L’insostenibile leggerezza dei 5 Stelle (di C. Trento)

Luigi Di Maio 14 mesi fa annunciava "Abbiamo risolto la crisi dell'Ilva". Non era vero niente come ora dimostrano i fatti. Nicola Zingaretti si stanca di aspettare i 5 Stelle ed in Regione nomina due tecnici in giunta. Ma Francesco De Angelis allaccia una linea di dialogo. Mentre in periferia si va avanti a colpi di penultimatum

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

«Abbiamo risolto la crisi dell’Ilva e lo abbiamo fatto in tre mesi, quando quelli di prima in sei anni non erano stati capaci». Così parlò Zarathustra? No. Così annunciava però Luigi Di Maio (capo politico dei Cinque Stelle e allora vicepremier e ministro del lavoro) nel settembre 2018. Naturalmente su Facebook. A distanza di 14 mesi l’Italia intera scopre che la crisi dell’Ilva non soltanto non è stata risolta, ma ha assunto una piega pericolosissima per l’intero Sistema Paese.

Nel frattempo Di Maio non è più vicepremier, ma ha conservato i ruoli di capo politico dei Cinque Stelle e di ministro, peraltro degli Esteri adesso. E, particolare di non poco conto, con «quelli di prima» è al Governo. Cioè con il Partito Democratico, con Matteo Renzi (il nemico storico dei pentastellati) e perfino con Pierluigi Bersani, considerando la rappresentanza di Liberi e Uguali.

Giuseppe Conte incontra i lavoratori dell’Ilva a Taranto

Il tema dell’Ilva è vitale per il Paese e infatti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha ricordato con forza al premier Giuseppe Conte. Aggiungendo all’Ilva anche Alitalia. Dopo la visita al Quirinale, Conte si è precipitato tra gli operai a Taranto, spiegando di non avere la soluzione in tasca. Questo gesto è stato sottolineato positivamente, come coraggioso e altamente “politico”. Proprio tale passaggio evidenzia, invece, la drammaticità della situazione politica italiana.

Ma come, 14 mesi dopo l’annuncio di un sostanziale “sta tutto a posto”, si va lì a dire che non c’è una soluzione in tasca? E si pretende di far passare un’ammissione di debolezza del genere come positiva? Ma un Governo degno di questo nome, oltre a risolvere le emergenze, non dovrebbe evitare che situazioni del genere esplodano?

Quanto ad incontrare gli operai, in altri tempi sarebbe stato un atto dovuto. Oggi altro non è che la mossa della disperazione di chi, come il premier Giuseppe Conte, appare come il vaso di coccio tra i due vasi di ferro (Zingaretti e Di Maio) di manzoniana memoria. Il coraggio politico non c’entra davvero nulla. Siamo seri.

I due “forni ” di Zingaretti e De Angelis

Paolo Orneli con Nicola Zingaretti © Imagoeconomica

Nicola Zingaretti ha proceduto con la nomina dei due assessori regionali: sono Paolo Orneli (Sviluppo Economico) e Giovanna Pugliese (Turismo e Pari Opportunità). Un politico e un tecnico di comprovata fedeltà al Pd. (leggi qui Orneli e Pugliese: ecco i due nuovi assessori di Zingaretti).

Il messaggio politico, neppure troppo subliminale, lanciato da Zingaretti è di un’evidenza solare: il “Laboratorio Lazio”è fallito in partenza. Il segretario nazionale dei Dem ha perso la pazienza con i Cinque Stelle. Troppi no, troppa tattica, troppa demagogia.

«La corda, a furia di essere tirata, si spezza». Il pensiero di Zingaretti è questo. Come presidente della Regione Lazio ha atteso invano operazioni politiche e fatti da Roberta Lombardi. Ma non è successo niente e allora ha tirato dritto.

Secondo alcuni le nomine dei due assessori rappresentano una porta semichiusa ai Cinque Stelle. Ma considerati i profili di Orneli e Pugliese, è arduo pensare una cosa del genere. E poi Zingaretti lo ha spiegato alla sua maggioranza qualche giorno fa: «Non ci sono le condizioni per un laboratorio con i Cinque Stelle, abbiamo aspettato anche troppo».

In consiglio regionale ora Zingaretti “dipende” dal gruppo renziano, dai consiglieri di Italia Viva Marietta Tidei ed Enrico Cavallari, quest’ultimo già decisivo nel patto d’aula. Si tratta di un rischio calcolato però: Renzi è terrorizzato dall’idea di elezioni anticipate. Che fa, manda sotto il segretario del Pd nel Lazio?

Mentre però Zingaretti prende le distanze dai Cinque Stelle, in provincia di Frosinone Francesco De Angelis (leader del Pd) spiazza tutti e rompe ufficialmente il ghiaccio nel confronto con i pentastellati. Lo fa come presidente del Consorzio Asi, ma chi conosce De Angelis sa che ogni suo atto è politico. Perfino se attraversa la strada in un senso o nell’altro. (leggi qui I tre morsi di Francesco De Angelis detto Bokassa).

Ma allora come si conciliano i due scenari, chiusura di Zingaretti e apertura di De Angelis? Tre le possibili risposte. La prima: via libera ad una sostanziale politica dei due forni, tra il livello nazional-regionale e quello provinciale. La seconda: si stanno interpretando due parti nella stessa commedia: il poliziotto cattivo (Zingaretti) e quello buono (De Angelis). La terza: De Angelis sta agendo di sua iniziativa sul territorio, cosa che ha fatto spesso anche in passato, quando non ha chiesto l’autorizzazione a nessuno per aderire (e poi uscire) alle componenti di Ignazio Marino e Matteo Orfini.

Il rischio semmai lo corrono i Cinque Stelle, che potrebbero trovarsi spiazzati a livello provinciale.

Quei penultimatum che lasciano il tempo che trovano

Gli esempi nazionali non mancano: Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Matteo Renzi. Da settimane i leader della maggioranza giallorossa fanno la faccia feroce e lanciano ultimatum che poi non si rivelano tali. Dei penultimatum insomma.

Antonio Pompeo e Daniele Maura

A livello provinciale gli esempi non mancano. Nel Pd in tanti, lontano dai taccuini dei giornalisti, non fanno che ripetere che l’area di Antonio Pompeo deve decidere: o con noi o con Renzi. Poi però non succede nulla. In Forza Italia da mesi il senatore e coordinatore regionale Claudio Fazzone lascia intendere che è imminente una scelta di rottura nei confronti dei vertici “azzurri” e del cerchio magico berlusconiano. Ma finora non è successo nulla.

Al Comune di Frosinone in diversi in maggioranza chiedono (a bassa voce) un rimpasto di giunta, alcuni plaudono (senza farsi vedere) ad interventi di esponenti dell’opposizione che possono mettere in difficoltà gli… alleati. Poi magari fanno passare il messaggio che l’ultimatum è stato lanciato. Però, alla prova del nove (quella dell’aula consiliare), non succede mai nulla.

Alla Provincia nel centrodestra ci sono malumori per il fatto che un esponente di Fratelli d’Italia (Daniele Maura) abbia le deleghe di presiedere i lavori dell’aula. E che quindi, per questa funzione istituzionale, potrebbe essere più incline al confronto con Antonio Pompeo, big del Pd. Dimenticando però che qualche anno fa Forza Italia appoggiò direttamente la candidatura di Antonio Pompeo. E cercando quindi di far passare il messaggio che l’unità del centrodestra dipende dalla Provincia, ente di secondo livello dove non è neppure prevista la mozione di sfiducia. (leggi qui Pompeo – Maura: il Patto è servito, ma non chiamatelo inciucio).

In conclusione: i penultimatum fanno scena. Ma si rivelano delle pistole ad acqua.

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