«Chi ha paura di parlare delle mafie a Cassino»

Arturo Gnesi
di ARTURO GNESI
Sindaco di Pastena

 

Caro direttore,
il tuo intervento sulla criminalità a Cassino (leggi qui l’articolo Benvenuti a Cassino, succursale criminale di Caserta) è potente la mafia o è debole la politica? È diabolica la camorra o è scialacquata la pubblica amministrazione? È violenta la ‘ndrangheta o è in letargo la società civile?

Le diverse organizzazioni criminali con le loro gerarchie e metodologie hanno in comune il fiuto degli affari e la sete di potere. Ma sono ambizioni diffuse in larga parte della middle class e super gettonate dalle combriccole che a destra e a manca governano pezzi dello Stato.

E chi si preoccupa più dell’odore dei soldi? Chi si chiede in che modo vengono racimolati i voti? Chi si pente dinanzi ad un giudice sui favori dati e ricevuti per gestire, appalti, servizi e risorse pubbliche?

La mafia non la vediamo più perché ragioniamo come i mafiosi.

L’ingiustizia e la corruzione sono attorno alle nostre attività quotidiane però fa comodo mantenere tutto tranquillo perché stando al gioco prima o poi qualcosa si guadagna sempre.

Perché la mafia non uccide più o non fa saltare i per aria i negozi? Perché è da anni silenziosa e lontana dalle prime pagine dei giornali?

Forse perché è più facile giungere a compromessi con pezzi delle istituzioni e del mondo economico e finanziario piuttosto che combatterlo apertamente a suon di minacce e di attentati.

Oggi non è la mafia che spaventa. Spaventa di più parlare della mafia, mettere in dubbio la collusione con i poteri dello Stato la commistione con gli affari, la comunione di interessi con quell’enigmatico ‘mondo di mezzo‘ che esiste ovunque e accanto ad ogni luogo dove si muovono soldi, favori e potere.

Noi parliamo e ci affanniamo a fare analisi lucide e convincenti ma nella realtà cambia poco o nulla perché oggi non basta più riesumare la ‘questione morale‘ per la classe politica, occorre un terremoto culturale nell’intera società italiana perché essere ostaggi di un sistema clientelare significa essere prigionieri della mafia.

Caro direttore oggi non basta più metterci una “pezza” perché qualcosa bisogna pur inventarsi visto che la nostra Regione ha il primato di essere la quinta in Italia per presenza e prevalenza delle infiltrazioni mafiose. Siamo stati trattati come ‘pezze da piedi ‘ e per servizi,qualità della vita, livello di disoccupazione, reddito pro capite facciamo invidia solo ai paesi poveri del terzo mondo.

La mafia non appartiene al nostro DNA, non ci interessa chi comincia ma importante è che si cominci veramente a cambiare registro.

 

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