“Ma è diventato primario perché era politico oppure ha scelto di fare politica perché era medico?”. E’ come la storia se è nato prima l’uovo o la gallina, ma soltanto un ipocrita negherebbe i rapporti strettissimi tra la politica (soprattutto regionale) e la sanità.
Direttori generali, sanitari e amministrativi, dirigenti di strutture semplici e complesse non sono dei “marziani”. Hanno la loro testa, le loro opinioni come chiunque, spesso hanno delle tessere di Partito. Che talvolta aiutano di più delle competenze, della bravura, della dedizione, dei libri, perfino dei corsi di specializzazione. E’ sempre stato così. Semmai il vero “marziano” è Nicola Zingaretti, il quale, senza indossare l’eskimo, ha preso la decisione più “rivoluzionaria” degli ultimi venti anni: 34 nuovi primari nella sanità laziale vengono individuati attraverso un concorso. Siamo talmente disabituati alla cultura del merito che neppure… rispondiamo.
In provincia di Frosinone poi la sanità delle tessere (di partito) ha rappresentato una costante: d’altronde se i manager delle Asl vengono nominati dalla Regione, chi si meraviglia che provengano da partiti?
Ora però è diverso, il momento è “grave”. Sulla nomina del nuovo direttore generale della Asl è in atto una “guerra”, che produrrà morti, feriti, prigionieri, vincitori e vinti. Sulla Sanità si vincono e si perdono le elezioni regionali: lo hanno imparato a loro spese Piero Badaloni e Francesco Storace. Lo sanno meno bene Piero Marrazzo e Renata Polverini, ma solo perché non hanno finito la legislatura. Lo sa perfettamente Nicola Zingaretti, che infatti ha deciso di affidarsi ai concorsi, consapevole che sui territori la politica non sa fare altro che interferire, entrando a piedi uniti nei reparti e nelle corsie.
E’ per questo che quando lo scontro si è fatto insopportabile, il Governatore ha dato l’annuncio: Isabella Mastrobuono (scelta dalla short list, altro metodo di selezione rivoluzionario e mai visto prima nel Lazio: criteri rigorosissimi ed in linea con i migliori standard europei) andrà a dirigere lo Spallanzani a Roma. In quel preciso momento i “cecchini” si sono trovati senza bersaglio, mentre la professoressa Mastrobuono ha continuato a mettere in pratica l’Atto aziendale senza rotture di p…., senza intromissioni che è meglio.
Adesso però la politica locale ha capito che sulla sanità rischia di scomparire. La controffensiva, legittima, è iniziata. Il Partito Democratico si gioca tutto. Francesco De Angelis, dopo aver conquistato la Saf (Mauro Vicano), l’Asi (lui stesso) e il Cosilam (Pietro Zola), vuole fare… poker. Il consigliere regionale Mauro Buschini ormai sogna la Mastrobuono una notte sì e l’altra pure. Per esorcizzare lo spettro del fallimento politico (il depotenziamento dell’ospedale di Alatri) non ha che una carta: cercare di far nominare un manager locale. Ma chi?
I professionisti validi, competenti e qualificati ci sono: Mauro Vicano è nella short list e forse gli piacerebbe tornare sulla poltrona più alta della Asl da capo supremo. Ma dovrebbe lasciare la Saf. Non è semplice perché si scatenerebbe il finimondo nel centrosinistra. Però attenzione, la soluzione Vicano c’è ed esiste.
Renato Sponzilli ha un curriculum impeccabile e il direttore generale lo ha già fatto, alla Asl di Latina. Voluto però dall’allora plenipotenziario del Popolo delle Libertà Alfredo Pallone. Sponzilli ha un rapporto strettissimo con Francesco De Angelis e Mauro Buschini. Sarebbe l’uomo giusto al posto giusto e c’è da scommettere che anche il consigliere regionale di Forza Italia Mario Abbruzzese darebbe il via libera.
Ma Nicola Zingaretti cosa farebbe? Probabilmente niente. La Mastrobuono allo Spallanzani determinerebbe una situazione già “normata”: i poteri da manager andrebbero a Mario Piccoli Mazzini, il direttore amministrativo, il braccio destro della Mastrobuono, la sua “ombra”. Come Batman e Robin. Non servirebbe nemmeno la nomina, neppure quella da commissario. Meglio di così.
Poi, tra qualche mese, verrebbe calato l’asso: Vitaliano De Salazar, manager severo dal profilo tecnico ed ottima capacità di dialogo con il mondo politico. Come piace a Zingaretti. I politici locali si incazzerebbero. Ma cosa potrebbero fare? Dimettersi da consiglieri regionali? No, sarebbero costretti a dire che va bene così, che proprio la terzietà delle nomine dimostra come la giunta Zingaretti guarda ai curricula e non alle tessere. E’ quello che vuole il Governatore.
Il guaio è che nella Sanità provinciale molti medici hanno le tessere. Però hanno anche tanti pazienti. Potenzialmente molti voti. Ma in questi anni tanti ospedali sono stati chiusi o depotenziati e migliaia di voti sono in libera uscita. Nessuno può assicurare le preferenze di un tempo. Voi direte: e i reparti? E il Dea di secondo livello? E i professionisti validi? Per la politica sono aspetti secondari.
Vi fareste operare più tranquillamente da un chirurgo renziano o berlusconiano? Ma che domanda è? Il chirurgo deve essere bravo e basta. Per voi.
Per lorsignori non necessariamente. Ma proprio adesso doveva venire in mente a Zingaretti di affidarsi ai concorsi? Diavolo di un Governatore.