L’ombra di Andreotti sulla Ciociaria

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Arturo Gnesi
di ARTURO GNESI
Sindaco di Pastena

 

Caro direttore,
concordo pienamente sulle drammaticità dei lavoratori rimasti senza lavoro e senza ammortizzatori sociali, emblema e tragica espressione di una provincia che fatica a dare speranza e certezze alla sua gente. Concordo sulla perdita di autorevolezza e di strategie politiche della classe dirigente che si è alternata, nelle diverse sedi istituzionali, a rappresentare i sogni e i bisogni del territorio ciociaro però vorrei fare alcune precisazioni sul ruolo di Giulio Andreotti. (leggi qui il precedente)

Ha avuto sempre vaste platee di ammiratori e di amministratori che l’hanno additato come modello di intelligenza e di concretezza politica, però nella ricorrenza della strage di via D’Amelio e della morte di Paolo Borsellino, avvenuta il 19 luglio 1992, bisogna guardare in faccia alla realtà.

Giulio Andreotti è stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione all’associazione per delinquere con Cosa Nostra, “concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980″, reato però “estinto per prescrizione”. La sentenza della Corte d’Appello di Palermo è lapidaria: “Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha quindi coltivato, a sua volta, amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia,ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi”.

Giulio Andreotti ha avuto in ciociaria rapporti durevoli con importanti uomini politici, amministratori e imprenditori locali, ha cresciuto una squadra che ha gestito lo Stato, che è stata dentro lo Stato, in tutte le istituzioni e a qualsiasi livello. Cosa ci ha lasciato questa storia antica ? Quanta eredità andreottiana è rimasta sul nostro territorio?

Alla luce di una sacrosanta verità processuale, sociologica e antropologica, secondo la quale la mafia senza politica non potrebbe esistere e considerato anche la provincia di Frosinone e non solo, è sede di importanti sodalizi criminali c’è da chiedersi quanto di questo costume “andreottiano” ha inciso nell’evoluzione di questi fenomeni?

Capisco che sono tematiche controverse e scomode ma utili ad evitare l’appiattimento culturale e la narcosi della ragione. Riflessioni amare ma la strage di via d’Amelio appartiene alla memoria storica di tutto il popolo italiano perché non si trattò soltanto del folle piano di una mafia assassina intenta a ribadire la sovranità sul territorio d’appartenenza, ma fu un atto di sfida contro lo Stato che non si piegava a compromessi o a patteggiamenti con il potere mafioso. Prima Giovanni Falcone, il 23 maggio, poi Paolo Borsellino a Palermo furono fatti saltate in aria con i poliziotti della scorta perché non si lasciarono condizionare dalle trame locali, non subirono i ricatti e le intimidazioni di una nomenclatura politica fortemente legata agli affari e alla logica mafiosa.

Falcone e Borsellino non erano solo servitori delle istituzioni, ma il volto credibile e pulito di uno Stato che non arretra di fronte al pericolo, che non si nasconde dinanzi alla mafia anzi testimonia la necessità di ribellarsi alle ingiustizie, di denunciare le estorsioni, di ribaltare il sistema clientelare e corrotto che rafforza il legame tra mafia, politica e finanza.

Dove c’è corruzione si infiltra la mafia e si alimenta il sistema politico basato sul voto di scambio ed è risaputo che la mafia non porta ricchezza ma povertà, disoccupazione e degrado sociale. Se tutto questo si può relazionare al ruolo svolto da Andreotti in provincia di Frosinone negli anni passati non lo so, ma di certo oggi non possiamo gioire.