La delusione del prof davanti al webete arrembante (di H.D. Toro)

Buona parte del Paese sta abdicando alla sua capacità di auto-governarsi, attribuire significato alle norme e alle regole senza che il nostro comportamento sia guidato da mere abitudini. E la responsabilità, ovvero la capacità di guardare al di là del proprio naso o di riflettere

Henry David Toro

Preside frusinate in prestito all'Emilia

Abbiamo perso. Tutti. Indistintamente.

Sì, direte voi, dai risultati delle elezioni 2018 un partito effettivamente è risultato primo, mentre una coalizione si è attestata al 37%, ma a perdere – ripeto – siamo stati tutti. Senza distinzione.

Più volte mi sono chiesto se continuare o interrompere questa rubrica dedicata al webete, dopo il fatidico 4 marzo 2018. Finita la campagna elettorale – pensavo – gli elettori/tifosi/webeti (le tre figure non necessariamente coincidono per fortuna) avrebbero tirato i remi in barca e lasciato finalmente lavorare i vincitori (o comunque il Presidente della Repubblica, dato che, Costituzione alla mano, non ha vinto realmente nessuno).

Ma sbagliavo. L’odio che ha dominato questa breve campagna elettorale (soprattutto sui social) non si è attenuato. Anzi. Schiere di rancorosi continuano a riversare il loro livore su Presidenti della Repubblica, politici neanche indagati, Presidenti del Consiglio (non eletti dal popolo! – si badi bene), rei di tutte le nefandezze occorse in Italia nell’ultimo decennio.

Tra questi odiatori – non ci si meravigli – vi sono talvolta “colletti bianchi”, diplomati e laureati, addirittura insegnanti ed educatori.

Dunque, mi sono chiesto se mollare o meno.

Ma ho deciso di continuare (ancora per un po’). Perché sono un insegnante e perché c’è ancora molto da lavorare in questo Paese, con attenzione e senza superficialità. E la mente è andata a quel bel documento costituito dalla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 nel quale, definendo il Quadro Europeo delle Qualifiche, si dà questa fondamentale definizione di “competenza”:

“comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale”.

In conclusione, la competenza viene descritta in termini di responsabilità e autonomia.
Ebbene quel che ho imparato da queste intense settimane è che una buona parte del Paese sta abdicando proprio a questi due fondamentali punti cardinali: l’autonomia, intesa kantianamente come capacità di auto-governarsi, attribuire significato personale alle norme e alle regole senza che il nostro comportamento sia guidato da mere abitudini e consuetudini (o peggio da slogan elettoralistici); e la responsabilità, ovvero la capacità di guardare al di là del proprio naso o di riflettere su quali potrebbero essere per la comunità le conseguenze delle nostre azioni (e dei nostri slogan).

Elementi questi che richiedono estrema sensibilità nell’analisi dei processi sociali, culturali e politici in atto (troppo facile dividere il mondo in bianchi e neri, troppo comodo dire “tanto sono tutti ladri!”, o ancora: “non riusciamo a fare nulla perché “gli altri” ci hanno lasciato questo schifo”!).

Dunque tutti i vizi italiani dominano a tutt’oggi incontrastati la scena politica, sociale e culturale (a parte rare eccezioni).

Tutti a ripetere pedissequamente stanchi slogan, con tanti saluti all’autonomia kantiana.

Tutti a scaricare colpe sugli “altri”. Senza mai assumersi una responsabilità. Senza mai rispondere personalmente delle proprie azioni, delle proprie strategie politiche, delle promesse e quindi delle conseguenze future.

E se posso perdonare con paterna benevolenza, data la giovane età, un certo adeguamento a questa realtà anche da parte dei giovani, i quali chiedono di tanto in tanto: “Prof., ma qualche domanda all’Esame ce la passa, vero?” oppure, presi in flagrante: “Prof., ma perché proprio io? Non vede che lo fanno anche gli altri?”; quello che risulta intollerabile nel 2018 è osservare i comportamenti di uomini adulti che sino a febbraio promettono solennemente il rimedio ad ogni male del mondo, salvo a marzo scontrarsi con la dura realtà, abbozzando patetiche e ridicole scuse.

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