Se il numero dei morti diventa un’abitudine

Ci stiamo abituando ai numeri dei morti. Dimenticando che dietro ognuno di loro c'è una storia, c'erano degli affetti. Era una persona. Illusi dalle "patologie pregresse" come se a noi non dovesse toccarci. Invece i numeri dicono altro.

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Da tredici mesi sentiamo ripetere quotidianamente questa locuzione: “patologie pregresse”. Viene associata ai morti per Coronavirus e il ragionamento che è stato fatto, soprattutto all’inizio della pandemia, tendeva a far passare il messaggio che la letalità del Sars-CoV-2 dipendesse anche dalla condizione clinica di una persona. Vero. Ma il ragionamento era inaccettabile allora e lo è ancora di più adesso. Per una ragione semplice: senza il Covid quasi 3 milioni di persone nel mondo e più di 107.000 in Italia sarebbero ancora vive.

In provincia di Frosinone il virus ha spezzato quasi 500 vite, 494 per l’esattezza. Ed è ora di guardare in faccia la realtà, evitando minimalismi e superficialità. Evitando cioè di considerare normale tutto ciò che sta succedendo. Da tredici mesi a questa parte.

FOTO: MARCO CREMONESI / IMAGOECONOMICA

La verità è che ci siamo abituati a dei numeri che ci sembrano bassi (ci convinciamo di questo), ma che in realtà sono alti. Anzi altissimi. E inoltre sono numeri, quelli dei contagi e dei decessi, parametrati soltanto su quello che si riesce a tracciare e a monitorare. Ci stiamo abituando a considerare la pandemia come qualcosa di ordinario. Non lo è. E quasi 500 morti di Covid nella nostra provincia sono un tributo altissimo. Parliamo di persone che erano padri, madri, figli, amici, parenti. Erano persone. La loro memoria andrebbe ricordata, anche con l’istituzione di un’apposita Giornata.

È una guerra. A Ciociaria Oggi Fabrizio Cristofari, presidente dell’Ordine dei Medici, ha avuto il coraggio di dire che in Italia viaggiamo ad una media compresa tra i 300 e i 500 morti da mesi. Il terribile terremoto de L’Aquila del 2009 spezzò 309 vite. Non dobbiamo abituarci alla fredda contabilità dei decessi, calcolati come uno dei tanti fattori di questa pandemia. Ogni vittima aveva una storia, aveva degli affetti e delle relazioni umane. Aveva una vita. 

Consapevolezza del presente per la ripartenza

Poi c’è tutto il resto. A cominciare dalle persone che hanno contratto il virus in Ciociaria. Sono quasi 27.000. Per la precisione 26.912. Significa che si è contagiato un ciociaro ogni 18 abitanti. E per quelli che hanno avuto bisogno del ricovero ospedaliero, o addirittura della terapia intensiva, non si è trattato di una passeggiata. Perfino chi ha avuto sintomi più gestibili e ha trascorso il periodo di malattia in isolamento domiciliare ha comunque dovuto fare i conti con una patologia subdola. E con mille paure, ansie, angosce.

Terapia Intensiva. Foto: Sergio Oliverio / Imagoeconomica

Tornando un attimo all’impatto del Covid sul versante dei decessi, l’Istat ha scritto nel suo ultimo rapporto: «Al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è inferiore di quasi 384.000 unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze».

«Gli effetti negativi prodotti dall’epidemia Covid-19 hanno amplificato la tendenza al declino di popolazione in atto dal 2015. Nel corso della prima ondata dell’epidemia (marzo-maggio 2020) i decessi a livello nazionale sono stati 211.750, quasi 51.000 in più rispetto alla media dello stesso periodo dei 5 anni precedenti (+31,7%). Di questi, i decessi di persone positive al Covid-19 registrati dalla Sorveglianza integrata ammontano a 34.079 (il 67% dell’eccesso totale)».

Nel 2020 in Italia si è registrato il record di morti dal secondo dopoguerra. Perciò è inaccettabile “sentire”i dati della pandemia come un normale bollettino. È un bollettino di guerra. Accettiamolo e proviamo a renderci conto delle dimensioni della tragedia. L’umanità non va persa. E umanità vuol dire piangere e provare dolore per delle vite spezzate. Ma pure proteggere le persone anziane e quelle più fragili. Sempre.

Dalla sanità alla scuola La rivoluzione

La sanità ciociara è completamente cambiata. Oggi si fanno le terapie con gli anticorpi monoclonali, c’è una campagna di vaccinazione, negli ospedali ci sono 1.200 pazienti. Quando tutto questo sarà finito (perché finirà) non sarà possibile riprendere da dove tutto era stato interrotto.

Ci saranno sfide diverse, per le quali occorrerà una classe dirigente all’altezza. Lontana anni luce dalla logica del “fin che la barca va, lasciala andare”.

Foto Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

Poi c’è la scuola. Anche in Ciociaria intere generazioni di ragazzi sono in lockdown da più di un anno. Bambini piccoli e adolescenti. Sono loro che sul piano psicologico e sociale pagheranno il prezzo più alto al Covid-19.

La didattica a distanza non può sostituire le lezioni in presenza. Perché la scuola è apprendimento ma anche socialità, è studio ma pure confronto. A scuola nascono le amicizie, gli amori, si sviluppa la coscienza critica. Si cresce.

Il dibattito sulla riapertura sta spaccando la politica, la scienza, il Paese. D’altronde parliamo di un tema che inevitabilmente divide. Purtroppo però ogni dibattito, anche nella nostra provincia, viene affrontato in un contesto da guelfi e ghibellini. Riaprire in sicurezza è un imperativo categorico e vale per ogni tipo di contesto.

Non solo nella scuola. Ma pure in questo caso è inaccettabile l’idea che la scuola possa essere sempre e comunque sacrificata. L’età scolastica è quella più fragile e certamente lo sgretolamento delle relazioni sociali è un fattore con il quale dovremo fare i conti. Al tempo stesso però dobbiamo essere tutti consapevoli che anche in provincia di Frosinone l’ottimismo della ripartenza passa dai ragazzi. Inevitabilmente. (Leggi qui Il mirino troppo in alto di Nicola Ottaviani).

Infermieri in Terapia Intensiva: AG. IchnusaPapers

Il mondo pre-pandemia non era certamente il migliore dei mondi possibile. Anzi. Da decenni ci si muoveva nel solco di una annoiata e distratta superficialità. Su terreni spesso paludosi e lungo strade senza uscita. Dopo la pandemia potrebbero aprirsi orizzonti nuovi, con una consapevolezza e con delle sensibilità maggiori.

In quel mondo la scuola, l’ambiente e il lavoro dovranno essere centrali. E il motore sarà rappresentato dai ragazzi. Il futuro passa da loro.

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