di ACHILLE MIGLIORELLI
(già dirigente provinciale Partito Comunista Italiano
e già sindaco di San Giorgio a Liri
Non sono mai stato un dalemiano. Non mi convincevano il suo tatticismo e la sua supponenza. Per me chi, quando discute con te, non ti guarda in faccia, ma guarda gli altri che ascoltano – per vedere se sono d’accordo con lui –, non rientra nei miei gusti. E D’Alema è sempre stato uno di questi. Queste mie riserve le manifestavo con calore al compagno Franco Assante, che, invece, era un suo convinto estimatore. Mi diceva: “Ma è un compagno intelligente”. Esse ebbero la meglio quando, nel 1994, a seguito delle dimissioni di Occhetto, fummo chiamati ad eleggere il segretario del P.D.S. Io votai per Veltroni. Prevalse D’Alema, sostenuto dall’“apparato” del Partito.
Queste considerazioni mi vengono alla mente oggi – chiamato a valutare quanto sta avvenendo con la “rottamazione” della Costituzione e la modificazione della composizione del Senato, delle sue funzioni e competenze –, nell’assistere alla inspiegabile rinuncia della minoranza del PD a portare sino in fondo la battaglia per l’elettività diretta dei nuovi senatori. Penso, invece, che andava evitato uno scempio istituzionale. Scempio che la maggioranza del Partito – sostenuta dai seguaci di Verdini e dagli altri trasformisti, vittime della insana preoccupazione di non poter concludere la legislatura e conquistare un vergognoso vitalizio – vuole brandire a mò di scalpo per dimostrare di aver approvato una riforma attesa da anni. Non importa il merito della stessa. Basta farla.
Perché, allora, D’Alema? Perché, durante il governo Prodi, venne chiamato a presiedere la Commissione parlamentare incaricata di elaborare una revisione della Costituzione, diretta al superamento del bicameralismo perfetto, alla riduzione del numero dei parlamentari, al riordino della giurisdizione ed a una più efficiente attribuzione delle funzioni alle Regioni. Per il ruolo assunto, per la grande fiducia riposta nella Commissione e per la difesa della stessa, D’Alema è stato sempre accusato di aver posto in essere un deprecabile inciucio con Berlusconi e Fini. Eppure il suo obiettivo è stato quello di “coinvolgere la destra in un accordo di tipo costituzionale per dare una base condivisa alla cosiddetta Seconda Repubblica … e ricondurre la Destra … in un quadro di compromesso democratico per definire le nuove regole della seconda Repubblica … e (pervenire ad una) legittimazione reciproca, per creare un bipolarismo normale”. Altro che “inciucio”. La verità è che, se la Bicamerale non fosse fallita per responsabilità esclusiva di Berlusconi, la vita istituzionale e sociale del Paese avrebbe subito una svolta decisiva e l’Italia sarebbe diventata, proprio come voleva D’Alema, un Paese normale. La rinuncia di Berlusconi alla prosecuzione dei lavori provocò la fine della Bicamerale.
Cosa, invece, sta succedendo oggi? Con una maggioranza governativa, che si e no rappresenta il 30% degli elettori, drogata da una legge elettorale dichiarata incostituzionale, a forza di ricatti e trasformismi, favorita da un indecente mercato delle vacche – questa volta condotto dai paladini del renzismo –, si vuole portare a termine una controriforma costituzionale. Il “pastrocchio” imposto alla minoranza PD – e, da quest’ultima, subito; in nome di che cosa? – è una truffa in danno della stragrande maggioranza (i sondaggi dicono il 73%) degli italiani. Con la soluzione adombrata si ribadisce sostanzialmente il NO all’elettività diretta del Senato, che diventerebbe un’altra Camera di nominati, i quali, insieme ai deputati eletti con l’Italicum – anch’essi imposti dalle segreterie di partito –, sarebbero in grado di eleggere il Capo dello Stato, i giudici della Corte Costituzionale, i membri del CSM ed i rappresentanti nelle Autorità di vigilanza, compresa la RAI-TV.
E’ giusto, perciò, far sentire alta la voce di dissenso e denunciare il tentativo di “gabbare” la pubblica opinione. E, per amore di verità e serietà, chiedere – forte e chiaro – scusa all’On.le D’Alema.