Sui rifiuti di Roma finirà come con Acea

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

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Diranno no, strepiteranno, minacceranno di incatenarsi e qualcuno anche di fare lo sciopero della fame. Ma alla fine non faranno niente. I sindaci della provincia di Frosinone faranno, con i rifiuti di Roma, la stessa cosa che hanno fatto con Acea. Tanto baccano ma poco o nulla di concreto.

Nessuno si metterà di traverso per impedire che le spazzature di Virginia Raggi arrivino in provincia di Frosinone. Le barricate saranno solo sui giornali, non si vedrà alcun cavallo di Frisia a bloccare le strade ai compattatori in arrivo dalla Capitale.

Fermare le spazzature della città di Roma significherebbe rinunciare a qualcosa come 50mila euro al giorno, tra quanto bisogna spendere per essiccarle, tritarle, vagliarle, trasformarle in combustibile per termovalorizzatori. Lavori che vengono svolti nello stabilimento di Colfelice. Soldi che per questo finiscono in larga parte nelle casse della Saf, cioè di tutti i Comuni della provincia di Frosinone (proprietari dello stabilimento di tritovagliatura dei rifiuti) costruendo poco alla volta i 4 milioni di utili realizzati in un anno dal presidente Mauro Vicano.

Il resto di quei soldi va nei conti della Mad, la società privata che raccoglie la parte di rifiuti non trasformabile in combustibile. Grazie a quel denaro, Mad può permettersi di far entrare i sovvalli ciociari ad una tariffa calmierata, di gran lunga più bassa rispetto a quella di mercato.

Nessuno farà niente. Per lo stesso motivo per il quale alla fine nessuno dice nulla ad Acea. E cioè: perché, in fondo, conviene a tutti.

Se davvero i sindaci della provincia di Frosinone volessero impedire l’arrivo anche di un solo chilo di spazzature romane sul loro territorio, gli basterebbe fare una sola, banalissima, cosa: convocare l’assemblea dei soci, votare per rifiutare i rifiuti in arrivo dai cassonetti di Comuni non soci. E fine della fiera.

Ma non lo faranno.

Così come nessuno farà nulla per impedire l’arrivo dei materiali destinati a bruciare nel termovalorizzatore di San Vittore del Lazio. Lì, entro la fine dell’anno, verrà attivato il terzo forno: non verrà certo utilizzato per farci il capretto alla brace o l’abbacchio alla scottadito per i ristoranti della zona. Brucerà tutte le tonnellate di Cdr (combustibile ottenuto dai rifiuti) per cui è stato autorizzato dalla Regione, producendo energia elettrica. Facendo economia. Eliminando rifiuti, evitando che finiscano in discarica. Se poi lo faccia bene o meno, se inquini o no, generando polveri o meno, è un altro discorso.

Nessuno dirà nulla. E questa volta non ci saranno nemmeno gli attivisti del Movimento 5 Stelle. La roba che brucia dentro i forni di San Vittore la sta mandando un sindaco che hanno eletto loro a furor di popolo. E – sia chiaro – lo sta facendo legittimamente.

Solo che, insieme a quelle immondizie, Virginia Raggi farà bruciare anche un po’ delle illusioni che gli attivisti si erano fatti: speravano che tutto cambiasse e invece tutto è rimasto come prima. Anzi, adesso la sindaca ha preteso la precedenza per le sue spazzature e gli altri si mettano in fila. Per il resto, tutto uguale: da Roma, nessuno ci considerava prima, nessuno ci ha considerati adesso. Nessuno prima telefonava in Ciociaria, nessuno adesso ha telefonato a Frusone.

Tutto come prima. Con Cinque Stelle in più.