Internazionale: protagonisti della settimana XXIV nel mondo

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

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IL SENATO BRASILIANO

La sede del Senato brasiliano

Dicono quasi tutti, fra gli osservatori internazionali studiati, che in Brasile Bolsonaro spadroneggia su tutti i fronti e che alla fine è un liberticida. Liberticida agevolato dal fatto che i carioca non tengono in gran conto i luoghi istituzionali dove la libertà si sostanzia.

Sbagliano, sbagliano tutti. E a dimostrarlo è arrivato il giro di boa dell’inchiesta monstre che una commissione del Senato brasiliano aveva avviato ad aprile. Su cosa? Sui criteri cretini di gestione del coronavirus proprio da parte del bolsoBolsonaro. Lo scopo è accertare entro luglio se il presidentissimo con gli occhi da asceta de no’antri abbia agito con lentezza ed inefficacia nel contrastare il covid e metterlo formalmente sotto accusa.

Meme veloce: in Brasile sono stati messi in spunta quasi 17 milioni di contagi e sotto terra quasi mezzo milione di persone. I dati sono della John Hopkins University, che non è esattamente la foresteria del Divino Amore.

Ma il Senato brasiliano, che ha quasi chiuso la morsa attorno al collo del suo capoccia, ha fatto di più. Il 6 giugno scorso ha cazziato come se non ci fosse un domani gli organizzatori della Coppa America di calcio. Il perché arriva a naso: dopo che Argentina e Colombia si erano tirate fuori perché paesi nel pieno dei tumulti innescati dai nuovo lockdown il Brasile si era offerto di ospitare l’evento. E di farlo malgrado avesse più guai dei due altri Paesi messi assieme. 

Non serve Eisenhower per capire che una paccata di squadre di calcio, con staff, tifosi ed occasioni di contatto a iosa darebbe il colpo di grazia al Brasile di questi tempi. E i senatori hanno perciò sollecitato la Corte suprema brasiliana. Dovrà audire quelli che la Coppa America non la vogliono in casa, non ora e il dio della Ginga ci perdoni, con il rammarico di chi sul calcio ci ha costruito la mistica nazionale.

La corte si è già riunita in sessione straordinaria via web con tutti ed 11 i membri effettivi e sta per ascoltare cosa ha da dire in merito il parlamentare di opposizione del Partito Socialista Brasiliano Julio Delgado

Magari tardivo ma di certo molosso, il Senato brasiliano sta facendo quel che (andava) va fatto.

Zanne carioca.

NAYB BUKELE

NAYB BUKELE

Se Elon Musk lo scarica e Anonymous lo elogia allora vuol dire che adottarlo è la strada giusta. In pillole mainstream è la politica che ha portato El Salvador ad essere la prima nazione al mondo ad aver adottato il corso legale del bitcoin.

Messa più sottile è la mossa con cui il presidente salvadoregno, il 39enne Nayib Bukele, ha lanciato due siluri: il primo contro gli Usa che prestano il dollaro US al Salvador come valuta corrente da sempre; sono gli Usa di Kamala Harris, che è andata in visita un po’ dovunque a promettere aiuti contro l’emigrazione, meno che a casa sua. Il secondo contro il clamoroso debito pubblico del Paese, debito che in dollari pesa come ghisa, ma in bitcoin fa la dieta del fantino. 

E’ evidente infatti che una criptovaluta “volatile” non consente parametri debitori assoluti e quindi toglie croci dalle spalle dei Paesi inguaiati e ne mette su quelle dei Paesi cravattari, Cina e Usa in testa. 

E Bukele l’ha voluta urlare in faccia al mondo, questa conversione monetaria, lo ha fatto schiaffando come immagine del suo profilo Twitter la sua foto con gli “occhietti laser”. Spieghiamola meglio: da un po’ di tempo chi vuole esprimere pubblicamente il suo favore per le criptovalute adotta un meme particolare, quello dei “laser eyes”, una specie di segno di Zorro di chi bisboccia coi soldi “strani”. 

Ma Bukele ha fatto di più: è andato in visita ufficiale a “Bitcoin Beach”. Cos’è? Una zona costiera e turistica a El Zonte dove già dal 2019 si fa tutto in bitcoin. Il presidente ha messo in agenda un summit con il Fondo Monetario Internazionale per comunicare quel che il suo paese ha legiferato, cioè un cambio della guardia epocale che abbraccia politica, economia e cazzimma più strettamente di quanto già non limonino di loro.

E a nulla sono servite le rimostranze ufficiali del portavoce del Fmi secondo cui l’adozione di Bitcoin “solleva una serie di questioni macroeconomiche, finanziarie e legali che richiedono un’analisi molto attenta”. Dove gli altri frenano Bukele accelera, dove gli Usa ingrugniscono lui tira dritto e sfodera il suo sorriso sornione un po’ alla Beppe Fiorello: quello e i suoi occhi laser.

El Mazinga.

FLOP

BENJAMIN NETANYAHU

Benjamin Netanyahu, Prime Minister of Israel / swiss-image.ch/Photo Jolanda Flubacher

Dopo 15 anni al potere di cui 12 senza interruzioni di sorta Benjamin “Bibi” Netanyahu dice addio al suo potere ed alla concezione di potere che aveva messo Israele all’indice perfino delle sue iperboli nazionaliste più accentuate.

La Knesset, il caleidoscopico parlamento del Paese, ha votato la fiducia al leader del partito di destra Yamina, Naftali Bennet. E prima di parlare di quanto Bennet sia diverso bisogna spiegare da cosa lo sia, cioè proprio da lui, da Bibi. 

Lui che ha messo Israele in trazione diretta con il suo muscolarismo esasperato, lui che ha dato corda ai coloni massimalisti cresciuti a pane azzimo e mitra, lui che ha provato per 4 volte a farsi rieleggere. E lui che le ultime due neanche ci ha provato, a nascondere il fatto che la riconferma gli serviva per scudarsi da guai giudiziari grossi come il Tempio di Gerusalemme. Ma soprattutto lui che è stato talmente divisivo e indifendibile da costringere un Paese che ha fatto dell’ortodossia un mantra a formare una “coalizione di cambiamento”. 

Cioè? Una macedonia di tessere e intenti che non aveva altro scopo se non defenestrare lui, un po’ poco per un esecutivo che si rispetti e che stia in arcione alla sua mission. La riprova? Il nuovo governo, che dovrà affrontare robine tenere e soft come gli accordi di Vienna sul nucleare in Iran, il dopo Gaza ed i rapporti con la Washington di Biden sarà cosi composto: Yamina, Yesh Atid, New Hope, il partito laburista, Meretz, la lista Araba Unita, Kahol Lavan e Yisrael Beiteinu. Si, avete letto bene: nel neo governo di destra-sinistra-centro e parallasse seconda con la supercazzola a destra c’è anche un partito arabo, il che per Israele vuol dire più o meno “tutto purché tu Bibi mio ti tolga dalle palle”. 

Naftali Bennet è dunque con ogni probabilità il neo premier con la più grossa gatta da pelare del pianeta, e lo dimostrano le urla e le maledizioni che si è preso dal ramo Likudh del parlamento durante il discorso di insediamento. Urla di chi avrebbe voluto ancora lui, Benjamin “Bibi” Netanyahu a guidare la nazione di Giuda e che ora chiamano giuda un governo che è inclusivo non per etica, quello ci sarebbe piaciuto, ma per necessità. E se sei un tipo capace di condensare intorno a te tanto livore e fregola da calcolo espulso da mettere assieme sui banchi di un’assemblea chi legge il Corano e chi spulcia la Torah allora vuol dire che forse qualche cazzata l’hai fatta davvero.

Bibi in Naftali(na)

ALEXEI ZHAFYAROV

Alexei contro Alexey, e a dividerli non c’è solo una y, ma qualcosa di più sostanziale. Il primo rappresenta la legge, il secondo la giustizia, che non coincidono quasi mai. Non lo fanno soprattutto in Russia e soprattutto se è la Russia di Vladimiro Putin che schiaccia gli oppositori come pappataci.

Alexei, quello con la i, è Alexei Zhafyarov, il portavoce dei pubblici ministeri che hanno chiesto che l’organizzazione dell’altro Alexey, quello con la y, sia dichiarata fuorilegge. Il secondo è Alexey Navalny, il dissidente avvelenato, incarcerato e ridotto a caccola umana per aver messo su una rete di dissidenza rispetto al leader del Cremlino. 

Sveliamola tutta: un tribunale russo ha messo fuori legge in punto di diritto tutte le organizzazioni fondate da Alexey Navalny. La corte le ha definite”estremiste” e ha di fatto messo contrafforte legale ad un bavaglio politico. Che significa? Che se fino a pochi giorni fa l’attività di Navalny e dei suoi sodali per essere censurata doveva essere messa a crogiolo episodio per episodio oggi il fatto stesso che quella attività esista significa violare la legge. Se non è uno scacco matto ci va vicino, e gli scacchi non sono un gioco che fa prigionieri.

La sentenza in questione, come riporta Bernard Smith di Al Jazeera, “impedisce alle persone associate alla Fondazione Navalny per la lotta alla corruzione (FBK) e alla sua rete di uffici regionali in tutta la Russia di accedere a lavori pubblici“. 

Ma non è solo un problema di ludibrio e stipendio, con quella sentenza “chiunque abbia fatto donazioni, anche coloro che semplicemente hanno condiviso i materiali dei gruppi potrebbero essere perseguiti e ricevere lunghe pene detentive“.

Quindi, ricapitoliamo: chi appoggi, sostenga o anche solo blandisca Navalny e le sue idee non accede a cariche pubbliche o concorsi pubblici, come succede da noi per i pregiudicati, poi rischia di andare in galera e quindi di diventarlo di fatto, un pregiudicato. La finezza è spaventosa: venendo perseguiti penalmente si entra automaticamente nell’imbuto della categoria messa in corner. 

E Smith ha anche precisato che la corte ha emesso sentenza dopo una camera di consiglio monstre durata 13 ore, roba fina e tanta per blindare il giudicato in ogni suo aspetto. E Alexei Zhafyarov, come ha giustificato questa botta di Diritto? “Queste organizzazioni non solo hanno diffuso informazioni che incitavano all’odio e all’inimicizia contro i funzionari del governo, ma hanno anche commesso azioni estremiste“. Scacchista sopraffino ma solo a casa sua, il magistrato portavoce l’ha buttata sull’estremismo per dare amido al vestito del terrorismo. 

Perché in Russia chi non la pensa come te è prima un dissidente, poi un estremista, poi un terrorista, poi un galeotto coi reni in pappa perché pieni di veleno. E Marcel Dushamp, quando disse che gli scacchi sono il gioco “più violento del mondo perché punta all’eliminazione fisica dell’avversario” forse quel giorno pensava alla Russia.

Scacchiera truccata.