La riabilitazione tardiva di Craxi e la fiera dell’ipocrisia

Foto © Imagoeconomica / Carlo Carino

La grande riabilitazione di Bettino Craxi. E la fiera dell'ipocrisia. Il confronto tra due mondi fatto con l'amarezza di un territorio che non vede più politici con la stoffa di un tempo

Libri, documentari, dibattiti e pure un film dal contenuto discusso e dall’interpretazione notevole: la settimana che ha preceduto l’anniversario della morte di Bettino Craxi ha riempito tutte le bancarelle della Fiera dell’ipocrisia. Alla quale l’Italia offre le sue piazze migliori.

Spinti dall’onda del film di Gianni Amelio e dall’interpretazione di Pierfrancesco Favino, i craxiani della prima e dell’ultima ora sono usciti dalle catacombe nelle quali hanno vissuto nascosti in quest’ultimo quarto di secolo. Dando il via alle celebrazioni che più del genio politico craxiano hanno esaltato lo spirito cialtronesco tutto nostrano. “L’Italia è il Paese della caccia alle streghe, nel quale tutti passano a difenderle, appena un minuto dopo averle catturate, affinché non finiscano sul rogo” ammoniva Indro Montanelli.

Bettino Craxi Foto © Imagoeconomica / Carlo Carino

Così è stato per il cinghialone socialista: costretto all’esilio da un Paese in pieno delirio forcaiolo. E che un quarto di secolo dopo lo acclama come l’ultimo degli statisti, tanto è stato deprimente lo spettacolo portato sulla ribalta da nani e ballerine di terza fila che spingevano per quell’esilio nella poco segreta speranza di prendere il posto dell’esule.

Province e non periferie

Un dato è incontrovertibile e lo hanno ricordato in queste ore i pochi testimoni oculari: quelli che c’erano, sono rimasti, soprattutto non hanno avuto motivo per andarsi a nascondere in alcuna catacomba. All’epoca di Craxi il Segretario Nazionale del Partito conosceva ad una ad una le situazioni politiche di tutte le Province. E chiamava al telefono tutti i Segretari provinciali ogni volta che riteneva fosse necessario un suo intervento. Come accadde anche a Frosinone.

Non era un fenomeno esclusivo del Partito Socialista. Basti ricordare che quello spirito ribelle chiamato Nicola Ottaviani, leader del movimento giovanile della Democrazia Cristiana, costrinse il potentissimo Claudio Vitalone, di ritorno da una missione politico – diplomatica in Unione Sovietica, a trascorrere una intera nottata a Frosinone dove il Giovanile contestava i vertici del Partito ed il ministro venne ad ascoltarne le ragioni.

Altri coltelli

Bettino Craxi

Altri tempi. Soprattutto altre persone. Ed altre lame. Meglio affilate e meglio nascoste di quelle in uso oggi alla politica. Nostrana e nazionale. I politici di oggi utilizzano nella migliore delle ipotesi i temperini da boy scout. Tanto che possono permettersi di arrivare a Montecitorio personaggi di indiscussa moralità ma totale inesperienza come le onorevoli grilline Ilaria Fontana ed Enrica Segneri tanto per fare un esempio nostrano, in buona compagnia con decine di altri casi analoghi da tutta l’Italia. Tanto da far apparire l’onorevole Luca Frusone un principe di Metternich al cospetto di cotanta approssimazione.

I reduci del craxismo ma anche i vecchi squali democristiani lo hanno ricordato su queste pagine: a quel tempo dovevi avere percorso tutta la scala politica fino alla segreteria provinciale se volevi sperare di ottenere una candidatura da qualche parte; dovevi essere stato prima consigliere, poi assessore supplente, poi assessore se volevi avere qualche possibilità d’essere tenuto in considerazione per fare il sindaco. Lo hanno ricordato sia Peppino Paliotta che Angelo Picano, eterni avversari in quella stagione. L’affilatezza delle armi l’ha ben tratteggiata il racconto del golpe organizzato da Marco Ferrara negli anni Novanta, rovesciando l’amministrazione comunale di Peppe Marsinano a Frosinone. (leggi qui Angelo Picano, il senatore dalle idee troppo geniali… scambiate per fregnacce e leggi Peppino Paliotta: da Esperia ad Hammamet nel nome di Craxi. Qui trovi Quando Craxi si occupò della Giunta di Frosinone).

Ma le cose si facevano

La produzione della 126 nello stabilimento Fiat di Cassino

Era una stagione nella quale a Frosinone arrivò lo stabilimento Fiat anziché andare in Abruzzo nel feudo di Gaspari, nell’area industriale del capoluogo fu tutto un fiorire di sedi delle multinazionali americane. Si aprivano cantieri e si avviava la Sora-Frosinone; l’autostrada tagliava in due la Ciociaria anziché costeggiare la Pontina come sarebbe stato più logico ed era programmato. Nascevano nuovi ospedali e c’erano iniziative di ogni genere. Nessuno si sarebbe sognato di far aspettare 5 anni una fabbrica che vuole investire in provincia.

È vero che furono gli anni in cui si gettarono le basi per l’infinito cratere nei conti pubblici che oggi stiamo ancora in parte pagando. Vero pure che la corruzione venne eletta a sistema anziché premiare l’efficienza. E che il cialtronismo è una delle poche costanti tra le due epoche.

Ma fino a quando non avremo il coraggio di lasciare alla Storia il compito di ricostruire, fintanto che continueremo a vivere la politica con superficiale tifoseria, non sapremo mai se ci è convenuta o meno quella stagione. Alla quale oggi abbiamo il nulla da contrapporre: al modello sbagliato di chi rubava per la politica abbiamo contrapposto politici che non sono capaci di sviluppare un concetto ma che rubano lo stesso e stavolta per se stessi.

Con il rischio di dover legittime il passaggio di corsa dalla caccia alla strega alla sua difesa affinché non finisca sul rogo ad Hammamet.

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright