Gargano, la mia battaglia contro il deserto per evitare che raggiunga il Lazio

La sfida per difendere l'ambiente. Il processo di desertificazione è già iniziato. ma con le nuove tecnologie è possibile gestirlo. L'Italia è in ritardo. ma missione dell'Associazione dei consorzi di Bonifica è quella di convincere la politica a pigiare sull'acceleratore. L'uomo incaricato è il direttore Massimo Gargano

La passione per la natura lo ha portato a diventare agronomo, in famiglia si occupano di uva ed olive. Recentemente ci hanno messo la birra, quella artigianale. Lui ci ha aggiunto l’impegno sociale. Prima nella organizzazioni di categoria poi nella Associazione Nazionale della Bonifica, dove è arrivato ai massimi vertici: direttore nazionale. Lì Massimo Gargano ha iniziato a ricordare a tutti che la Terra è una soltanto e che la dobbiamo tutelare.

*
Direttore, il clima sta cambiando o è un’esagerazione?
Massimo Gargano, direttore Anbi

Il clima è cambiato, assolutamente. Le vicende di questi giorni ne sono un’ulteriore ed ennesima testimonianza. Tutto il pianeta deve porsi la questione di come adottare delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, di mitigazione di questo rischio, non potremo mai evitarlo, ma mitigarlo si“.

Venezia è sott’acqua direttore, è già tardi?

Venezia è sott’acqua ed è già molto tardi, ed è uno dei primi esempi che possiamo fare sul nostro confronto delle responsabilità della politica, che non fa il proprio mestiere e non sceglie“.

“La politica non fa il suo mestiere”: perché?

Perché il Mose è l’esempio di una mancanza di rispetto delle regole, la questione delle grandi navi che attraccano a Piazza San Marco è un ulteriore esempio. Ma se pensiamo a tutto quel reticolo minore che poi va a finire con il gravare su Venezia che ha retto tantissimo perché altrimenti i guai sarebbero stati ancora peggiori, da questo punto di vista delle riflessioni ampie vanno fatte. Partendo da Venezia, arrivando a Matera e per tutte le città metropolitane. Stanno rischiando di divenire vittime della ‘incultura’ del territorio e della manutenzione che in questo paese sono ancora dominanti“.

Massimo Gargano © Imagoeconomica, Sergio Pettini
Ha detto che la politica non sceglie, cosa dovrebbe scegliere?

Sul Mose si rimane perplessi di fronte al fatto che non funzioni dopo tutto quello che è costato e che abbiamo letto dai quotidiani; si rimane perplessi quando, finito l’alibi delle risorse che mancano noi sappiamo che le risorse ci sono ma non riusciamo a spenderle. Ci sarà un qualche problema!

Si rimane ulteriormente perplessi quando in qualche modo le tematiche delle sicurezza dei cittadini derivanti da questi eventi vengono lette con una cultura emergenziale, estremamente costosa, che si traduce in una dichiarazione di stato di calamità, con cittadini ed imprese che pagano prezzi inauditi e il massimo risultato a cui si tendere è quello di ripristinare lo stato precedente all’evento calamitoso e si spende molto di più.

L’anno scorso in questo paese agire in emergenza è costato sette miliardi, quest’anno costerà ancora di più per le vicende di Venezia e Matera; è evidente che si tratta di una responsabilità forte. Noi dobbiamo passare dalla cultura della Protezione Civile alla cultura della prevenzione civile. E questa credo sia una grande sfida“.

Chi deve tutelare il territorio?

Intanto il territorio lo tutelano per primi i cittadini, con dei comportamenti che sicuramente devono rispondere a conoscenze e a meccanismi di sicurezza. Faccio un esempio e passo oltre: se compro una casa a Bagnoletto, a Stagni di Ostia o all’Infernetto è evidente che non mi sono posto la domanda sul perché qualcuno abbia chiamato quei posti in quel modo; è evidente che sono posti dove non si doveva edificare.

Massimo Gargano durante un’assemblea Anni

Poi c’è una seconda responsabilità, dettata dalle emergenze e contingenze: quando un’amministrazione comunale è costretta a fare i conti troppo spesso con la cassa vuota è evidente che con il meccanismo delle concessioni edilizie affronta e risolve un problema. E’ vero che incassa, ma sostanzialmente si hanno sempre più problemi di mancanza d’acqua in interi quartieri, di sicurezza di interi quartieri che ad ogni pioggia vanno sott’acqua, e questa è un’altra responsabilità.

Se poi alziano il livello abbiamo le Regioni, che hanno la responsabilità della programmazione dei territori e della loro sicurezza. Nelle Regioni, a mio modo di vedere e insieme al Governo si sono generate due grandi responsabilità, che io chiamo responsabilità dei condoni edilizi, del modello di sviluppo che nasce sul cemento e sull’asfalto.

E’ evidente che tutto ciò negli anni ha generato delle grandi fragilità di questi territori: cambiamenti climatici, eccesso di anidride carbonica in atmosfera… cadono le stesse quantità di pioggia ma cadono in tempi assolutamente concentrati, in maniera equatoriale. E’ evidente che queste piogge non trovano più campi, ma tetti, cemento, terrazzi, asfalto, acquistano velocità, con l’abusivismo che molto spesso è stato fatto ‘tombando’.

C’è stato un lungo periodo in cui in questo paese ha prevalso la cultura napoleonica, cioé che i fossi e i canali si chiudono e ci si fanno le case sopra. Questo è stato fatto con una cultura che definisco ‘napoleonica” di cui il Bisagno è un esempio; a Genova spendiamo 500 milioni di euro di questo paese per allargare un pochino questo fiume sopra il quale ci sono case.

Abbiamo chiuso il Seveso, stesso discorso, nel Lazio abbiamo poi intere aree, Ostia, Fiumicino, interamente abusive e poi condonate negli anni. Ecco, questa è una problematica molto seria perché non si sono fatte le scelte dovute e si pensava che il modello di sviluppo fosse quello.

Oggi quel modello non solo arranca, ma ha mostrato tutta la sua debolezza. E’ chiaro che ci vuole un sistema che dica con grande coraggio, un sistema di chi ha il potere di decidere, che si deve cambiare modello“. 

Massimo Gargano direttore Anbi © Imagoeconomica, Sergio Oliverio
Direttore, una volta c’erano i contadini, i montanari, i pastori, c’erano coloro i quali si occupavano della manutenzione del territorio, e oggi? Non lo fa più nessuno?

Oggi intanto tutte quelle figure che lei ha citato hanno abbandonato la collina e la montagna. Perché lì è più difficile fare agricoltura e allevamento; si sono spostati anche loro in pianura, soprattutto la popolazione dell’alta montagna e della collina. Questo generando due fragilità: quella delle aree interne per la mancanza dell’uomo, e l’uomo se non sta in quei posti lo fa perché non fa reddito, non ha servizi, scuole, ospedali… Quindi c’è una grande fragilità.

Poi ce n’è un’altra, quella dell’eccesso di pressione antropica sulle coste. Anche lì, sulle risorse ambientali – acqua, ambiente, territorio – noi facciamo troppa pressione ed è un’altra fragilità; quella montagna è condannata agli incendi, è condannata ad essere esposta proprio perché manca la prima opera di manutenzione, quella che fa l’uomo e che fa l’uomo imprenditore agricolo.

È evidente che (così) la situazione è estremamente più difficile, qui intervengono ed esercitano tutti i loro ruoli i Consorzi di Bonifica. I Consorzi operano nel paese su oltre 200mila km di canali, muovono la manutenzione ordinaria e preventiva. Lo fanno con risorse proprie, con i propri consorziati ed è indubbio che sono dei soggetti operanti soprattutto in aree rurali.

Poi c’è un elemento di modernità: quando noi vediamo queste piogge che si manifestano, per sempio nella Città Eterna, nella nostra Capitale, se chiudiamo gli occhi per un istante vediamo dei cassonetti che camminano sull’acqua, ed è un’immagine terribile della Città Eterna. Ecco, da questo punto di vista, oggi credo che i Consorzi di Bonifica siano una frontiera insieme alle amministrazioni comunali per affrontare il tema della sicurezza idraulica dentro la città“.

Parlando dei cassonetti e al di là del fatto che galleggino sull’acqua, ma una Capitale europea che abbia ancora i cassonetti è davvero anacronistica. Di fatto vi occupate quindi voi di quella manutenzione che prima facevano i contadini e i montanari, con risorse vostre. Capisco bene? Servono operai specializzati, tecnici, competenze… Di fatto siete stati messi in condizioni di poter fare bene e in maniera compiuta questo lavoro di prevenzione? 
Andrea Renna (direttore di Anbi Lazio) e Massimo Gargano (direttore Anbi nazionale)

Guardi, noi nel 2022 celebreremo i cento anni da San Dona’ del Piave, la nostra è una cultura che si è sempre dimostrata flessibile, attenta alle esigenze del territorio, del clima e della società. Siamo passati dalla bonifica della salute, quando asciugavamo i terreni per la problematica della malaria, ad altre mansioni; li asciugavamo e li consegnavamo agli agricoltori per produrre cibo, questo nella fase immediatamente post bellica.

Negli anni ’90 arrivammo alla gestione integrale, quindi abbinammo alla difesa del suolo il governo dell’acqua irrigua per l’agricoltura e poi entrò il tema della gestione ambientale. Io credo che nel 2022 Anbi celebrerà a San Dona’ di Piave e a Roma un suo percorso di un secolo di adattamento ai territori e saremo con grande orgoglio quelli che potranno dire – fatti e concretezza alla mano – di aver dato ad oggi l’unica risposta concreta in questo paese alle grandi criticità dettate dai cambiamenti climatici.

Il Piano nazionale degli Invasi e quello irriguo nazionale rispondono a due esigenze: raccogliere l’acqua quando è troppa per poi averla a disposizione quando non c’è, ed ecco la risposta che le dicevo alla dichiarazione dello stato di calamità. Anziché dichiarare lo stato di calamità quando c’è troppa acqua, raccogliamola e quando dobbiamo dichiararlo per la siccità ce l’abbiamo dentro degli invasi.

Lo abbiamo fatto e messo in campo con una progettualità fatta dai nostri collaboratori; noi abbiamo operai meravigliosi che conoscono i territori in maniera puntuale, perché sono sul territorio tutti i giorni proprio a fare quelle manutenzioni, a gestire gli impianti irrigui.

Il sottosegretario Morassut con il direttore Gargano

Abbiamo uffici tecnici che sono in grado di trasformare quelle criticità in opportunità, e se abbiamo potuto presentare un Piano Invasi che il paese ha scelto con provvedimenti e risorse, lo abbiamo potuto fare in ragione del fatto che tutto è stato trasformato in una progettualità esecutiva, quindi cantierabile. In questo caso non con risorse nostre, perché fare un invaso non è un’opera per noi o per le nostre imprese o per i nostri consorziati, è per tutti, in questo caso con un finanziamento pubblico.

Il Piano Irriguo Nazionale è andato invece in una direzione di grande spinta verso le imprese ad utilizzare in maniera molto più efficace ed efficiente la risorsa acqua, con la prospettiva concreta di avere un maggior reddito, perché poi quest’acqua costa alle imprese agricole, ma anche una maggior competitività per quelle imprese agricole, anche con un bel vantaggio per i consumatori e tutto questo si traduce nel prezzo finale del prodotto“.

E’ vero che senza di voi, tanto per fare un esempio, Fiumicino sarebbe sott’acqua? Altro che aeroporto…

Fiumicino sarebbe interamente sott’acqua, se non ci fossero le idrovore, il Consorzio di Bonifica di Roma, ma anche Tarquinia sarebbe completamente sommersa, come Pomezia e Tor Vaianica, per non parlare di tutto l’areale Pontino perché, insomma, quello è stato anche un momento qualificante della storia della bonifica“.

Abbiamo detto che la politica finora è stata assente, però è innegabile che con l’arrivo di Gargano sia iniziato il lavoro di ‘cucitura’. Come reagisce la politica di fronte ai problemi ambientali che finalmente che finalmente adesso qualcono gli sottopone, e non solo per dirgli ‘qui c’è un problema’ ma anche per fornirgli una soluzione?

La sfida è quella. Io sono personalmente convinto che la politica e i cittadini, rispetto alla tematica della risorsa, finché apriranno un rubinetto uscirà dell’acqua, il tema se lo porranno ma in una maniera molto soft.

La tematica invece è molto forte, la desertificazione è sotto gli occhi di tutti, non è più un problema insomma della Sicilia; aveva ragione Sciascia quando diceva che ‘la linea del fico d’India in questo paese crescerà sempre di più’. Noi abbiamo tutto il Centro Italia che sostanzialmente ormai è a rischio desertificazione.

Massimo Gargano

Che poi in senso buono la politica siamo noi perché è un’espressione nostra, in queste questioni esattamente i cittadini, è costretta a comprenderla. Le immagini che vengono offerte dalle Tv, dai mezzi di comunicazione in qualche modo pongono queste problematiche in maniera forte e per tutti. E’ chiaro che mancano delle competenze molto puntuali, è chiaro che noi interveniamo su vicende che hanno bisogno di un tempo lungo per realizzarsi e per la queli raramente un politico sa che finanzia un progetto e poi sarà lui ad inaugurarlo, e questo lo rende meno appetibile.

Ma indubbiamente, oggi questo paese, ma ormai tutto il Bacino Mediterraneo, stanno affrontando con grande forza la tematica della desertificazione. Noi stessi come Anbi abbiamo promosso un’associazione europea, composta dall’Italia, dalla Francia, da Spagna e Portogallo, cioé paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e che devono fare i conti con la disponibilità della risorsa, sia in termini quantitativi che qualitativi. Viceversa, non riusciamo più a produrre cibo, perché senz’acqua non c’è il cibo, e le ricordo, a lei ed agli amici che ci stanno ascoltando, che si puo’ fare agricoltura senza terra, certamente, ma non si puo’ fare agricoltura senz’acqua“.

Il Lazio toglie e Comunità Montane: fa bene o sbaglia?

Questo non tocca a me dirlo, le Comunità Montane secondo me hanno un grandissimo ruolo e ne conosco di eccellenti laddove c’è una Comunità Monatna in cui i servizi di area vasta servono, in cui accorpare servizi è utile. Certo, le Comunità Montane fatte sul mare hanno lasciato perplessi molti, sono sembrate uno spreco di risorse e a mio giudizio di spreco si è trattato“.

l’Italia comunque non è tutta quanta uguale, anche con i Consorzi. Ce ne sono alcuni che rispondono al volo, altri che impiegano anni a sviluppare un progetto: a quante velocità viaggiate pure voi?

Ho avuto grande soddisfazione l’altro giorno, quando il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ad un evento pubblico, ha serenamente ammesso un suo enorme errore: quello di voler trasferire la gestione della risorsa acqua dai Consorzi di Bonifica – stiamo parlando della Puglia – ad un ente gestore del servizio idrico integrato, l’Acquedotto Pugliese“.

Gargano con il presidente nazionale di Anbi

Ci ha fatto perdere 15 anni, questa scelta fatta per ultimo da Emiliano, ma anche dai suoi predecessori; siamo stati 15 anni a dimostrare che non lo consentivano la legge, l’economia e lo Stato italiano, quando una legge, la 152, dice cose molto chiare: che l’acqua è pubblica e che non la possiamo dare ad una Spa e che dopo l’uso umano e potabile c’è l’uso agricolo. Ci abbiamo messo 15 anni per farlo capire ad una amministrazione regionale.

La settimana scorsa ci sono stati due giorni di protesta in Sicilia, il primo giorno dei lavoratori, il secondo delle imprese agricole, nei confronti di una scelta dell’amministrazione regionale siciliana, che abbiamo voluto chiamare ‘necessità di bonificare la legge di riforma della bonifica‘. Ventisette anni di commissariamento hanno ingessato un sistema ed hanno messo un sistema agricolo in condizioni di non avere l’acqua e oggi una terra come la Sicilia, che del cibo, delle bellezze culturali, di mare e ambiente e paesaggio dovrebbe fare il vero motore per economia e occupazione, si trova in gravissima difficoltà e siamo arrivati a fare pozzi che pian piano arriveranno agli antipodi.

Questa è faccenda gravissima, perché determina l’abbassamento della falda freatica, la penetrazione delle acque del mare sotto la stessa falda e quindi la perdita per sempre della stessa. E con l’acqua salata non si puo’ fare più agricoltura. Scelte folli, scelte folli in cui i Consorzi, con questi comissariamenti, sono stati condannati ad essere strumenti di welfare, ma di un welfare negativo. Questo atteggiamento ovviamente cambia e quindi noi abbiamo tre Italie: l’Italia dell’eccellenza, abbiamo un’Italia che deve decidere dove stare e poi abbiamo un Mezzogiorno che è quello che il Rapporto Svimez giorni fa ha raccontato benissimo, dove ci sono una diseguaglianza sociale, economica, culturale, sanitaria, scolastica che dovrebbero far riflettere molto, parlavamo delle Comunità Montane, su come certe Regioni hanno esercitato il ruolo ad esse affidato“.

Sprechiamo ancora troppa acqua?

Se posso permettermi è uno degli argomenti sul quale mi sento personalmente più impegnato. Noi quest’anno a Macfrut presenteremo un progetto che i Consorzi di Bonifica realizzeranno, con cui daremo un certificato, un bollino blu a quelle organizzazioni di produttori che saranno in grado di dimostrare un uso efficiente della risorsa. Quindi al nostro consumatore non solo diremo ‘ti diamo un prodotto buono’ ma anche un prodotto che aiuta l’ambiente, questa è la nuova frontiera.

Ad Expò 2015 il ministro dell’Agricoltura di allora ha potuto raccontare l’Italia tramite un sistema in reframe con cui davamo un consiglio irriguo ai nostri agricoltori in maniera importante, nel senso che dimostravamo che conoscendo una coltura, ad esempio un pomodoro – fase fenologica, il pomodoro nella fase di maturazione del frutto – e la stratigrafia del terreno, dicevamo a quell’agricoltore sul telefonino e dai nostri computer quanta acqua dare e quando darla.

Sfato un luogo comune. Qui siamo in una provincia dove il riso lo si consuma e basta, ma se chiudiamo gli occhi e pensiamo al riso nelle provincie tipiche, in Piemonte, Lombardia e Veneto e in maniera minore in Sardegna, lo immaginiamo come la coltura più idroesigente del mondo. Ho spiegato a quegli amici che il riso non è la colura più idroesigente, è quella a cui dovremmo essere più grati, perché altrimenti l’acqua che si scioglie sulle nevi delle Alpi Piemontesi arriverebbe immediatamente nel Po e di corsa andrebbe al mare, perché questa è la sua storia.

Le risaie piemontesi, anche perché sono sul livelli diversi dal punto di vista dell’altimetria, consentono di utilizzare quell’acqua più volte, di rallentarne la fluenza al mare, di utilizzarle in quelle risaie per ricaricare la falda; spesso poi ci sono dei salti dove si produce energia e quell’acqua, prima di rientrare nel Po va in Lombardia e crea le risorgive. Tutto questo genera produzione, occupazione, paesaggi meravigliosi e turismo. Questo mi serve per dire che quando di acqua ce n’è tanta va utilizzata, perché se la utilizzi quell’acqua diventa un fattore produttivo e multifunzionale. E’ quando ce n’è poca che si deve fare l’esatto opposto, e le ho raccontato del reframe che abbiamo fatto allora e di quato Made in Blu che stiamo preparando e che presentaremo a Macfrut a maggio 2020″.

Greta è solo un fenomeno passeggero?

Credo che porti una cultura inarrestabile, non c’è Trump che tenga. Puo’ dar fastidio, e darà fastidio…

Plastic Free è una cosa seria?

E’ una cosa infinitamente seria. I fiumi italiani devono essere tutti curati, per liberarli dal cemento e ridare ad essi lo spazio, ma soprattutto perché sono diventati dei torrenti che trasportano al mare montagne di plastica. Su questo tema noi ci siamo impegnati molto, proprio perché la plastica nei nostri mari, quella che abbiamo visto con le varie campagne di comunicazione, arriva tutta sostanzialmente dai fiumi. I fiumi sono i vettori della plastica e quella plastica crea problemi“.

Ma il problema non è tanto la plastica, è forse chi ce la butta…

E lì ritorniamo ai comportamenti…”

Uno degli impianti della Bonifica
…perché se noi non buttassimo le bottigliette di plastica dentro ai fiumi non arriverebbero al mare. Forse ce la siamo presa con ‘l’oggetto’ sbagliato, con la plastica, forse avremmo dovuto colpire i comportamenti imbecilli di molta gente che getta via la bottiglia di plastica…

Non c’è dubbio. Ci sono paesi del Nord Europa in cui la plastica si riconsegna; questo accade anche da qualche parte qui in Italia invero, tu riconsegni delle bottiglie di platica e ti vengono dati dei premi economici, degli incentivi. Credo sia un fatto culturale…

A proposito di cultura, il nostro futuro si chiama economia circolare?

Assolutamente si“.

Recuperare la materia prima, farla tornare ad essere materia prima partendo da quello che per altri invece è uno scarto, è finito un ciclo…

E’ difficile immaginare che possa esserci lo scarto di un qualcosa che non sia riutilizzabile, si chiami plastica, cibo… Tutto puo’ essere riutilizzato, ovviamente va fatto con le dovute attenzioni, ma l’economia circolare è la risposta più vera a tutte le tematiche poste dai cambiamenti climatici“.

L’agricoltura puo’ tornare ad essere centrale nella nostra economia?

Guardi, faccio una provocazione e qualcuno ci si arrabbierà, ma ce ne faremo una ragione: il nostro futuro non puo’ essere disegnato con l’Ilva. Non è l’acciaio il nostro futuro, in esso non c’è il carbone, non c’è lo zolfo. Nel nostro futuro c’è l’esaltazione dei valori dei territori e la loro trasformazione in valori economici.

I valori dei territori, in Italia e per come questo paese è fatto, sono i valori ambientali, culturali, paesaggistici e quelli di un grandissimo cibo, quindi di un grandissimo agroalimentare. Credo che questa sia la grande, davvero grande risorsa che abbiamo. Come la aiutiamo? Con le immagini di Venezia? Non credo“.

La qualità è fondamentale?

La qualità è la reputazione, non solo è fondamentale, ma è la base su cui impotare ogni cosa. Io credo che possiamo truffare una persona una volta, ma poi finisci dentro…

Fate tutto questo, la manutenzione, la prevenzione, la cura dle territorio, l’esaltazione della risorsa dell’acqua, il suo riutilizzo…, e poi siete conosciuti per la storia delle bollette che arrivano all’improvviso anche perché si cambiano i regolamenti. Cambio di passo anche qui, da qualche mese a questa parte l’input che viene dato ai direttori sui territori è ‘dialogo, tornate alla concertazione e a dialogare con chi governa i territori’, cioé con i Sindaci. Rende? Frutta?

Il caso del Lazio credo sia emblematico. Non si tratta di rendere o fruttare, io credo che si tratti di un dovere. La differenza fra i Consorzi di Bonifica e una società o un ente gestore del servizio integrato sta tutta lì. I Consorzi di Bonifica sono attori del territorio che si mettono insieme e indubbiamente devono parlare con gli atri attori del territorio, per primi i Sindaci. In un paese che ha fatto una riforma di abolizione delle Comunità Montane e delle Province l’imprenditore agricolo, il cittadino che ha la casa, l’immobile, il commerciante, l’artigiano, hanno il sindaco… ad esempio, c’è il sindaco di Aquino e poi c’è Zingaretti, che per il cittadino è troppo lontano; per una politica di ascolto, di confronto è troppo lontano, non per colpa di Zingaretti, assolutamente, ma resta lontano.

E’ evidente invece che il Consorzio di Bonifca è un soggetto di territorio partecipato dal basso e quindi deve assolutamente esaltare questi valori; la comunicazione poi è fondamentale, perché noi non agiamo nella città purtoppo. Noi agiamo su tutto quel reticolo che è guori dalla città e sul territorio rurale, fondamentale per la sicurezza della città ma non visto dalla stessa“.

Dove volete arrivare?

Semplicemente ad esercitare le nostre competenze, il nostro ruolo ed avere una reputazione che ci metta in condizione di continuare a cammnare a testa alta“.

Olio e vino, ma è vero che adesso si  messo a fare anche la birra?

Questa è la mia famiglia, io la guardo con grande simpatia, li aiuto anche ma da lontano“.

Dicono che in famiglia sia suo fratello quello che lavora e lei quello che invece va in giro a fare chiacchiere…

Non credo, che mio fratello sia quello che lavora senz’altro, io faccio un altro lavoro… del nostro olio sono molto orgoglioso, perché è un olio che partecipa a premi, che ne vince, insomma, fa parte di quella olivicoltura di qualità riconosciuta; da anni siamo nelle guide del Gambero Rosso e questo significa che qualcosa, anche la soddisfazione da un punto di vista imprenditoriale, indiretta ma c’è“.

Siete anche un esempio per gli altri, perché così dimostrate che se si punta sulla qualità e non sui numeri poi si riesce ad arrivare al Gambero Rosso e anche più in alto…

Ma guardi, utilizzare il grano Senatore Cappelli per la birra è una scelta, molto puntuale. Hai una produzione che è biologica e la facciamo con molto orgoglio, perché abbiamo un prodotto biologico, fatto con un grano antico, molto particolare e quindi in qualche modo è anche un modo di voler essere azienda, di voler fare impresa, che tutto sommato ti toglie da una competizione con delle multinazionali che fanno birre industriali e che ti fa presentare con il volto del territorio“.

Il fatto è che molti giovani stanno riscoprendo l’agricoltura e i prodotti tipici del territorio anche attraverso questo segmento, cioè quello della birra oppure della trasformazione del prodotto locale…

Credo che in agricoltura ci sarà sempre più spazio per chi riesce a chiudere la filiera. Abbiamo parlato di economia circolare, ma chiudere la filiera per un’impresa, soprattutto italiana, con le nostre dimensioni, credo che sia una prospettiva affascinante di mercato. In più è una sfida che ti rende forse un po’ meno produttore e un pochino più imprenditore“.

Dovendo scegliere, la nuova legge sul dissesto idrogeologico o la vittoria della Lazio nel derby?

Domanda assolutamente imbarazzante, diciamo entrambe e abbiamo risolto“.

Magari…

La Lazio il derby lo vince senza che io debba scegliere…