Noi imprenditori, soli nella trincea della crisi (di S.Ferraguti)

 

di SILVIO FERRAGUTI
Imprenditore

 

 

 

Sto seguendo con attenzione il dibattito sviluppatosi sul blog Alessioporcu.it in merito alla situazione economica del territorio. (Leggi qui il primo intervento) Una premessa però è necessaria e voglio farla citando un articolo pubblicato dall’Huffington Post.

Testuale: “Il 2017 sarà soprattutto un anno che l’Italia giocherà in attesa. Dallo sviluppo della Brexit alle politiche economiche di Donald Trump passando per la direzione che assumerà la Bce, dal ruolo dell’Europa (Germania in primis) sulle banche e i conti pubblici alle delicatissime elezioni europee in Paesi chiave, passando per il ruolo predominante che gli attori stranieri eserciteranno su molte aziende italiane, è evidente che l’Italia giocherà in attesa di mosse che verranno decise altrove, al di fuori dei confini nazionali.

La sfida per l’economia italiana passa proprio dalla declinazione di questa attesa: se il nostro Paese riuscirà a giocare un ruolo attivo in un contesto internazionale sempre più competitivo, allora i timidi segnali del 2016 potranno avere una chance in più per provare a trasformarsi in prospettive solide. Se, al contrario, le decisioni assunte dall’esterno avranno un carattere punitivo o comunque negativo per gli interessi italiani, allora il 2017 rischia di configurarsi come un anno di stasi. “L’ennesimo pericoloso anno di stasi”.

 

Non saremmo intellettualmente onesti se non tenessimo conto che le dinamiche economiche e finanziarie hanno ormai un carattere europeo, se non mondiale. L’Italia non riesce a giocare un ruolo importante, questo è il primo punto.

 

Non è un caso che quest’anno siamo i penultimi per crescita in Europa (peggio di noi soltanto la Lettonia, perfino la Grecia ha fatto meglio).

Il macigno del debito pubblico, la spaventosa pressione fiscale sulle imprese, la burocrazia, l’instabilità politica, l’incapacità di modernizzare il Paese attraverso riforme vere e condivise sono tutti fattori che influiscono pesantemente sulla mancata ripresa.

 

Per venire alla provincia di Frosinone, indubbiamente la crisi si sente di più rispetto ad altre zone. Non parlo da dirigente nazionale di partito e neppure da past president di Federlazio. Parlo da imprenditore che tutte le mattine va in ufficio a “combattere”, con due obiettivi: garantire gli stipendi ai lavoratori e provare a fare utili (quantomeno a pareggiare i conti).

 

Ha ragione il segretario della Cisl Enrico Coppotelli: (leggi qui l’intervento di Coppotelli) in questa provincia è più difficile restare che andare via e questo aspetto lo stò denunciando già da diverso tempo.

Non ci sono sgravi fiscali, non ci sono politiche economiche degne di questo nome, non ci sono infrastrutture in grado di garantire la competitività, le zone industriali sono delle mulattiere che attendono interventi da anni, la fibra ottica e i collegamenti telematici vanno a rilento, l’innovazione resta un sogno, le multinazionali sono andate via, migliaia di imprese hanno chiuso i battenti, la povertà aumenta, la popolazione è diminuita. Vogliamo continuare?

Sì. La bonifica ambientale, soprattutto della Valle del Sacco, non è ancora iniziata. Siamo stanchi di leggere annunci di perimetrazioni di Sin e altre cose del genere. Dove sta un programma serio e articolato di bonifica ambientale e di riqualificazione? Le singole imprese, da sole, non possono sopportare i costi di un’operazione del genere. I servizi pubblici e la sanità stanno conoscendo un periodo di grande arretramento.

Però, perché a Latina questo non succede? Perlomeno non con queste dimensioni? Perché Amazon sceglie la provincia di Rieti? Perché Viterbo ha le sue opportunità?

Un esame di coscienza dobbiamo farcelo tutti. Senza sconti. La situazione di oggi è il frutto di errori del passato, di quando i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno drogavano questa economia, di quando i fondi a pioggia nascondevano la debolezza di un tessuto economico ed industriale che è franato.

Detto questo, la ricetta sarebbe obbligata: fare squadra e rimboccarsi le maniche. Ma non siamo capaci di farlo, caro direttore.

In tutta onestà, mi sa indicare un altro tema al quale la classe politica locale si appassiona a parte le candidature alla Camera, al Senato e alla Regione? Ma per fare cosa poi? Vogliamo dire ad alta voce che il “Re è nudo” e che la Regione Lazio nulla ha fatto e sta facendo per questa provincia? Vogliamo dire che presidente e assessori vengono qui a fare passerelle?

Vogliamo dire che gli enti intermedi sono diventati dei poltronifici utili a far “svernare” i politici trombati?

Eppure questa provincia conta 170.000 occupati, che sgomitano e che lottano contro tutto e tutti. Eppure questa provincia ha imprenditori che non si tirano indietro, che resistono, che stanno sul pezzo.

Non è che ci sentiamo soli. Siamo soli.

Nella società attuale, politica ed economica, bisogna essere capaci di determinare le scelte laddove vengono prese: in Europa, al Governo, in Parlamento. Noi semplicemente non ci riusciamo. Anzi, neppure ci proviamo. Tutti i progetti naufragano nell’indifferenza: pensiamo al collegamento veloce con Roma, che dovrebbe essere quasi scontato. Qualcuno ci ha provato davvero?

Riporto alcuni punti programmatici di Emmanuel Macron, in corsa per l’Eliseo in Francia.

Per spingere la crescita, Macron ritiene che sia indispensabile un piano di investimenti pubblici da 50 miliardi con due destinazioni principali: lo sviluppo delle competenze – 15 miliardi serviranno a finanziare la formazione, in particolare di un milione di giovani poco qualificati e un milione di disoccupati, anch’essi a bassa qualificazione – e la transizione energetica per lo sviluppo di un’economia sempre più moderna ed eco-sostenibile. Sull’altro piatto della bilancia c’è il freno all’aumento della spesa pubblica per 60 miliardi.

Macron prevede inoltre un alleggerimento della pressione fiscale pari a circa 20 miliardi (un punto di Pil), diviso in parti eguali tra imprese e famiglie. Per le aziende è annunciato un taglio dell’imposta sulle società, che dovrebbe passare dal 33,3% al 25%, allineandosi alla media europea.
Perché in Francia si può fare e in Italia no?

Noi continueremo a combattere nella trincea del lavoro. Non vogliamo aiuti di Stato e tantomeno elemosine. Ma vorremmo essere messi nelle condizioni di competere. Perché senza impresa, mi creda, non c’è ripresa.

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