L’ultima illusione di Stefano Parisi nel Lazio (di A. Porcu)

Il gioco delle illusioni dietro alla candidatura di Stefano Parisi alle Regionali del Lazio. La vera corsa che in realtà tutti hanno disputato. Salvini battitore libero. Giorgia Meloni incastrata tra la Lega ed i suoi del Nord. Alla fine la stanchezza di Silvio...

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Ci si è arrivati tardi, ci si è arrivati male, ci si è arrivati nel modo sbagliato. Un errore grave il modo in cui si è arrivati a candidare Stefano Parisi alla carica di Governatore del Lazio per il centrodestra. Uno sbaglio di metodo che rischia di essere fatale. Imperdonabile nel momento in cui a commetterlo è Silvio Berlusconi: il grande ammaliatore degli elettori, l’irresistibile seduttore di scontenti ed indecisi, il potente attrattore di tutto l’elettorato di faglia lungo la traiettoria che può portarlo verso di lui.

 

L’APPROCCIO INFELICE

Al Grande Persuasore sarebbe bastato dire: “E va bene, visto che la politica tarda ad arrivare ad una sintesi vorrà dire che tirerò fuori la soluzione che ho pronta già da mesi. Avrei utilizzato Parisi in un’altra partita ma se serve al Lazio vorrà dire lo candiderò qui e non in Parlamento. Dopotutto è da mesi che scrivete di Tonino Tajani impegnato a sondare il mondo delle imprese“.

Invece no. Alla fumata bianca per la candidatura (leggi qui Fumata bianca, il candidato nel Lazio è Stefano Parisi. Chi è) si è arrivati dando l’impressione dei disperati che annaspano sempre di più, pronti ad aggrapparsi al primo tronco portato dalla corrente pur di non affogare. Replicando per la terza volta il dramma dell’impreparazione già andato in scena con la scelta del candidato per le scorse Comunali di Roma (caos identico a quello di questi giorni e regalo del Campidoglio ai Cinque Stelle) e prima ancora con la mancata presentazione della lista PdL in Regione ai tempi di Renata Polverini (la colpa fu data ad un panino, le leggende narrano verità molto più imbarazzanti).

 

L’ILLUSIONE DEL PARTITO

Il problema è che il panorama politico attuale è rappresentato da ‘non Partiti’. Da ologrammi. Proiezioni senza sostanza di ciò che un tempo erano strutture organizzate in maniera efficientissima e quasi militare. Capaci di selezionare con mesi di anticipo il candidato da schierare, in modo da potergli costruire con tutta calma la strada verso l’elezione.

Agire in un’illusione di Partito ha anche un’altra conseguenza: non esiste la struttura che dai territori arriva al vertice, non ci sono insomma le spinte che dal territorio riescono a far arrivare ai vertici i problemi locali, quelli che la gente si aspetta vengano risolti. Tutto avviene invece nella direzione opposta: dal vertice verso la base. Per calare dall’alto i candidati.

Se la gente ha smesso di affezionarsi alla Politica è anche perché non si occupa delle sue esigenze e manda a rappresentarla persone in cui non si riconosce.

La scelta dei candidati questa volta ha suscitato sconquassi che non si vedevano da anni. (leggi qui E Roma disse no ai candidati di Frosinone: salta pure Quadrini (Insider))

 

LA VERA PARTITA? NON È IL LAZIO

Sulla candidatura di Stefano Parisi si è giocata una corsa che non è per il nome del candidato governatore. Pure quella è solo un’illusione.

La realtà è che ognuno in questi giorni ha corso per un obiettivo diverso da quello che appariva: queste elezioni non servono per definire chi dovrà governare la regione o il Paese. Ma per misurare in modo accurato chi ha più peso, all’interno delle squadre che compongono le alleanze.

Come se fossero le prove di un gran premio di Formula 1 prima della gara, per determinare la pole position. E poi quando il Presidente della Repubblica affiderà l’incarico di governo si accenderà il semaforo verde ed ognuno correrà la vera gara, facendo tattica con chi gli converrà di più.

 

CHI INCASTRA GIORGIA?

 

La corsa nel Lazio registra due elementi chiave.  Il primo è la gara disputata da Matteo Salvini: dopo avere incassato le candidature di peso nel Nord ha giocato da battitore libero dentro l’alleanza, assestando sportellate in corsa a chi gli stava più vicino. Il sostengo a Sergio Pirozzi è servito ad aumentare la posta, creare difficoltà, indebolire e logorare gli alleati in una Regione nella quale Salvini punta ad allargarsi.

L’immediato appoggio dato al nome di Stefano Parisi è solo l’ennesima sportellata di Matteo Salvini a Giorgia Meloni.

La presidente di Fratelli d’Italia questa candidatura la deve accettare, obtorto collo. Lei avrebbe preferito schierare il suo colonnello Fabio Rampelli: per crescere ancora di più nel Lazio, rosicchiando quote a Forza Italia. Mettere Parisi invece frena le sue mire espansioniste. Non è un caso che quella candidatura nasca da un’idea di Ignazio La Russa, che si muove sempre piu autonomamente in FdI insieme a Daniela Santanché. È come se fossero l’anima Nord del Partito, impegnata nella corsa ad impedire che l’anima Romana – laziale di Giorgia Meloni potesse continuare ad essere egemone.

 

LA STANCHEZZA DI SILVIO

Le primavere iniziano a pesare su Silvio Berlusconi. È arrivato stanco alla linea del traguardo. Come se alla fine, pur di non sentir più parlare del Lazio avesse detto: “Fate come volete, basta che troviate una soluzione“.

È così che ha consentito ci si aggrappasse ad uno Stefano Parisi che ha un curriculum di indubbio spessore. Ma che ha un’illusione di Partito, che si sposta per l’Italia sostenendo che esista davvero ed abbia un consenso elettorale. Non è così: tanto è vero che fino all’altro giorno nessuno s’è sognato di imbarcarlo in alcuna alleanza, nemmeno con la Quarta Gamba.

È diventato utile nel momento in cui occorreva una toppa che non andasse a toccare gli equilibri di nessuno nel Lazio.

 

Lasciando in piedi un’illusione che tutto funzioni. L’ultima illusione.

 

 

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