Il problema del webete? È che non sa di esserlo (di H.D. Toro)

Il problema dei webeti? È che non sanno di esserlo. Per questo sono convinti di avere sempre ragione, senza essere mai sfiorati dal dubbio. La nuova strepitosa analisi del professor D.H. Toro

Henry David Toro

Preside frusinate in prestito all'Emilia

Come dovremmo comportarci – si diceva la settimana scorsa – con il webete, che poi spesso è anche superficiale e, nei casi più gravi, letteralmente intollerante? (leggi qui Ignoranti e analfabeti si battono così) Non è semplice, perché al webete/intollerante manca una caratteristica fondamentale rispetto alla persona razionale e di buon senso: la consapevolezza della propria ignoranza; il che comporta, nella maggioranza dei casi, anche la presunzione di esserne immune (con tanti cari saluti a Socrate, Sant’Agostino, Cartesio e a due millenni circa di speculazione filosofica occidentale).

 

E infatti già quei volponi degli scettici (seguaci della corrente filosofica nata in Grecia nel III secolo avanti Cristo), i quali mettevano tutto in discussione e dubitavano della comprensibilità della verità, con Sesto Empirico, il loro ultimo rappresentante vissuto nel III secolo dopo Cristo, si spingono addirittura a non assolutizzare la stessa incomprensibilità della verità. Ovvero: nessuna verità oggettiva esiste; ma anche di quello che ho appena scritto (e cioè che la verità è in-comprensibile) non posso avere certezza alcuna.

 

Il massimo dell’onestà intellettuale e della correttezza, non c’è che dire! Una correttezza che porta infine gli scettici a non pronunciarsi su nulla, a chiudersi nel silenzio più assoluto (afasìa) ed a sospendere ogni giudizio (l’epochè).

 

E Sesto Empirico vive nel periodo declinante dell’Impero romano! In un’epoca cioè in cui non potevi mica aprire il computer e scrivere tanto semplicemente: “Quell’imperatore è un mafioso! Oppure il tribuno tal dei tali trucca gli appalti nella provincia dell’Illirico!”. Sì, direte voi, non esisteva la mafia a quel tempo, ed anche il computer (beati loro!), ma un Imperatore ci metteva pochissimo a farti arrestare e a buttarti in una gabbia in pasto a leoni e tigri, per aver detto anche solo un decimo di quanto scritto sopra. Forse è anche per questo che gli scettici han tirato fuori quella “furbata” della sospensione del giudizio? Può essere.

 

Ma oggi, al contrario, come si comportano schiere di webeti e trogloditi armati di pc e smarthphone? Ti assalgono con le loro indubitabili verità, ti schiacciano con le loro granitiche certezze, senza mai essere sfiorati dal dolce venticello del dubbio, senza provare mai a mettersi nei panni dell’interlocutore che hanno di fronte (che poi in realtà non c’è, poiché lo schermo del computer riflette solo il loro ghigno supponente da webete in pantofole).

 

Per loro non vale il detto di René Descartes (e chi è? Un centrocampista del Paris Saint Germain?): “penso (o anche meglio – dubito), dunque sono”, ma “credo, dunque sono nel giusto” (e tu – mi dispiace – non hai capito proprio un bel niente!).

 

Millenni di speculazione filosofica letteralmente gettata nella spazzatura, nani sulle spalle dei giganti (di cui abbiamo perso però ogni traccia). Nani supponenti, però, intolleranti e, in qualche caso, anche violenti. Violenti solo con le parole, certamente, ma non è questa una delle forme più subdole di violenza? Una forma di violenza che prelude spesso – la storia insegna anche se ha sempre meno discepoli – a forme più brutali della stessa?

 

In conclusione una amara riflessione: chiedetevi quali sono i due campi in cui trova massima applicazione la violenza verbale del webete superficiale e intollerante. Sono proprio quelli in cui più facilmente ci si schiera e ci si divide in fazioni, in gruppi gli contro gli altri armati, in cui si parteggia aspramente senza possibilità di mostrarsi esitanti o dubbiosi: lo sport e la politica.

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