di VINCENZO IACOVISSI (segretario Psi Frosinone)
Al termine della stagione estiva torna puntuale il tormentone del riassetto regionale italiano, che da alcuni mesi anima il dibattito pubblico a seguito della scellerata proposta degli esponenti PD, Morassut e Ranucci, volta a ridurre le regioni italiane dalle attuali 20 a 12. Come noto, il nostro territorio sarebbe interessato da tale accorpamento, mediante l’annessione delle province di Frosinone e Latina alla Campania, per andare a formare la c.d. “regione Tirrenica”.
Ora, tralasciando le evidenti asimmetrie contenute in questa proposta – già segnalate dai più accorti commentatori – è il caso di precisare un aspetto non di poco conto: la configurazione regionale italiana è scritta in Costituzione, precisamente nell’art. 131, e il progetto di riforma Boschi-Renzi, in discussione per la terza lettura proprio nei prossimi giorni, nulla prevede al riguardo, anzi. Basta leggere il testo approvato in prima lettura da Senato e Camera per notarlo.
C’è di più. Anche qualora la singolare iniziativa dei due Dem venisse presa in considerazione, sarebbe necessario intervenire sul testo di riforma in esame, e solo chi non ha minimi rudimenti di diritto costituzionale (art. 138 cost., almeno) può ritenere praticabile una simile ipotesi, che riporterebbe l’iter di riforma al punto 0, e quindi alla sua cessazione.
In realtà un merito in quella proposta ci sarebbe: stimolare una seria discussione sul fallimento del regionalismo italiano, conclamato soprattutto a partire dalla riforma del Titolo V, voluta caparbiamente dal centrosinistra nel 2000-2001 e confermata dagli elettori con referendum, e rivelatasi, purtroppo, fonte di confusione istituzionale, inefficienza e sprechi, come testimoniato dalle poco edificanti cronache degli ultimi anni.
Se di riduzione delle regioni e diminuzione dei loro poteri si deve parlare, dunque, lo si faccia partendo dalla considerazione della loro attuale inadeguatezza, sia strutturale che funzionale, che le rendono forse le istituzioni più distanti dai cittadini. La riforma Boschi-Renzi ne ridimensiona giustamente il ruolo, riassegnando allo Stato centrale la competenza legislativa in molte materie che, sciaguratamente, il legislatore del 2000-2001 aveva attribuito a tali enti. Per la loro riduzione numerica ci vorrà, probabilmente, ancora del tempo, con l’auspicio che il tema venga affrontato senza infingimenti.
Passare da 20 a 12 non è una riforma, ma un palliativo, peraltro poco efficace. Pensare alle macroregioni – magari ritagliate sui confini delle cinque circoscrizioni per le elezioni europee – sarebbe di sicuro più sensato. E restituirebbe slancio a degli enti nati con funzioni di programmazione e divenuti, invece, organismi di amministrazione poco capaci di esercitare la delicata funzione legislativa.