Internazionale: Top e flop dal mondo. I protagonisti della settimana

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

TOP

XI JINPING

Da quando è salito ai vertici politici e militari della Cina nel 2012, Xi Jinping ha da sempre avuto un pallino solo: mettere sotto braccio socialismo e capitale. Cioè idealismo e necessità. Che se non è utopia ci va molto vicino, ma non abbastanza da non provare a realizzarla.

Il presidente Xi Jinping

E il suo ultimo step, quello con cui ha praticamente messo sotto a studiare l’intero Comitato dell’Assemblea del Popolo, fa fede tostissima. Il leader che nel 2009 aveva detto che “la Cina non esporta seccature” ha dato al Popolo il suo primo Codice Civile, con 1260 articoli spalmati su sei grandi sezioni tematiche.

Due interi capitoli sono dedicati a contratti e proprietà, seguiti da diritti della personalità, matrimoni e famiglia, eredità e responsabilità civile. Tutta la spaventosa ‘furbizia’ della nuova Cina bipolare condensata in poco più di un migliaio di pagine.

Perché se da un lato un sistema normativo scollegato dai desiderata della politica rappresenta una genuina iniezione di progresso e un balzo in avanti dell’etica collettiva, dall’altro quei codicilli fanno molto di più.

Disegnare in punto di diritto concetti come proprietà e contratti è il ponte definitivo con cui il Dragone tiene l’abito del socialismo ma guarda agli affari, al volano con un Occidente a cui ormai la Cina detta tempi e ritmo in economia, finanza e geopolitica. Xi Jinping ha fatto suo, magari senza saperlo, il sogno di Napoleone, che in punto di morte andò più fiero delle sue riforme giudiziarie che delle battaglie vinte.

Ma vincere sul mercato globale puo’ essere molto più determinante che vincere ad Austerlitz, e questo invece Xi Jinping lo sa benissimo.

Drago di un Dragone.

LA NASA

«Quando la navetta si ritirò, gli astronauti della Nasa avevano solo un modo per raggiungere lo spazio: fare l’autostop su un razzo russo Soyuz». Ha voluto giocarci su, l’amministratore capo della Nasa Jim Bridenstine, commentando il primo volo spaziale all american (e privato, che è quasi la stessa cosa) dal programma Shuttle.

Doug Hulrey

A far calare il sipario fu la navicella Atlantis nel 2011, un de profundis dopo la tragedia della Columbia disintegratasi per una catena di errori umani, uccidendo l’intero equipaggio. Da allora, gli astronauti Usa avevano volato solo con vettori stranieri. E fu in quella occasione che uno dei membri dell’equipaggio, Doug Hulrey, portò a bordo della stazione spaziale internazionale una piccola bandiera americana, un relitto recuperato dal disastro. Lo fece con un magone grosso come una casa, perché sapeva che quella era la fine di un’epoca. Il mondo vide i vettori russi, cinesi e il programma Arianne monopolizzare il settore.

E l’idea che i ‘tassinari’ fossero proprio gli ex rivali di sempre dell’ex Urss era fiele puro. Nelle cose americane c’è sempre la mistica della riscossa, del ritorno. E di qualcuno che lo finanzia. Come quello che in questi minuti avrebbe dovuto vedere proprio Hurley tornare in equipaggio al primo volo Usa partito dal Kennedy Space Center. Con un razzo Space X e modulo Crew Dragon soffiato a Boeing all’ultimo secondo. Maledetta la sfortuna: il maltempo martedì sera ha costretto a rinviare all’ultimo istante il lancio.

A bordo, sparato in orbita, ci si è riaffacciato l’orgoglio di tornare in un luogo visto dagli americani come la frontiera di cui sono stati i primi coloni, space cow boys, con i sovietici costretti a fare gli indiani. Intervistato dalla Cbs, Hurley ha annunciato che si riprenderà quella bandierina lasciata sulla ISS nove anni fa. Con emozione. E con i soldi di quel matto di Elon Musk, che è il padrone del razzo ed ha chiuso contratti stellari per trasformare lo Space X in un vero Uber dello spazio per voli commerciali.

Di cuore e di tasca.

FLOP

BENJAMIN NETANYAU

Niente da fare. I giudici che presiedono il processo per corruzione contro il premier israeliano Benjamin ‘Bibi’ Netanyau hanno respinto la richiesta delle difese di avere un altro quadrimestre per “studiare il caso”.

Benjamin Netanyahu, Prime Minister of Israel / swiss-image.ch/Photo Jolanda Flubacher

L’uomo fortissimo di Israele, fratello di Yoni, eroe senza macchia di Entebbe che in patria è una specie di Pietro Micca, è accusato di aver apparecchiato leggi in favore di alcuni tycoon del Paese, guadagnandoci qualche regalo non proprio low cost.

In dibattimento ad inizio settimana i suoi legali avevano chiesto una proroga per spulciare meglio fra le carte. A favore del premier, che per i suoi è una specie di protomartire vittima del golpismo delle toghe laburiste (tutto il mondo è Italia) si era schierato anche Yariv Levin. Cioè? Nientemeno che il presidente del Parlamento, la Knesset. Che Levin poi sia egli stesso un alto esponente del Likud, il Partito ultraconservatore di Netanyau, è particolare da fuffa.

Ad ogni modo la giudice mastina della Corte distrettuale di Gerusalemme, Rivka Friedman, ha risposto picche ai difensori del premier. Buttandola giù semplice: Avete avuto più di un anno per studiare le carte, è abbastanza per consentire al vostro assistito di esercitare il diritto a difendersi. La Friedman non è nuova a cimenti d’aula con pezzi grossi del governo: a suo tempo aveva condannato per molestie sessuali l’allora ministro della Difesa Mordechai.

Dal canto suo ‘Bibi’ continua a guaire la litania del complotto politico: «L’obiettivo è di abbattere un premier forte e di destra». Per ora il primo round lo ha perso lui.

Muro del pianto.

DONALD TRUMP

Che Donald Trump fosse delicato come un caterpillar si sapeva. Ma agli americani è piaciuta davvero poco l’attenzione minimal che il presidente degli Stati Uniti d’America ha dedicato al raggiungimento del triste traguardo dei 100mila morti Usa per Covid – 19.

Donald Trump

Il popolo Stars and Stripes è da sempre attentissimo alle pulsioni pubblicistiche dei suoi leader e all’empatia con i sentimenti che circolano nella nazione. E non perdona gaffes. In occasione del Memorial Day, da un campo da golf in Virginia, Trump “l’ha toccata pianissimo”. Ed ha scatenato il kraken eterno della middle class americana, per cui ogni morto con passaporto azzurro, sia esso in guerra o in eventi catastrofici, è di fatto un ‘caduto’. Che merita parole convinte e non slogan da tartina.

Ma il presidente dalla zazzera arancione ha glissato forse un po’ troppo sul tema, e al popolo è dispiaciuto. E il popolo glie lo ha detto chiaro e tondo, con cartelloni a Pensylvania Avenue e sui social.

Peter Baker, sul New York Times, ci è andato giù durissimo in tandem con un Biden opportunista al cubo. Anche a fare la tara alla nota avversione della testata per i repubblicani e per Trump in particolare, l’impressione è che sia stato sul pezzo dall’inizio alla fine.

«Mentre il paese si avvicinava a dati di morte a sei cifre il presidente, che ha criticato ripetutamente il suo predecessore per il golf durante una crisi, ha trascorso il fine settimana collegandosi sul web per la prima volta da marzo. Quando non armeggia con una macchinina elettrica, è sui social ad abbracciare teorie cospirative marginali, rilanciando messaggi da un account Twitter razzista e sessista».

Non vede la buca.

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