La lenta discesa verso il nulla politico (di A. Porcu)

Foto: copyright Stefano Strani

Stiamo scivolando lentamente verso il nulla politico. Dove la distanza tra chi vuole governare ed il mondo reale è sempre più ampia. Colpa di una classe dirigente presa in larga parte davanti al Bar dello Sport. Ma non è di questo che il Paese ha bisogno.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il lento suicidio della Politica è iniziato qualche anno fa. Prima che Matteo Renzi apparisse sulla scena, prima ancora che dal seme della disillusione spigasse il Movimento 5 Stelle, prima che la Sinistra si frantumasse in così tante anime da rendere ciascuna così piccola da essere insignificante.

 

La lenta discesa verso il nulla inizia con la complicità di tutti o quasi. Avviene un giorno in cui, convinti di proteggere una volta per sempre il loro potere, i politici in carica quegli anni aboliscono la preferenza e creano un diverso sistema elettorale. Che – si  capirà solo dopo – è un criterio diverso con cui selezionare la classe dirigente chiamata a governare ciò che resta di questo Paese.

 

In Politica le conseguenze non si vedono subito come nei film. Occorre qualche anno. Se oggi decidi di costruire un ospedale lo avrai nel giro del tempo necessario per trovare il terreno, verificare se può reggere una struttura così pesante, elaborare il progetto, trovare i soldi, attendere l’esito dei vari ricorsi presentati al Tar da quelli che non hanno vinto la gara (tanto per provarci, perché in questo Paese non rischi nulla nemmeno se fai perdere tempo alla costruzione di un’opera importante come un ospedale). E poi i tempi di costruzione, i collaudi, la gara per i macchinari e le attrezzature (altri ricorsi al Tar). Infine si parte.

 

Lo smantellamento della politica è stata un’operazione simile a quella dell’ospedale ma fatta al contrario: smontando anziché edificando. Allo stesso modo, le conseguenze si sono viste dopo alcuni anni, a furia di togliere un pezzo alla volta.

 

La conseguenza è quella che abbiamo oggi sotto gli occhi.

 

Mentre un tempo, al Senato ed alla Camera andava il meglio della cultura e del pensiero che l’Italia sapesse esprimere, in questa legislatura c’è stato il pieno di incapaci presi davanti ai Bar dello Sport di un Paese nel quale tutti sono sicuri d’essere in grado di fare l’allenatore della Nazionale di Calcio o il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Il risultato: il morbillo è tornato una malattia pericolosa, chi non vaccina ha diritto di infettare gli altri; si organizzano, finanziati con denaro pubblico, dibattiti sulle scie chimiche (Stia tranquillo il M5S: anche in questo è stato preceduto da Dc, Ulivo, Udc, PdCI). E poi si resta con il naso all’insù per guardare l’ex orgoglio dell’industria nazionale mentre porta i libri contabili e la sede tra Olanda e Regno Unito lasciando in Italia, per ora, un po’ di officine a marchio Fca.

 

Ma noi guardiamo le scie chimiche e ci preoccupiamo di loro. Non di Fca e di un intero comparto che se ne potrebbero andare da un giorno all’altro. Fingiamo di non capire perché SkyTg24 se n’è andata dalla Capitale. Seguita con altrettanta rapidità dal centro di produzione dei Tg Mediaset: centinaia di posti, stipendi, professionalità, indotto, persi da Roma e finiti a Milano.

 

L’elenco è lunghissimo: in questo Parlamento ci sono Complottisti, Millenaristi, Terrapiattisti, seguaci della teoria degli Ufo (siamo stati portati qui dagli alieni). Gente che fino ad una trentina di anni fa, se solo avesse tentato di esporre in pubblico quelle teorie, nella migliore delle ipotesi si sarebbe ritrovata sbattuta dietro un banco di scuola a rifare gli esami di Terza Media.

 

C’è poco da stupirsi. A votare, oggi, va una popolazione molto più ignorante di quella che ci andava quarant’anni fa. Elettori che non sanno leggere perché hanno smesso di farlo. Ancora di più, persone che anche se leggono non sono in grado di comprendere cosa c’è scritto (senza nemmeno troppo bisogno di mascherargli le parole). (leggi qui Il ritorno degli analfabeti. E non lo sanno).

 

Le candidature sono diventate una specie di maxi concorso all’Ergife di Roma: io mi candido e poi vediamo se riesco a passare. Se va bene mi prendo lo stipendio. Un tempo lo si faceva per un incarico da commesso o da portantino.

 

Non può andare avanti un sistema così. Nel quale, quando l’eletto incapace si trova impantanato nelle paludi da cui non sa più uscire, grida al complotto e che la colpa è degli altri che non lo lasciano fare.

 

La sfida diventa a chi grida più forte. Ed a chi conia lo slogan più efficace. In un mondo così, dove è più importante avere tette e culo al posto giusto e concederle alla persona giusta, la cosa più logica è che chi possiede un cervello vada a portarlo all’estero.

 

È quello che sta accadendo. Non era quello che doveva accadere. Purtroppo è ciò che continuerà a succedere fino a quando non avremo il coraggio di dire che abbiamo tutti gli stessi diritti ma non siamo tutti uguali. Fino a quando non reintrodurremo un sistema che imponga alla politica di dover fare i conti con i territori. E che consenta agli elettori di scegliersi con le mani loro da chi vogliono farsi rappresentare. Mettendo fine ad un sistema nel quale nani e ballerine sembrano giganti.

 

Queste elezioni possono essere un’occasione. Per mandare un segnale. Con il quale chiedere che questo Paese torni a selezionare con criterio, non per slogan o click, la sua classe dirigente.

 

Peccato che a nessuno interessi. Non è in alcuno dei programmi elettorali dei candidati. E tantomeno dei Partiti.

 

Perché il potere difende se stesso. Da qualsiasi latitudine lo si osservi.