La gogna spacciata per libertà di stampa

Foto: Giampaolo Macorig

Il rischio di trasformare la Giustizia in inutile gogna. Attraverso taglia e cuci suggestivi: condannati dalla Cassazione. In politica può essere utile sul momento. Ma poi avvelena l'aria per l'intero sistema. E spiana la strada ai nemici della buona politica.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

L’urlo è stampato sulla prima pagina del quotidiano Il Riformista. Carico di rabbia e di amarezza, il titolo strilla: “Ipocriti! Non è libertà di stampa. È gogna e può uccidere”. Un grido contro la storia accaduta nelle ore scorse a Roma: una stimata funzionaria del Ministero dell’Università che apprende di essere indagata con l’ipotesi di avere intascato circa 600mila euro per una serie di appalti. Gli ermellini, in natura, se scoprono di essersi macchiati il pelo che li avvolge, vengono presi dalla disperazione e si suicidano. Funziona così anche per molti esseri umani. La funzionaria ha aperto la finestra e s’è buttata nel vuoto. Lotta tra la vita e la morte.

Foto: Paris / Imagoeconomica

E le accuse? La persona sospettata di averla corrotta in cambio degli appalti è un editore. E siccome nessun inquirente lo ha ascoltato s’è preso la briga di farsi sentire lui nell’unico modo possibile: chiamando il Corriere della Sera. Emergono così tre elementi: 1) Ma dove stanno questi 600mila euro? Perché io non li ho dati. 2) Lavoro da almeno vent’anni col Ministero su bandi di gara, perché all’improvviso avrei avuto bisogno di corrompere qualcuno per vincerli? In questi anni avrò fatto almeno 600 gare: da l’Aquila al Veneto, alla Sicilia, la dottoressa come avrebbe potuto favorirmi?

Saranno gli inquirenti ad accertarlo. È il loro mestiere, è giusto che controllino e se ci sono zone d’ombra da portare in luce fanno bene a convocare chi è a conoscenza dei fatti per farseli spiegare.

La macchina del fango

Ciò che è inaccettabile è la macchina del fango. Costruita in maniera criminale con la scusa di fare informazione. Nel caso della funzionaria del Miur sono stati presi pezzi di intercettazione, accostati uno vicino all’altro, saltando tutto ciò che è in mezzo. «È stato attaccato a questa inchiesta il fatto che suo marito è un magistrato, chi l’avrebbe o non l’avrebbe appoggiato per la nomina, che lei era nelle chat di Palamara, che conosce Maria Elena Boschi. Ma Giovanna con Boschi, al Dipartimento delle Pari Opportunità ci lavorava. E con Palamara parlavano tutti. “Facciamo squadra”, è la frase che ripeteva sempre. Per una persona delicata come lei il peso penso sia stato schiacciante».  Un tempo, i vecchi capocronisti di Giudiziaria insegnavano che fare questo con le notizie è reato: si chiama accostamento suggestivo. Non è dato sapere se la cassazione lo consideri ancora tale.

È certo però che questo meccanismo sia stato azionato. Nel caso della funzionaria ma anche nel Lazio. Da giorni c’è chi prova a convincere che la manager della Asl di Frosinone Pierpaola D’Alessandro stia facendo di tutto per andare via dal Lazio di fronte a ciò che avrebbe scoperto. Falso. Ha incaricato gli avvocati di presentare altri due esposti oltre a quelli già depositati appena ha scoperto invece che si cercava di infangarla.

Mauro Buschini

È stata azionata anche nel caso di Mauro Buschini, il Presidente del Consiglio regionale del Lazio che ha preferito congelarsi politicamente di fronte al solo sospetto d’avere fatto una cosa irregolare. I vicepresidenti ed i consiglieri segretari di tutti gli altri Partiti che insieme a lui hanno approvato all’unanimità la delibera finita al centro delle polemiche non lo hanno seguito ed anche ieri hanno mandato a dire a Nicola Zingaretti che non hanno la minima intenzione di imitarlo perché né lui né loro hanno adottato atti irregolari. E se c’è qualcuno che l’ha fatto approfittando di loro, sia lui a dimettersi. (Leggi qui Leonori capogruppo Pd. Via alla verifica sulle assunzioni).

Due cose da dire su Buschini

Su Mauro Buschini è ora che due cose vengano dette. La prima. È vero che i due signori coinvolti nell’organizzazione del concorso di Allumiere stavano nel palazzo dove lui è presidente: ma non sono amici suoi, li ha trovati lì quando è stato eletto Presidente; non sono due faccendieri al soldo di Buschini.

La seconda. Per capire bisogna prendere la cartina geografica: Allumiere sta nel nord del Lazio, distante secoli luce dal collegio elettorale nel quale Buschini ha la sua influenza politica ed il suo consenso. Per essere chiari: un chilometro a Nord di Paliano Buschini vale quanto le lire italiane a Shangai, non è zona sua. Salendo c’è tutta l’area dei Castelli che è altro feudo politico e risponde ad altre logiche. Poi si incontra Roma ed è dominio delle bande Dem impegnate a farsi guerra e scannarsi nella migliore tradizione della sinistra a vocazione suicida: lì nemmeno sanno chi sia Buschini. Poi si sale a Nord di Roma e poco alla volta ci si arrampica fino ad Allumiere. Li nemmeno sanno che la Ciociaria fa parte del Lazio. Ora la situazione dovrebbe essere un po’ più chiara.

Facendo irritare più di qualcuno abbiamo detto che Buschini è il capro espiatorio. Spiacenti per l’irritazione: è così ed è inaccettabile. Ed è ora che qualcuno lo dica.

Come fatto ad Abbruzzese

Mario Abbruzzese (Foto: Daniele Scudieri / Imagoeconomica)

Si rischia lo stesso effetto ottenuto con Mario Abbruzzese: politico al quale il dono della simpatia manca sotto ogni declinazione. Ma per undici anni è stato accusato di avere dispensato consulenze ai suoi amici, gestito la Presidenza del Consiglio regionale come una satrapia personale. A distanza di undici anni s’è scoperto che né ha commesso reato né ha sperperato denaro pubblico.

Nel frattempo però Cassino non ha avuto a Montecitorio una voce che le evitasse l’isolamento ed il declino nel quale ormai è sprofondata: rischiando di finire elettoralmente cancellata ed assorbita da Terracina e Fondi.

Se l’obiettivo è lo stesso con Buschini e Frosinone lo si dica subito. E se è così, chi è favore continui a tacere. Chi ha qualcosa da dire inizi a parlare.

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