Se Alatri scopre di avere perso l’anima (di F.Boezi)

di Francesco BOEZI
Il Giornale

 

 

Alatri è un posto meraviglioso, ma il clima che si respira in queste ore dipinge uno scenario assurdo per tutti. C’è tensione, certo, ed incredulità. Tanta incredulità. L’aria è tagliata dalla pesantezza dei secondi che passano, nell’attesa che succeda qualcosa, che qualcuno dia una risposta. Tutto è fermo, chi si muove lo fa per inerzia o per necessità. Le strade sono presidiate dalle forze dell’ordine, le piazze dalle troupe televisive, i cuori da uno sgomento mai provato prima.

Qui non si è abituati ad andare in tv, e ad avere a che fare con l cronache di questo genere. La storia di questa cittadina, in realtà, si muoverebbe su fili ben più nobili, sulla glottologia fondata da Luigi Ceci, ad esempio, più che sui frames della videosorveglianza o sui ritmi delle breaking news di cronaca nera.

Alatri è un paese piantato coi piedi per terra, difeso da millenni da mura megalitiche di cui nessuno sa nulla di certo o quasi, ma che hanno retto qualsiasi cosa, e che forse, dinanzi a tutto questo, cominciano a scricchiolare. Questa, del resto, non è una di quelle storie di paese raccontata di soppiatto davanti ad un caffè mattutino in piazza Santa Maria Maggiore, non è un pettegolezzo da confidarsi su una panchina del corso principale, è il sigillo di un fallimento collettivo, che tutti percepiscono, che molti cominciano ad analizzare, ammettere ed interpretare.

Si pesano le parole, si prova a farlo almeno, ci si sfoga sui social network come si può. Il confronto è serrato, tutti cercano di capire, si ipotizzano spiegazioni plausibili, si cerca di riempire un vuoto di significato altrimenti inspiegabile.

Alatri era la musica di Stephan Grappelli,musicista, icona del jazz, originario della cittadina, le cui ceneri furono cosparse per sua volontà sotto l”omonima torre del centro storico. Oggi Alatri assomiglia più ad un videoclip senza musica, ad un orrendo effetto sonoro di una traccia audio profondamente corrotta. I volti delle persone sono segnati da un disagio evidente, il turismo è in crisi da tempo e così tante persone provenienti da altre città non si vedevano da anni.

Non è stupore collettivo, è choc.

Questa è una storia che sopravviverà persino alla memoria dei ciclopi , forse, e narra di tutto quello che ad Alatri non serviva, che Alatri non voleva, che Alatri temeva potesse succedere. Temeva, sì, perché non è dalla notte di due giorni fa che questa cittadina si sente abbandonata. Da sé stessa, più che da qualche istituzione in particolare. Da uno svuotamento lento ma progressivo del centro storico che ha reso troppo spesso le serate deserte, insicure, lasciate in balìa di eventi, anche incontrollati.

Le colpe, certo, parlare di colpe ora sarebbe troppo facile, il difficile sta nel girare per strada toccando con mano che nulla è più come prima, che niente è uguale a com’era, che il maestoso liceo classico Conti Gentili, storico presidio culturale del posto, guarda tutti dall’altro, quasi ad emettere una prima sentenza.

Alatri era Cesare Zavattini che studiava i classici dagli scolopi, Luigi Pietrobono che svelava Dante Alighieri al mondo e Nino Manfredi che si innamorava perdutamente della cinematografia. Il tutto sotto le mura di certezze che questa cittadina ha coltivato nel tempo, delle rocce inossidabili fatte anche di campanilismi sì, di storie di paese, scazzottate, certo, ma non di tragedie.

Ora Alatri non è più isolata, senza troppa pubblicità alle sue bellezze. Le mura sono infiltrate sì, per via delle radici degli alberi si è detto spesso, stavolta ad insediarle sono le lacrime.

Alatri vuole tornare Alatri, il prima possibile.

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