consenso talmente elevato… Ma lui si dimise, noi entrammo in ordinaria amministrazione ed anche la mia azione di assessore ne risentì».

È vero che ben prima di quell’episodio lei minacciò di dimettersi?

«Minacciai le dimissioni. Sulla questione dell’aeroporto a Frosinone. Il Governo aveva deciso per Viterbo. Io ero certo dei miei progetti e pretesi che allora fosse la Regione a prevedere quella struttura. L’importante era farlo».

«Io non ho le prove, ma se si analizza il fatto che nel 2007 si decide la chiusura di Ciampino, poi di fare un terzo aeroporto a supporto di Fiumicino che andava raddoppiato c’è un quadro. Abbiamo Ciampino aperto ancora oggi e Fiumicino con un primo lotto per il raddoppio che costava 9 miliardi. I diritti aeroportuali si parametrano sugli investimenti. Non vorrei che quell’investimento, non so, chissà…».

Un Parlamento “chiacchierone”

Francesco Scalia in Senato
Va in Senato. Ottiene le salvaguardie per i lavoratori Videocon, riforma le norme sull’energia, quelle sui risarcimenti, mette mano ai testi sulle scuole. Ma soprattutto ha portato qui industrie che cercavano luoghi dove investire. Allora non è vero che in Parlamento si va solo per fare numero.

«L’emendamento sull’Area di Crisi Industriale Complessa si legò ad un decreto legge per Piombino. Se uno non sta lì e non si va a vedere anche le cose che riguardano altre realtà non coglie l’attimo per fare risultato.

Candidandomi io dissi che avrei voluto fare due cose. Questa e poi riportare il Sin a livello nazionale».

È vero che è stato lei, nella veste di Segretario di Presidenza della Commissione Industria al Senato, a convincere Francesco Borgomeo ad investire nella Saxa Gres?

«Francesco Borgomeo è un uomo ed un imprenditore straordinario. È stata la sua intuizione a rendere vincente il progetto, non il mio eventuale intervento».

È vero che è stato lei a convincerlo a comprare la Ideal Standard di Roccasecca?

«Lo tenni inchiodato al telefono per quasi un’ora. Mi mandò affanculo: dopo l’esperienza con la burocrazia italiana, i suoi partner finanziari non volevano più sentir parlare dell’Italia. Alla fine la lungimiranza dell’uomo e la sua capacità come risanatore di aziende ha prevalso».

Voi renziani volevate riformare anche il Senato: il referendum ve lo impedì.

«Anche quello del Parlamento è un problema tutto italiano. Nelle democrazie normali in aula ci si va una volta al mese. Per fare un esempio: a Bruxelles in aula ci si va a chiudere i provvedimenti. E neanche tutti. Nella discussione finale ognuno ha 5 minuti per esporre».

«Noi invece andiamo in aula tutti i giorni e dedichiamo la pausa pranzo alle Commissioni, che sono il luogo dove si lavora. Poi con Renzi le commissioni si facevano la notte. Renzi era un pessimo comunicatore ma da questo punto di vista era una macchina da guerra, grande Presidente del Consiglio. Tradurre in provvedimenti legislativi tutta quella roba che il governo faceva davvero bloccò il Parlamento».

Fu così che metteste a punto Industria 4.0, il superammortamento.

«Facemmo un gran lavoro. Vanificato dall’incapacità di comunicazione di Renzi. Incapacità di collegarsi con il Paese. Capacità che ha avuto all’inizio e che poi ha perso. Andò perso un patrimonio enorme».

Dove sbagliò Renzi?

«Se avesse gestito la riforma costituzionale, occasione di modernità unica, come un Gentiloni qualsiasi o come un sindaco, l’avrebbe consegnata al Paese. Delegando poi la decisione al Popolo. Ma non si puo’ fare una campagna elettorale sulla riforma costituzionale. Ameno che tu non abbia un consenso all’80%. Tu invece così pregiudichi il risultato di una riforma apprezzata dalla stragrande maggioranza dei cittadini. E lo vai a fare per un referendum si di te che ha portato alla fine».

Ciao ciao politica

FRANCESCO SCALIA. FOTO © SARA MINELLI / IMAGOECONOMICA
Dopo quell’esperienza in Senato dice basta alla politica. Si concentra sull’attività di avvocato e di professore. E’ rimasto così tanto deluso?

«No, lo avevo deciso già prima, i miei amici più stretti lo sanno. Avevo già detto che se fossi stato eletto la successiva sarebbe stata l’ultima legislatura. Mi misi nelle condizioni in cui ordinariamente si è eletti. Con il 26% sarei entrato. Sapevo che non sarebbe stato così. Lo avvertivo.

Mi venne un gran senso di euforia quando il giorno delle elezioni ero in studio e cominciarono ad arrivare i dati. Con essi la certezza che non sarei entrato. Fu un senso di liberazione, con il pensiero che dal giorno dopo avrei potuto dedicare tutto il tempo a cose che facevo la notte e i ritagli di una vita con poco spazio.

In questo momento cosa si sente di più: professore o senatore?

«Sono dell’idea che il titolo segua la funzione. Come nei paesi anglosassoni quando viene meno la funzione dovrebbe venir meno il titolo. Professionalmente sono un avvocato che insegna all’università part-time».

In Italia il titolo ce lo teniamo a vita. È per questo che non cresciamo?

«Noi non cresciamo perché siamo un Paese fermo, bloccato. Questo nonostante una legislazione molto avanzata. Ho utilizzato il tempo della quarantena per scrivere. Le nuove direttive europee sull’energia sostenibile impongono ai Paesi di adottare strumenti che noi abbiamo adottato da almeno 10 anni fa. Lo Sportello Unico della Attività Produttive, il Procedimento Unico, noi li abbiamo previsti già da dieci anni. Però poi la media per autorizzare un impianto per la produzione di energia rinnovabile in Europa è di due anni, in Italia è sei».

Come Citaristi, mi mosse passione…

FRANCESCO SCALIA. FOTO © RAFFAELE VERDERESE / IMAGOECONOMICA
Le è mai venuto in mente che la colpa potrebbe essere di una Giustizia poco chiara e quindi nessuno si prende responsabilità?

«Il tema non è la legislazione, il tema è una burocrazia ferma. Con essa una Giustizia Penale a volte avventata. Nella nostra amministrazione si ha paura di tutto. Succede perché c’è un reato, l’abuso d’ufficio, che per qualsiasi cosa può condurti ad essere messo sotto processo. Sotto processo a vita: perché quando non c’è nulla sotto non c’è l’archiviazione, ma si viene tenuti in aula».

Hanno provato a farlo anche con lei: tenerla sotto processo all’infinito. Al punto da dover scegliere il giudizio Abbreviato.

«Ho sempre chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato. E a volte ho dovuto spingere. Una volta dovetti sollecitare il Procuratore capo di allora per fare il processo. Ero indagato da non so quanto tempo per un reato che tra l’altro stava andando in prescrizione. E all’udienza preliminare ogni volta chiedevo di essere processato».

La prescrizione in realtà è un modo per evitare una figuraccia per molte procure.

«Non sempre, ma in molti casi è così. Dire che l’idea che cancellare la prescrizione può essere una condanna a vita ha una sua parte di verità».

Lei però quelle scelte le fece, non si rifugiò nella burocrazia
SCALIA, CON DE ANGELIS E RENNA

«Certe cose le fai per passione, non c’è altra ragione. Perché altrimenti nessuno metterebbe firma su una transazione che ti puo’ portare davanti alla Corte dei Conti per risarcimenti milionari. Lo si fa un po’ per incoscienza, un po’ perché alla fine ritieni che qualcuno dovrà pur farle queste cose, altrimenti il Paese si ferma. Un tempo la politica era fatta anche di questo, di persone».

«Anche Severino Citaristi, lo storico Tesoriere della Democrazia Cristiana, per entrare nello scabroso, si è fatto processi e ha dimostrato di non essersi preso una lira per sé. Venne processato solo perché era Segretario Amministrativo della Democrazia Cristiana e i Partiti si reggevano così. Cosa spingeva un uomo nella sua posizione a mettere a repentaglio onorabilità e fedina penale? Qualcosa che non si spiega.

È la ragione per cui altri fanno i medici o attività che vanno oltre il compenso economico. Sono passioni, passioni che motivano una vita. E la mia è stata talmente forte che alla fine si è esaurita».

Non ho rimpianti. E’ stata una vita bella e intensa, rifarei tutto. Sono anche convinto del fatto che la politica la si debba fare a tempo pieno. Preparandosi, facendo la gavetta, non si puo’ improvvisare e fare la storia dei grillini. Quelle sono follie».

«Però la politica ha un tempo definito, e par farla bene bisogna tenere un piede nella realtà ed uno nel lavoro».

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