Le amnesie di Peppe Patrizi sui Cinque Stelle

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Arturo Gnesi
di ARTURO GNESI
Sindaco di Pastena

 

Caro direttore,
provo simpatia per le dichiarazioni di Giuseppe Patrizi (leggi qui l’intervento di Patrizi) che è stato sicuramente un gran lavoratore durante la sua presidenza ma risulta troppo generico, evasivo e superficiale nell’ analisi della crisi dei partiti politici.

Un peggioramento, quello attuale, che coinvolge tutte le categorie sociali e professionali non risparmiando nemmeno quelle forze economiche e sindacali che hanno condotto per mano lo sviluppo della società italiana.

Oggi siamo ad un passaggio storico tra chi predilige la frammentazione e la destrutturazione sociale e chi si oppone richiamando i principi della solidarietà e della partecipazione popolare.

Atteggiamenti trasversali che prendono forma e forza sia a destra che a sinistra perché mirano a togliere lo scettro del potere al popolo per ricondurlo nelle mani di oligarchie costruite attorno alla forza del denaro e delle logiche finanziarie che ne garantiscono la solidità e la durata. Un sistema elettorale che tutela i prediletti e i predestinati, una logica economica che mira esclusivamente al profitto, una gestione della sanità e della scuola talmente tecnocratica e aziendalistica che ul diritto alla salute e la bellezza dello studio sono stati trasformati in indici di guadagno o di remissione.

Cosa c’entra tutto questo con la logica dei partiti scomparsi e de-ideologizzati? Ne costituisce il fondamento perché se non troviamo idee portanti per il futuro che vogliamo costruire e un linguaggio comune per rappresentare i sogni e i bisogni dei cittadini non potremo mai essere la speranza e la certezza dello sviluppo economico e culturale dei nostri territori.

Sarebbe inoltre troppo facile criticare il ragionamento di Giuseppe Patrizi soprattutto quando dimentica di attribuire alla corruzione e al declino etico e morale la diffidenza e l’allontanamento della gente dalla gestione della cosa pubblica.

La politica si è da tempo rintanata nei suoi salotti e non prova più nemmeno a parlare delle infiltrazioni mafiose nello Stato, non affronta in maniera radicale e severo il mercanteggiamento che c’è attorno agli appalti e alla gestione delle opere pubbliche.
Nessuno denuncia anche perché le leggi talvolta aiutano i collusi e non la gente perbene tanto che si è formata la categoria dei tecnici e delle imprese a profilo variabile, pagano senza battere ciglio dove gli viene richiesto, procedono secondo la legge quando glielo consentono.
La politica, e concludo, è emozione e partecipazione, è formazione interiore e scuola di vita ma deve essere anche rabbia e ribellione quando si calpestano i diritti dei lavoratori e dei cittadini.

Se oggi la politica rimane da sola e le sezioni dimenticate e piene di ragnatele è perché troppo spesso abbiamo dimenticato che in politica il primo comandamento è: non rubare.

Dovremmo, in tanti fare l’esame di coscienza ma chissà se servirà a qualcosa!