I giovani che se ne vanno e il nostro senso di colpa

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Caro direttore,
ho appena letto un articolo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera. Ha scritto Di Vico, citando fonti, dati e studi: «L’Italia ha il triste primato europeo dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in un corso di formazione. Parte di loro – un milione su 2,3 totali – compare alla voce “disoccupati” ed è disponibile dunque a iniziare un lavoro nelle successive due settimane. Sono 700 mila – sempre secondo le classificazioni statistiche – “le forze di lavoro potenziali”, le persone che nelle ultime 4 settimane non hanno cercato lavoro ma sono mobilitabili a breve, infine ci sono gli “inattivi totali” che raggiungono quota 600 mila. Dietro questi ultimi c’è quasi sempre un percorso accidentato di studi con bocciature e interruzioni, un basso livello di autostima e una forte dipendenza dal contesto familiare di provenienza. Ma per calibrare gli interventi e non limitarsi a invocare misure miracolose è forse necessario capire da dentro il fenomeno Neet (in Italia «né né»), monitorare i loro comportamenti, le piccole mosse che maturano nel quotidiano, sapere come e dove passano la giornata. Il programma di Garanzia Giovani avrebbe dovuto servire anche a questo ma purtroppo non è stato così. Eppure una strategia d’attacco bisognerà darsela in tempi brevi perché non possiamo permetterci di bruciare quasi un’intera generazione. Un giorno qualcuno, legittimamente, ci chiederà dove eravamo quando il Paese della Bellezza dilapidava una quantità così rilevante di capitale umano».

Direttore, basta guardarsi intorno, al contesto familiare e agli amici. In provincia di Frosinone quali prospettive di lavoro vero ci sono? Per lavoro vero intendo quello che può permettere a una persona normale di programmare il futuro, di avere una famiglia, dei figli, di fare le ferie due settimane all’anno. Di ridere, di andare a dormire la sera stanco ma fiducioso che davvero… domani è un altro giorno. Era così fino ad una generazione fa. Poi è cambiato tutto.

Ma davvero i nostri figli sono del “bamboccioni”? Non credo. Molti di loro vanno all’estero, a studiare o a finire gli studi. Poi all’estero restano e riescono a vivere, ad avere uno stipendio, una prospettiva, un futuro.

In provincia di Frosinone quali esperienze possono fare: le multinazionali sono andate via, migliaia di fabbriche hanno chiuso, gli uffici pubblici non fanno concorsi da decenni. I Comuni non hanno più risorse né fondi, la Provincia è stata ridotta ad un ologramma, la Banca d’Italia non c’è più, infrastrutture non vengono costruite.

I giovani ciociari possono essere impegnati saltuariamente nella ristorazione, oppure in altri campi fugaci, che durano poco e non danno garanzie sotto nessun punto di vista. Cosa ci sarà in Ciociaria tra dieci o venti anni? Nulla, sarà una sorta di dormitorio per quelli che non sono riusciti ad andar via.

I giovani, direttore, loro andranno via. Inevitabilmente. Noi dove eravamo?

Eravamo e siamo qui a cercare di sopravvivere, di combattere, di portare a casa uno stipendio per garantire a loro, ai nostri figli, il diritto di andarsene.
 Sì direttore, il diritto di andarsene. Qui non hanno niente, né presente né futuro. Non sono tra quelli che si scaglia contro la classe dirigente politica in modo populista e demagogico.

Però direttore, le chiedo: chi dovrebbe determinare il miglioramento della qualità della vita di un territorio? In passato ci sono state altre crisi e la Ciociaria ha reagito. Non sarà che i politici degli anni ’60-’70-’80 contavano molto, quelli degli anni ’90 abbastanza e quelli da 2000 in poi… nulla?
Noi dove eravamo?

A votarli. Il senso di colpa è questo.

(Lettere firmata)