Le due grandi occasioni perse dalla politica per battere un colpo

Il silenzio della politica su due temi chiave per l'industria in Ciociaria è imbarazzante. Le analisi stanno confermando che la Valle del Sacco è stata avvelenata due volte: la prima da sostanze chimiche, la seconda da una serie di balle che hanno esagerato la portata del problema. Fino a paralizzare il risanamento. E lo sviluppo industriale. L'attacco alle produzioni di eccellenza proprio nel momento in cui si preparano ad affrontare i veri business. E l'assenza di risposte forti e chiare della politica

L’evanescente politica della provincia di Frosinone ha perso un’altra eccellente occasione per dimostrare di essere in vita, di avere conoscenza dei problemi del territorio, di trovarsi connessa alla realtà che dovrebbe governare. Invece, ancora una volta è rimasta in silenzio: indifferente a quanto accadeva o incapace di comprenderlo.

Sono due gli episodi centrali. Entrambi hanno visto sotto attacco il sistema industriale del territorio: ciò che crea posti di lavoro, economia, crescita.

I due temi

L’area interdetta nella Valle del Sacco

Il primo episodio. Il governo nazionale e quello regionale sono impegnati in questi giorni, ciascuno per proprio conto, nel mettere a punto la manovra sulla base della quale organizzare i conti nell’anno 2020.

Nessuno dei due ha inserito finora una sola riga per il risanamento della Valle del Sacco: gigantesca area industriale di interesse nazionale. Sulla quale gravano vari progetti ma nessuno poi va oltre l’interessamento perché mancano le regole con cui affrontare l’inquinamento che l’ha avvelenata per decenni.

Il secondo episodio. Al rientro da una trasferta di trenta ore a Shanghai, ottenuta la firma su un’operazione da 30 milioni di euro, l’imprenditore Francesco Borgomeo ha trovato sulla sua scrivania un ricorso al Tar con cui revocare le autorizzazioni che consentono ad un’azienda di lavorare. Al suo interno, affermazioni gravissime nelle quali si parla di elevati rischi ambientali.

Né nel primo, né nel secondo caso, la politica nazionale ha avvertito l’esigenza di intervenire. Quantomeno informarsi, almeno domandare.

Qualcuno con cui parlare

Ancora una volta c’è stato chi ne ha preso il posto. Facendosi carico di ciascuna delle due questioni. Sulla Valle del Sacco sono stati ancora una volta gli industriali a chiedere chiarezza. È un paradosso: quelli che devono applicare le regole, sono dovuti intervenire per chiedere le regole da applicare.

È stato Giovanni Turriziani, presidente di Unindustria Frosinone, ad assumersi l’onere di chiedere misure straordinarie per l’area della Valle del Sacco. Innanzitutto ha chiesto l’attivazione di “una cabina di regia“. Tradotto dal linguaggio diplomatico, sollecitare una cabina di regia vuole dire “indicate qualcuno con cui parlare per affrontare il problema”.

Giovanni Turriziani, Foto: © Stefano Strani

Ha sollecitato la “riduzione delle attuali tempistiche per l’esecuzione delle controanalisi ed il rilascio di pareri da parte delle pubbliche amministrazioni“. Significa che qui si impiega dannatamente più tempo che in altre zone per avere un si o un no, un “puoi allargare la fabbrica” o “non puoi farlo”. Che significa puoi assumere altra gente per fare più produzione oppure no.

Infine ha chiesto di “snellire l’iter procedurale di caratterizzazione e bonifica“. C’è bisogno di traduzione?

Lo ha chiesto al Ministero dell’Ambiente, al Ministero per lo Sviluppo Economico, alla Regione Lazio. Significa che nessun altro lo ha chiesto. Nessuno finora ha avviato un’azione concreta. Come vogliono stimolare lo sviluppo industriale, la crescita dei posti di lavoro, i nostri politici?

La Valle del Sacco esiste?

C’è di peggio. Di molto peggio. Peggio dell’indifferenza. peggio dell’indolenza. Giovanni Turriziani ha rivelato “i primi risultati analitici relativi alle indagini preliminari su terreni ed acque sotterranee condotte da diverse imprese all’interno del SIN “Bacino del Fiume Sacco”. Ciò che sta emergendo è che, spesso si riscontrano superamenti dei valori delle CSC  (Concentrazione soglia di contaminazione) che non interessano i terreni ma sono limitati solo alle acque di falda“.

Se è vero quanto sta emergendo dalle analisi significa che per anni abbiamo parlato di niente o poco più. Fuffa colossale. Vorrebbe dire che la Valle del Sacco non esiste: non è una valle dei veleni. È un fiume avvelenato da anni di scarichi industriali ma quelle sostanze non hanno affatto contaminato i terreni interni. Non al punto da considerarli inquinati.

Laboratorio di analisi

Chi ha il coraggio adesso di dirlo alla gente? Chi si assume la responsabilità per avere bloccato anni ed anni lo sviluppo industriale della zona? E chi ha avuto interesse a perimetrale come area inquinata dal fiume anche una vasta zona che il corso del Sacco lo vede con il binocolo? È stato bloccato lo sviluppo industriale di aree che sono a chilometri dal fiume. Finanche la ristrutturazione delle abitazioni è stata sottoposta a severissimi vincoli.

Non era la Icmesa di Seveso. Non era la Union Cabide di Bhopal. Se sono veri i risultati che stanno emergendo c‘è un problema serissimo di avvelenamento della Valle del Sacco ma che è stato esagerato e ampliato ad arte.

I veleni ci sono

I dati che stanno emergendo sono del tutto in linea con quelli che da mesi sta raccogliendo la Asl di Frosinone. I veleni ci sono ma sono limitati al letto del fiume ed all’area immediatamente circostante: se non c’è un’esondazione del Sacco se ne restano lì, se nessuno pesca l’acqua per irrigarci non si muovono. Se qualcuno lo ha fatto nel passato, finora non se n’è trovata traccia.

Un dato deve essere chiaro e lo hanno detto in maniera matematica le analisi: i veleni ci sono, ci sono stati, hanno contaminato anche le aree a ridosso del fiume. La prova inattaccabile sta nei dieci siti sui quali è già stata effettuata o avviata la bonifica. Ciò che sta emergendo è che forse si è esagerato nel perimetrale l’area.

Valle del Sacco, l’avvelenamento avvenuto nel 2005

La dimostrazione arriva dalle analisi condotte finora da chi ha avviato i progetti per realizzare o allargare le fabbriche. “I contaminanti ritrovati nelle falde non sempre sono ascrivibili ai cicli produttivi delle aziende che operano nei siti oggetto d’indagine, essendo spesso il risultato di eventi storici di contaminazione ed essendo il soggetto che gestisce il sito non sempre responsabile dell’inquinamento“.

In pratica, trovo le sostanze inquinanti, risalgono agli anni Sessanta e Settanta. Non potete chiederle a me che arrivo ora di farmi carico per intero della bonifica. Però nessuno risponde. Nessuno fa niente. Al punto che gli industriali sollecitano “è necessario attuare le misure d’intervento straordinarie previste e che allo stato attuale non risultano più rinviabili

E per abbattere i tempi, evitare che si riunisca il solito tavolo, Unindustria ha avanzato diverse proposte di natura tecnica con cui ridurre i tempi delle analisi, snellire l’iter, gestire la contaminazione delle acque. Soprattutto sollecita la Cabina di Regiaprevista dal Protocollo d’intesa sottoscritto a marzo 2018 da Ministeri, Invitalia e Regione Lazio.

Come dire: dateci qualcuno con cui parlare.

Il secondo tema

Un gruppo di associazioni ha chiesto al Tribunale Amministrativo di chiudere la Saxa Gres di Anagni.

Le cose vanno chiamate con il loro nome, altrimenti ci si prende in giro. Chiedere la revoca delle autorizzazioni ambientali, per una fabbrica significa fermare la produzione.

Lo hanno capito i lavoratori che operano in quello stabilimento. Gente che ha risollevato quella fabbrica grazie alla sua capacità di lavorare. L’imprenditore che ha riaperto i cancelli lo ha sempre detto: “La marcia in più sono le competenze e la bravura di questi ceramisti“. È per questo che nelle ore scorse sono andati a manifestare davanti alle sedi delle associazioni che hanno presentato quel ricorso al Tar.

Saxa Gres visita del prefetto Ignazio Portelli con il presidente della Provincia, del Consiglio Provinciale, del sindaco di Anagni

Per essere chiari: non è Taranto, non è il drammatico bivio dell’Ilva in cui bisognava scegliere tra rischio di tumore o posto di lavoro. Saxa Gres è un progetto di dimensione internazionale partito da un piccolo territorio che sta dando tanto fastidio ai colossi di Sassuolo che ora vedono attaccato il loro monopolio sulla ceramica.

Con altrettanta chiarezza va detto che la storia delle ceneri da mettere nell’impasto è un’altra balla colossale: perché in realtà quelle che verranno trattate non sono affatto polveri, non hanno niente a che vedere con la cenere che si produce nel caminetto. Sono sassolini, solidificati, compatti, che dovranno essere frantumati e ridotti in polvere. Attraverso un progetto certificato nel 2007 dall’Europa, portato per la prima volta nel Lazio, sottoposto ad una nuova sperimentazione durata tre anni, convalidato da tre diverse università italiane.

I lavoratori lo sanno. I sindacati lo sanno. Sanno soprattutto di essere scomodi perché con il loro lavoro stanno attaccando vecchi business, non solo quelli dei sassuolesi.

La risposta più chiara l’hanno data il presidente della Provincia Antonio Pompeo, il presidente del Consiglio Provinciale Daniele Maura (uno che vive in piena Valle del Sacco), il sindaco di Anagni Daniele Natalia. L’altro giorno hanno accompagnato il prefetto Ignazio Portelli ad esaminare il ciclo produttivo.

La politica nazionale, quella che sta scrivendo le nuove regole sull’economia circolare, sulla quale basare il rilancio dell’industria italiana, smentendo di sfruttare il suolo ma recuperando le materie scartate… No, loro non c’erano e nemmeno hanno chiesto informazioni.

Nemmeno questa volta.

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