Uomini che nuotano nell’aria

Gli uomini che volavano dalle finestre delle Torri Gemelle. Esattamente come i disperati in fuga da Kabul vent'anni più tardi volavano dagli aerei. Il mito di Icaro e delle perle di saggezza in cui vennero trasformate le lacrime di Dedalo. Del tutto inutili di fronte ai governanti di oggi

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ho acceso la Tv. Bè, l’ audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato?

Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull’obiettivo, si getta sull’obiettivo. Sicché ho capito. Ero un pezzo di ghiaccio.

Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute, e venivano giù così lentamente. Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell’aria. Sì, sembravano nuotare nell’aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf!”.

Gli stessi voli dopo vent’anni

Così scriveva nel rabbioso ed orgoglioso articolo che pubblicò sul Corriere della Sera Oriana Fallaci il ventinove settembre duemilauno. A pochi giorni dal nefasto attentato alle torri gemelle. Ieri questo orrendo atto contro l’umanità compiva il suo ventennale.

Io ebbi un’esperienza simile, seduto nella sala gialla da poche settimane eletto sindaco  fui chiamato dal mio amico Peppe che attraversò la porta della mia stanza bianco come un cencio senza riuscirmi a spiegare esattamente cosa succedesse così insieme scendemmo le scale e ci recammo a casa mia che dista venti metri dal comune, ed accesa la tv feci appena in tempo a vedere, anche io come la Fallaci senza audio, le scene del grattacielo in fiamme e la tv che inquadrava quelle persone che disperate e senza alternativa si lanciavano nel vuoto in un atto ultimo e disperato. E dopo qualche minuto l’arrivo del secondo aereo il cui schianto fece poi collassare entrambe gli edifici.

I falling man di Kabul

Io però quelle immagini le ho riviste. Non solo per anni nella mia mente. Ma qualche giorno fa e non nelle celebrazioni dell’11 settembre, ma nella fuga da Kabul dei disperati che, pur di andare via da un regime violento ed oppressivo, si attaccavano agli aerei in partenza e da quelli uno ad uno si buttavano disperati o cadevano per la forza del vento, inquadrati dai teleobiettivi che, come dalle torri gemelle, seguivano il loro corso in aria fino allo schianto.

Ed è quella sequenza, sono quei movimenti che quasi sembrano mimare “uomini che nuotano nell’aria” che mi sono rimasti sempre impressi, come una macabra danza di morte e distruzione.

Il filo rosso dell’ipocrisia

Mi sono accorto, con orrore, che il filo rosso che conduce la nostra storia negli ultimi venti anni, nonostante tanta brutalità, non è cambiato e stride non solo il sacrificio ma l’inutilità completa di questo. La completa assuefazione occidentale a questa violenza come se fosse un fatto ineluttabile, inevitabile. E la coscienza dei potenti viene lavata da scarne e sterili celebrazioni riempite ogni anno di parole vane inutili e drammaticamente uguali a loro stesse.

Quando ho visto il presidente americano Joe Biden prodursi in un videomessaggio di ben 6 minuti e 23 secondi per il ventennale delle Torri Gemelle, il cui passaggio più alto e potente, si fa per dire, è stato riguardo l’unità ho finalmente plasticamente personalizzato il verso di Matteo in cui Gesù parla dei sepolcri imbiancati.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità”.

Il presidente Joe Biden. Foto Gage Skidmore

E così ha detto il sepolcro imbiancato Biden, sforzandosi nell’enfasi tanto da fare muovere l’unica ruga rimastagli dopo i tiraggi del chirurgo plastico: “Abbiamo visto come l’unità è una di quelle cose che va mai distrutta. L’unità è quella che ci rende l’America al meglio. E questa per me è la lezione più importante dell’11 settembre. L’unità è la nostra forza maggiore: non vuol dire che dobbiamo credere tutti nella stessa cosa ma che dobbiamo avere rispetto gli uni degli altri e per questo Paese”.

Ho spento tristemente la tv ma chiudendo gli occhi non riuscivo a togliermi l’immagine degli “uomini che nuotavano nell’aria”, di quante vite di quanti sacrifici invano per avere in cambio parole così banali e vuote.

Gli Icaro del XXI secolo

E così ho provato ad immaginarli come novelli Icaro. Che si morì in volo, ma per un volo spiccato verso la libertà e terminato in tragedia solo perché ha volato troppo vicino al sole. Per un emozione, per la gioia di fuggire, per troppa felicità.

Dedalo ed Icaro erano padre e figlio. Furono incarcerati perché Minosse re di Creta accusò Dedalo di aver aiutato Teseo a sconfiggere il Minotauro rinchiuso nel labirinto dallo stesso realizzato. Per questo fu imprigionato col figlio Icaro di dieci anni nella parte più alta del palazzo di Cnosso senza pane ed acqua.

E così al culmine della disperazione padre e figlio rubarono la cera dei favi alle api sul tetto e strapparono le penne agli uccelli che vi soggiornavano. Con questo materiale ed una lente costruirono quattro ali che indossarono preparandosi a fuggire.

Dedalo e Icaro si arrampicarono sul davanzale dopo aver allacciato le ali sulla schiena. Si lanciarono nel vuoto mentre il cielo era pieno di stelle. Incontenibile fu la gioia dei due quando cominciarono a volteggiare, Icaro non faceva che gridare: “Guarda papà, sto volando!”. Con quella ingenua felicità di volare che gli “uomini che nuotano nell’aria” non hanno avuto la fortuna e l’opportunità di provare.

Icaro e Dedalo. Opera di Lord Frederick Leighton. Dettaglio.

Dedalo però raccomandò al figlio di non spingersi troppo in alto e di mantenere la direzione ad ovest. “Se ti avvicini troppo al Sole la cera potrebbe sciogliersi e quindi rischi di precipitare!”, avvisò. Ma Icaro era troppo preso dall’emozione del volo e non aveva neppure ascoltato l’avvertimento del padre.

Arrivato verso l’Orsa Maggiore, Icaro non si accorse che il Sole stava spuntando sulla parte orientale. Elios, il dio del sole, fece sfrecciare i raggi infuocati verso il cielo e colpì una delle ali di Icaro. La cera cominciò a sciogliersi e le penne si staccarono, cosicché Icaro precipitò rovinosamente al suolo. Il padre Dedalo vide il figlio che cadeva verso il basso senza poter fare nulla. Piangendo per la disperazione di aver perduto il figlio, continuò a volare verso la Sicilia. Il mito narra che ogni sua lacrima che cadeva nel mare venne raccolta dalle Nereidi che ne fecero perle di saggezza.

Ancora oggi si racconta che lo spirito di Icaro risale ogni notte dal mare e raggiunge il cielo per mettersi a giocare con le stelle.

Le inutili perle di saggezza

Ecco, nella mia assurda ingenuità  in mezzo a tanto orrore, spero nel profondo che i tanti uomini che abbiamo visto “nuotare nell’aria” abbiano potuto almeno in quegli ultimi istanti della propria vita provare la gioia del volo che ha provato Icaro. Perché entrambe i volteggiare in aria hanno portato alla morte ma forse quella ignara ed infantile di Icaro ne ha reso la fine più lieve.

E quanta bellezza a pensare che ogni lacrima del padre caduta in mare raccolta dalle Nereidi veniva trasformata in perle di saggezza. Quanto ci farebbe felici sapere che almeno le lacrime di chi ha trovato questa indegna fine cadendo nel vuoto potessero trasformarsi in perle di saggezza per i potenti che decidono le sorti del mondo.

Ma purtroppo le Nereidi che trasformavano le lacrime in perle di saggezza abbiamo scoperto che sono solo un mito e dunque le ultime lacrime degli “uomini che nuotavano nell’aria” non serviranno mai ad aumentare la saggezza di alcuno e saranno rimaste accanto ai loro corpi inermi per qualche minuto per poi evaporare, esattamente come la loro anima e la nostra dignità.

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