Aperturisti e chiusuristi come guelfi e ghibellini

Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica

L'abbiamo buttata in caciara ancora una volta. Come sempre: divisi tra Guelfi e Ghibellini anche su un tema serissimo come le riaperture e le chiusure. È lo stesso accaduto al dibattito nel M5S che alla fine è imploso dicendo addio al sogno della democrazia digitale. Precipitiamo in un clima da eterna campagna elettorale. Ma nel frattempo nessuno affronta i problemi, organizza. È quello che invece la politica dovrebbe fare.

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Aperturisti e chiusuristi. È la nuova frontiera dello scontro politico italiano, peraltro interno a quella che doveva essere la maggioranza a sostegno di un Governo di salvezza nazionale. Invece non è così. Sulla gestione della pandemia da ormai quindici mesi si consumano strategie elettorali e politiche. Questa è la realtà.

Il Paese è allo stremo: ancora lontano dalla soglia di sicurezza sul piano sanitario e letteralmente “piegato” a livello economico. Mario Draghi è stato chiamato (dal Capo dello Stato Sergio Mattarella) per fare sostanzialmente due cose: la campagna di vaccinazione e l’intercettazione dei fondi del Recovery Plan. Soltanto che fra questi due obiettivi c’è… la vita quotidiana. Quella delle persone normali: che piangono la scomparsa di persone care, che soffrono, che fanno i conti con la disperazione di chi non riesce a vedere il domani. Hanno tutti ragione.

Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Ma non si può affrontare una tragedia del genere con la solita logica dei guelfi e dei ghibellini. Degli aperturisti e dei chiusuristi. Il 12 aprile l’Inghilterra ha riaperto, dopo un durissimo lockdown, con questi numeri: 2.389 contagi, 23 decessi e con il 60% della popolazione che aveva ricevuto almeno una dose di vaccino. Domani molte regioni italiane (tra le quali il Lazio) tornano in fascia gialla. E il sistema dei colori non è esattamente come un lockdown. I numeri di venerdì erano questi: 14.761 contagi, 342 decessi e il 20,21% della popolazione che ha avuto almeno una dose di vaccino.

Per capire questa pandemia i numeri sono fondamentali. Basta vedere le curve dei contagi e dei decessi. Draghi ha parlato di rischio ragionato. Ma intanto ha a che fare con una maggioranza che lo tira per la giacca su tutto. A dimostrazione che la classe politica italiana non ha preso atto del proprio fallimento. Gestionale (della pandemia), ma anche e soprattutto storico

La campagna elettorale come alibi 

Il dibattito è concentrato sempre e soltanto sulla campagna elettorale. Presente o futura che sia. Eppure sta cambiando il quadro. Per esempio il Movimento Cinque Stelle è imploso. L’addio di Davide Casaleggio non è un incidente di percorso: è la fine del sogno della democrazia digitale. Perfino del principio dell’uno vale uno.

Sembra lontano anni luce pure il passo indietro di Nicola Zingaretti come Segretario del Pd. Non è stato un semplice passaggio di consegne. Zingaretti è andato via dicendo di vergognarsi di un Partito che pensava più alle poltrone che alla gestione del Covid. Alla segreteria è arrivato Enrico Letta, ma quei giudizi hanno chiuso un’intera fase politica. E adesso però la candidatura di Zingaretti a sindaco di Roma è l’unica vera opzione sulla quale punta Enrico Letta. Tutto il resto è seconda scelta.

Nicola Zingaretti

Ma non sfugge a nessuno che la discesa in campo di Zingaretti per il Campidoglio aprirebbe un’altra campagna elettorale, non meno importante. Quella per la Regione Lazio. Sembra quasi che l’unico obiettivo della classe politica italiana sia quello di misurarsi in campagna elettorale. Una dietro l’altra. Senza soluzione di continuità. E intanto non si governa, ci si limita a rincorrere le emergenze, non si programma, si tira a campare. Tanto alla fine, al massimo, possono cambiare i suonatori. Non la musica.

Lo stesso ragionamento vale a livello locale. Ci si divide su tutto: dal Consorzio industriale unico al Piano paesaggistico. Ma intanto sui temi seri, come per esempio i rifiuti, nessuno prova a trovare una soluzione. Anzi, nessuno si pone neppure il problema che dopo moltissimi anni la provincia di Frosinone si trova a gestire un’emergenza seria. Con l’immondizia portata in altri siti, senza una discarica. E senza che nel frattempo si sia pensato a individuare un’altra soluzione. Il solo pensare che questo passaggio (l’individuazione di un sito) possa attendere un anno fa davvero cadere le braccia. Eppure è così. 

Non può bastare una commissione permanente 

Domani in Consiglio regionale comincia l’iter per la costituzione della commissione Trasparenza. Sarà permanente: vuol dire che andrà oltre la vicenda del concorso di Allumiere. Sarà composta da dieci membri e presieduta da un esponente dell’opposizione. Come è giusto che sia. Ma il punto politico è un altro.

Quando la vicenda è esplosa lo scontro politico si è fatto incandescente. E l’ondata mediatica è stata fortissima. Politicamente però cosa è successo? Mauro Buschini si è dimesso da presidente del consiglio regionale. Per motivi di opportunità. Gli altri membri dell’ufficio di presidenza, che insieme a lui avevano votato la determina del 18 dicembre 2020, sono rimasti al loro posto. Legittimamente. A vuoto le richieste di un passo indietro formulate dal Governatore Nicola Zingaretti, dal nuovo presidente del consiglio regionale Marco Vincenzi e dal gruppo di Fratelli d’Italia.

Marco Vincenzi (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

Di questa vicenda continuano ad occuparsi i media e le Procure di Civitavecchia e Roma. La politica non è riuscita a dare risposte, questa è la realtà. La soluzione individuata è quella di una commissione permanente. Non può bastare. È la classica montagna che ha partorito il topolino. Anche perché passeranno mesi prima che arrivino delle risposte. Cosa succede se alla fine verrà appurato che le procedure adottate sono state tutte regolari? Chi è stato messo alla gogna come potrà essere ripagato?

E se invece saranno riscontrate delle anomalie e delle irregolarità, chi si assumerà davvero la responsabilità di quanto è successo? La politica dovrebbe servire a questo. A decidere, a risolvere. Assumendosi le responsabilità prima e durante. Non dopo. Mostrando coraggio. (Leggi qui L’insostenibile leggerezza delle classi dirigenti).

Ma sul coraggio aveva ragione Manzoni: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. 

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