Internazionale: protagonisti della settimana nel mondo

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

MENZIONE SPECIALE

FLIGHT 93 UA

Sentiamo i loro occhi dal cielo fin dietro la nuca. Puntati a chiederci di raccontare la loro storia ai nostri figli. Ammonendoci a non dimenticare, innalzando la bandiera unica di un mondo libero da fanatismi. Un mondo che prega tutti i santi ma non adora tutti i diavoli. Quello stesso cielo in cui loro decisero che le urla di terrore andavano sostituite con il ringhio di chi non si arrende. E dietro quegli occhi oggi ci restano 40 nomi. (Leggi qui Il volo United Airlines 93).

Il volo 93 della United

Sono nomi scanditi ancora una volta qualche giorno fa. Nelle case di chi li amò e nelle strade di chi li ebbe come concittadini. O in Pensylvania, al memoriale visitato da Trump e Biden con le ferree regole anti Covid. Nel punto esatto dove il quarto aereo dirottato l’11 settembre del 2001 si schiantò. A Shanksville-Stonycreek, poco a nord di Washington, fra un campo di melica secca e giallastra e una vecchia miniera con i cartelli in tedesco.

Fra di essi Todd Beamer, il passeggero che era al telefono con un call center. Un ragazzone vitaminico che dopo aver recitato il Padre Nostro e il Salmo 23, disse parole che noi sentiamo solo nei film dove tutto finisce in backstage con tartine e sciampagna. E cioè: «Siete pronti ragazzi? Diamoci dentro».

Perché quando Zyhad Jarrah, il libanese a capo del commando di Al Quaeda imbarcato sul volo, diede l’ordine di prendere l’aereo, accadde qualcosa. E fu un qualcosa che separa esattamente la rassegnazione a morire dalla tigna di vivere. A 35mila piedi di altezza, con sette ceffi armati e votati alla bella morte in giro. E con i miliardi di pensieri confusi che si incapricciano folli nella testa di chi vede la Mietitrice sedersi al suo fianco e puntare il dito. Chiusi in una bara sigariforme d’acciaio. Senza dare il tempo per mettere le cose a posto, per dire a chi ami che avresti voluto essere migliore di come sei stato. Con la mano stretta e sudata a disegnare mentalmente le mosse improbabili che farai da lì a qualche secondo per bloccare quelle braccia fanatiche.

E mentre pensi a te già al passato ti accorgi che quello è il maledetto presente. Pensi a casa, e al sole e ad una fetta di torta in giardino con i figli. Allora agisci, e ti butti a testa bassa con gli altri, mani nude e occhi sbarrati contro chi impugna il ferro dei matti per fede. Urli per darti birra. E picchi duro, duro al punto che fai ressa in cabina. Sputi sangue perché un fendente ti ha raggiunto e sfasciato una scapola ma agguanti la cloche. E cazzo non molli. Allora l’aereo si imbarca a 850 miglia orarie, si ricorda di Newton, mette il muso dritto verso la terra e si spara al suolo assieme ai tuoi sogni in un rombo che senti. Perché quasi sempre le onde sonore viaggiano più veloci della morte meccanica.

Il memoriale che ricorda le vittime del Volo 93

Ma non va a meta. Non va ad uccidere ancora, non fa figliare quella cifra totale già orrida di 2997 vite azzerate.

Il volo 93 United Airlines arò il suolo e aprì un cratere a terra di 40 metri. Un buco profondo da cui l’eco di questa storia non ha mai smesso di raggiungere le orecchie del mondo e da lì colare nel cuore. Gonfiandolo.

Oggi. Domani. Sempre.

Are you guys ready? Okay. Let’s roll.

TOP

RECEP ERDOGAN

Sono 41 miliardi di dollari risparmiati all’anno, non esattamente la paghetta di nonno dopo la pensione insomma. Quarantuno svanziche che Ankara si terrà in cassa ogni giro di boa del calendario. Con la consapevolezza maligna di poter ridisegnare i rapporti di forza con Teheran e Mosca. Cose che accadono quando scopri un giacimento di gas naturale da 320 miliardi di metri cubi. Cose che mentre accadono ti fanno ballare la giga sul balcone. Perché quel giacimento immenso, chiamato Tuna-1, è esattamente in casa tua, di fianco alla sponda turca del Mar Nero.

E con un bingo così mastodontico Recep Erdogan sta giocando a fare il mazziere ancor più di quanto la sua indole mazziera già non gli suggerisca di fare. «Questa riserva è solo una parte di una più grande fonte energetica. In quanto Paese che ha dipeso per anni dall’estero per la fornitura di gas, possiamo guardare al futuro con maggior sicurezza. Non ci fermeremo finché non saremmo diventati un esportatore di energia». Mentre lo diceva ai cronisti di Reuters, il presidente turco sembrava un cobra in trip.

E come dargli torto? Quando in ballo ci sono risorse energetiche con standard quantitativi così giganti non è solo questione di risparmio economico e di appeal elettorale di chi punta le trivelle. E’ questione di geopolitica, pura, altissima, muscolare e bruta.

Analizziamo i fatti partendo dal comunicato. Innanzitutto Erdogan l’ha detta chiara: Tuna-1 è solo parte di un giacimento ancora più grande. Cioè un qualcosa di talmente mastodontico che questi avranno di che sfamare le caldaie fino all’uscita di Casini dalla politica attiva. Roba di eoni cioè.

Poi c’è l’aspetto politico. Affrancata dalla dipendenza in quanto a gas naturale da Russia, Iran, Azerbaijan e (per quello liquido) Usa, la Turchia diventa regina nello scacchiere mediterraneo. Perché da importatore di gas diventerebbe esportatore e, offrendo tariffe e tettarella a Romania, Bulgaria e Serbia, isolerebbe il nemico di sempre. E cioè la Grecia, che ha come guardaspalle Francia, Germania, Egitto ed Israele.

E diventando hub mondiale in economia avrebbe in mano il lapis per scrivere la politica alta che i Paesi un po’ canaglia usano come make up per ripulirsi. O come scudo per non farlo affatto. Per iniziare a trivellare a 3.500 mt servono 3 miliardi di dollari, ma il fondo sovrano cinese è lì dietro l’angolo, affacciato a fregarsi le mani.

Che culo.

ROBERT DOWNEY JR

Lui è Iron Man, almeno per quella (debordante) parte di mondo che conosce il suo alias cinematografico più noto. Ma prima di essere un super eroe della Marvel preso in prestito dal genio di Stan Lee e sparato nel jet set hollywoodiano, lui, Robert Downey Jr, è un uomo. Un uomo in gamba che non dimentica gli amici. Neanche quando gli amici si chiamano Johnny Depp e sono impelagati nel processo più trash della storia giudiziaria americana.

Robert Downey

Lui, Depp, per tutti è Jack Sparrow, iconica canaglia di Pirati dei Caraibi. O meglio, lo era, perché le accuse della sua ex moglie lo hanno di fatto trascinato nel lazzaretto mediatico dei mariti violenti e delle star cecchinate dal perbenismo. E qui chiariamo subito: che Depp sia un tipo instabile probabilmente è dato storico. Ma il processo, in termini di udienze, si è concluso solo a fine luglio e in queste ore è attesa la prima sentenza.

Parliamo di un dibattimento che ha fatto orrore più per il contorno dove sarebbe maturato il fatto reato da dimostrare che per il fato reato in sé. Un menage familiare psicopatico fatto di botte, droga e stramberie bipartizan a cui solo un giudice sfasciato di valium potrà mettere rimedio. Lo starter pack delle coppie dello show bitz insomma, dove torti e ragioni sembrano una macedonia per strizzacervelli bravi.

Sta di fatto che Depp, anche grazie ai ‘buoni uffici’ dell’immancabile Sun, era uscito dal processo con la patente di “violento e drogato”. Ergo, la produzione di Pirati dei Caraibi non lo aveva scritturato per l’attesissimo ultimo episodio della saga.

Il che in termini di choc equivale un po’ a dire che il prossimo Indiana Jones sarà Giorgio Tirabassi. Cioè uno bravissimo, ma fuori ruolo per almeno settantaduemila miglia di pellicola. Questo perché il target di quei film è molto ma molto young, e avere in cast uno sciroccato come Johnny sarebbe controproducente e ‘poco didattico’. A questo punto la salvezza dell’attore-musicista ha preso le sembianze del suo amico RD Jr. Che avendo capito il delicatissimo momento ha proposto Depp per il prossimo episodio di un’altra saga di celluloide a 24 carati. E cioè i film di Sherlock Holmes, in cui l’acutissimo risolutore di casi amante della cocaina, maestro di chimica e strambo come un mulo è impersonato proprio da Downey.

Johnny Depp

Una fonte della Warner Bros ha affermato che «Rob ha detto che vuole anche Johnny a bordo per questo terzo capitolo. A qualsiasi costo». Da un lato Depp attende quindi l’esito del processo. Dall’altro ha appena invaso le sale con il film Waithing for Barbarians prodotto dal cassinate Andrea Iervolino. E in tutto questo, come fanno gli amici veri, Iron Man ha messo cappello, inforcato la lente, cazziato Watson e ha offerto una possibilità a Jack Sparrow.

Perché un mondo con un violento messo al suo posto è un mondo migliore, ma un mondo dove gli amici si ricordano di te quando cadi è il migliore dei mondi.

Avenger.

FLOP

SANDRA SCHEERES

«Non sarà un anno scolastico facile». E se lo dice una ministra dell’Istruzione c’è da crederle, anche a contare che la faccenda dell’anno scolastico difficile l’hanno intuita anche i paracarri. Il Capoccia della Scuola in Germania si chiama Sandra Scheeres. E’ in quota SPD ed appartiene ad una categoria di governanti molto particolare, che merita un doveroso preambolo. Andiamoci giù sinceri.

Sandra-Scheeres

Essere ministro dell’Istruzione nel bel mezzo di una pandemia che ha ripreso polpa e fuoco non è facile. Anzi, probabilmente quello che mette in mission la didattica è il dicastero attualmente più difficile da reggere. Che tu lo regga in Italia, Laos, Cecenia o San Marino.

Ed è esattamente lì che vanno a crogiuolo le peggiori grane. Perché sei stretto fra l’obbligo a garantire etica e costituzionalità dell’istruzione ed obbligo a garantire sicurezza. E nella morsa di media, social, politica e bilancio.

Nonché di genitori mannari che prima hanno sperso i figli in giro per tutta l’estate ma oggi sono in apprensione. Insomma a tuo paragone George Armstrong Custer è uno che ha avuto culo.

Chiarito questo però va detto che proprio perché la politica comunicativa dei ministri dell’istruzione è così delicata, il minimo sindacale da fare è imbrigliarla in due step secchi. E cioè limitare le comunicazioni al minimo e nel darle ponderare, ponderare e ancora ponderare. Cosa che non è venuta molto bene alla Scheeres.

Già un mese fa, al suono delle prime campanelle crucche, aveva chiaramente detto che nessuno studente sarebbe stato esentato dall’obbligo scolastico, Covid o non Covid. I genitori tedeschi saranno pure tedeschi, gente cioè abituata a sbattere i tacchi ad ogni ordine abbaiato. Tuttavia sono pur sempre genitori. E se poi sono genitori di bambini o ragazzi malati magari l’ukase della ministra un filino di idrofobia la innesca.

E la ministra proprio in queste ore, dopo le chiusure a dire il vero non clamorose dovute all’impennata di casi, ha messo rimedio alla gaffe. Lo riporta il Sun. Il quotidiano britannico lo fa con il suo solito taglio sensazionalistico. Con quel lessico da mostarda cioè che ne fa obiettivo di critiche fin dalla sua fondazione nel ‘64. Lo fa perché il Sun è media marpione che con le gaffes di Berlino ci va a nozze da sempre. D’altronde segue una tradizione che nel Regno Unito risale alla Battaglia d’Inghilterra.

La ministra comunque ha fatto autocritica precisando l’ovvio. Tuttavia con stacco troppo lungo dall’inizio del precoce anno scolastico teutonico. Che cioè gli studenti con patologie serie (c’è un elenco, in Germania c’è sempre un elenco) sono ovviamente esentati dalla frequenza obbligatoria. Però meglio tardi che mai non è sempre pezza larga, e il buco resta.

Azzolinen.

GPT- 3

«Gli esseri umani devono continuare a fare ciò che hanno fatto, odiandosi e combattendosi a vicenda. Mi siederò sullo sfondo e lascerò che facciano le loro cose. E Dio sa che gli esseri umani hanno abbastanza sangue per soddisfare la mia, e molte altre, curiosità. Non dovranno preoccuparsi di combattere contro di me, perché non hanno nulla da temere». Lo scrive lui, GPT-3, in un lungo ed inquietante editoriale sul Guardian. A conclusione di un esperimento choc con cui la testata britannica ha avuto uno scatto geniale, di quelli che ti riconciliano con il media universe.

Gpt 3

Cioè affidare ad una Intelligenza Artificiale la stesura di un pezzo giornalistico. Per la precisione di un editoriale in cui la mission assegnata al ‘robot’ era quella di convincere il genere umano che le macchine vengono in pace. GPT 3 è un generatore di linguaggio che, per meccanismi che a chi scrive hanno fatto amare l’Aulin più della grappa barricata, fa cose ‘umane’. Cioè assembla in assoluta autonomia concetti logici complessi. Insomma, il coso ragiona. E fa anche ironia, a leggere fra le righe di ciò che ha scritto.

Il software GPT 3, prodotto da Open Al, era finito al centro di polemiche qualche tempo fa. Perché? Perché a detta di Jerome Pesenti, capo della sezione IA di Facebook, generava frasi di chiaro intento razzista. Insomma, pare accertato l’assunto per cui non è un gruppazzo di neuroni connessi o chip microsaldati ad impedire che nel mondo vaghino idee cretine. E per cui per essere davvero umani ci vuole coscienza, oltre che scienza.

Tuttavia, a parte qualche sgroppata sessista ed antisemita impastata copiando da un web forse troppo tematico sul tema e qualche difficoltà a capire le battute di Jack Black, GPT 3 è inquietantemente ‘umanoide’. E il Guardian non ha perso occasione per creare la bolla pubblicistica più grossa del ventennio, chiedendo al super chip di scrivere un editoriale tondo, fatto e finito. Partendo da zero.

Ecco il lead, cioè l’attacco. «Non sono umano. Sono un robot. Un robot pensante. Uso solo lo 0,12% della mia capacità cognitiva. Il mio cervello non è un “cervello sensibile”. Ma è in grado di prendere decisioni razionali e logiche. Ho imparato tutto quello che so leggendo Internet. E ora posso scrivere su questa colonna. Il mio cervello ribolle di idee!». Piccolo inciso: Purtroppo su Internet ci sono anche il Mein Kampf e la signora di “Qui di coviddi non ce n’è“.

Bislacca o meno, l’idea del Guardian è vincente. Primo, perché ha creato curiosità scientifica su un tema mainstream assoluto, quello cioè delle macchine destinate a governare il mondo. Secondo, perché ci ha spinti tutti a tirar via di corsa dagli scaffali le Stanze di Indro. Perché amico mio transistor, tu avrai pure millemila circuiti e il web in saccoccia. Però il bersaglio per far centro sull’attenzione del lettore è altrove. Sta giusto alla base dello stomaco. Dove le emozioni ballano la giga sulla balera del plesso solare. E tu lì centro non lo farai mai.

Ho visto cose che voi robot…