Quelli che parlano di tutto anche se ci capiscono niente (di H.D. Toro)

C'è un'altra categoria di webeti. Quelli che parlano di tutto. E pretendono di capire tutto. Anche se in realtà sanno niente di ciò che dicono. E sono tanti.

Henry David Toro

Preside frusinate in prestito all'Emilia

Quando discuto con mio fratello ingegnere di inquinamento, qualità dell’aria, sostanze nocive presenti nell’ambiente, di solito sto zitto. Intervengo semmai per porre qualche domanda, generalmente ascolto.

Quando discorro con l’altro fratello musicista invece ascolto e parlo, dato che ho una formazione musicale, suono, ho persino scritto qualche libercolo sull’argomento. Io gli chiedo qualcosa, lui chiede il mio parere su qualche altra questione. Stavolta è il fratello ingegnere che ascolta in silenzio, più o meno religioso.

Perché ci comportiamo così? Per una regola di buon senso, un principio che dovrebbe guidare ogni persona dotata di razionalità: si parla solo se si ha veramente qualcosa da dire. E – cosa più importante di tutte – si parla solo se si hanno adeguate capacità e competenze per farlo. Dunque io, in quanto musicista e insegnante di filosofia e storia, non parlo di chimica o mineralogia, come un ingegnere non dovrebbe disquisire su Monet e Picasso.

A meno che non ne sia un grande appassionato ed esperto. E qui entra in gioco una piccola ma significativa eccezione alla regola. La competenza non deve essere esclusivamente legata a un titolo di studio. Un ingegnere potrebbe essere anche un grande esperto di Van Gogh o di filologia greco-romana (piuttosto rara come possibilità ma sempre una possibilità). E sappiamo benissimo che grandi romanzieri non erano laureati in Lettere (Carlo Emilio Gadda, solo per citarne uno, era per l’appunto un ingegnere).

Essere un grande esperto e appassionato di qualcosa impone però uno studio serrato, fatica, applicazione severa e metodo. Conosco tanti scrittori, docenti, presidi che studiano, leggono anche cose che non sembrerebbero strettamente attinenti alla professione. In questo modo possono diventare capaci e competenti in questa o quella materia.

Certo rimane sempre il buon senso e la ragione a orientarci nelle scelte della vita.

Cosicché non ci sogneremmo mai di farci operare al cuore da un sedicente chirurgo che abbia imparato tutto sulle operazioni, leggendo una enciclopedia presa in prestito dalla biblioteca; così come mai e poi mai saliremmo su un aereo ai cui comandi fosse pronto un pilota che ha imparato a decollare e atterrare grazie a un tutorial su Youtube. Certo che no!

Tutti – credo – preferiremmo farci aprire il petto da una équipe di medici plurilaureati con annessi dottorati e specializzazioni o volare alle Canarie in agosto con due piloti forniti di brevetto e svariate migliaia di ore sul groppone.

Perché, in conclusione, sono la capacità e la competenza quelle che fanno la differenza tra chi sa e chi non sa, tra chi è in grado di ragionare e chi si comporta da analfabeta funzionale. Per finire potrei aggiungere un’ultima regola di buon senso: quella dell’esperienza legata all’età.

Ma ho peccato di presunzione, mi accorgo solo ora. La regola non è mia bensì di uno dei sommi filosofi dell’antichità. Date un’occhiata infatti a quel che scriveva Aristotele in un passo de La Retorica, dedicato ai vecchi, ovvero coloro che hanno più esperienza:

[Tale è dunque il carattere dei giovani, mentre i vecchi e gli uomini per i quali è iniziato il declino hanno per la massima parte caratteri pressoché opposti ai loro. Per il fatto d’avere vissuto molti anni, d’essere stati più volte ingannati, d’avere più volte sbagliato, e poiché la maggior parte delle cose umane sono spregevoli, non affermano nulla con fermezza e in ogni circostanza si meravigliano meno di quanto sarebbe necessario. Inoltre “credono” sempre, ma non “sanno” nulla, e nella loro indecisione aggiungono sempre un “forse” o un “probabilmente” e parlano sempre così, mai con sicurezza]. Aristotele, Retorica, II (B), 13, 1389 b