10, 100, 1000 Ranucci in ogni redazione

Un attentato a un giornalista non è mai solo un fatto di cronaca. È un colpo alla libertà di tutti. Sigfrido Ranucci divide. Ma colpirlo significa provare a zittire il giornalismo che scava dove dà fastidio, alimentando la democrazia. Che oggi e viva grazie alle inchieste di Scalfari e De Mauro, alle denunce di Montanelli, alle parole di Saviano e Siani

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

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Come tutti i giornalisti seri, Sigfrido Ranucci divide l’opinione pubblica: per alcuni è un totem vivente del giornalismo d’inchiesta, per altri è uno spalatore di fango con i ventilatori accesi. Punti di vista.

Piaccia o non, l’attentato che nelle ore scorse lo ha riguardato fornisce il segnale di quanto la democrazia sia sotto attacco in Italia. Perché, come abbiamo detto ieri a proposito dei colleghi in servizio al Pentagono, il giornalista è un testimone. Chi, nel settore, fa inchieste è uno che va alla ricerca di testimonianze scomode e per questo sepolte nell’ombra. (Leggi qui: Cani da guardia, non da riporto).

E piaccia o non, una democrazia vive anche di questo. Il risultato di quell’inchiesta può piacere o non, si può condividere o non: ma è quel dibattito a rendere maturo un Paese ed una democrazia.

Eugenio Scalfari © Imagoeconomica / Alessandro Paris

Attentare a Sigfrido Ranucci significa non solo colpire lui ma quel confronto e quel dibattito che per una stagione in nero ci era stato negato. Le nostre libertà stanno anche nel suo lavoro: perché noi siamo la democrazia di oggi grazie al lavoro d’inchiesta di un giornalista come Eugenio Scalfari che rivelò il tentativo di colpo di Stato del generale de Lorenzo. O quello di Mauro De Mauro sulla mafia e che stava per rivelarci chi uccise Enrico Mattei.

Siamo qui perché Indro Montanelli smascherò la totale inconsistenza delle fondamenta del terrorismo che voleva imporre la rivoluzione nel Paese. Ci siamo per le parole che hanno avuto il coraggio di scrivere sulla camorra Giancarlo Siani e Roberto Saviano.

Sigfrido Ranucci (Foto © Imagoeconomica)

Ranucci non è un santo né un eroe. È un giornalista con il vizio, raro e ostinato, di fare domande scomode e cercare risposte vere. E fare domande oggi dà fastidio, innesca la paura. Perché la penna è più leggera della spada ma può uccidere più persone.

Oggi tutti si dicono solidali con Ranucci. Ma solidarietà non è un post indignato. È un impegno concreto a difendere un mestiere fatto nell’interesse pubblico: per missione più che per lavoro, dal momento che oggi c’è chi  paga 5 euro ad articolo. La vera solidarietà è dire, a prescindere se Ranucci piaccia a non: 10 100 1000 Ranucci in ogni redazione.

Senza Ricevuta di Ritorno.