Il nodo Bolkestein tanto caro ad Abbruzzese è arrivato al pettine. Ed è inestricabile, tanto che gli operatori di settore hanno scioperato
Mario Abbruzzese sulla Direttiva Bolkestein ci si era impuntato in epoche non sospette. Per lui la “battaglia” a difesa dei diritti “usucapionali” di balneari e mercatali italiani era una specie di crociata laica. Un loop che aveva connotato la sua esperienza politica anche nel corso degli “aggiustamenti di rotta” del suo percorso. Lo scorso 17 maggio 2024, quando Abbruzzese sui social era ancora “Supermario” che correva per Bruxelles in quota Lega, la sua Europa dei territori lui l’aveva squadernata in senso anti-Bolkestein.
E cioè. Chi da generazioni gestisce e cura un lido o il banco di un mercato ha diritto di ritenerlo ormai usicapito: ne diventa il legittimo proprietario per via del possesso continuativo e pacifico nonostante fosse un bene altrui e per la precisione del Demanio. Era successo e lo aveva detto in piena campagna elettorale, ad un “convegno organizzato dall’Associazione Nazionale Ambulanti UGL Frosinone, contro la direttiva Bolkestein. Ribadisco con forza la nostra volontà di cambiare una direttiva dannosa per tanti imprenditori e famiglie!”.
Il “chiodo fisso” di Mario Abbruzzese
E già nel lontano 2016, quando Abbruzzese era ancora un tesserato-gallonato di Forza Italia ed alla Pisana presiedeva la Commissione Riforme Istituzionali la sua rotta era chiara. Ad aprile fece sapere di aver “scritto un’interrogazione a risposta immediata al Presidente della Giunta Regionale, Nicola Zingaretti”. E di averlo fatto “per sapere quali sono le determinazioni che la Regione Lazio intende assumere, nel recepimento della Direttiva Bolkestein. Per tutelare le attività commerciali su aree pubbliche attualmente esistenti nel Lazio e nei vari territori provinciali”.
Storia vecchia insomma, vecchia come la Direttiva in questione, che ormai da 20 anni ammala le rotte degli Esecutivi italiani ed ammalia il mainstream. La grana, siccome patata bollente e come noto, era passata a Giorgia Meloni subito dopo il 25 settembre 2022.
E come tutte le grane in salsa italiana, in ordine al recepimento della norma Ue, era stata roba da proclama belluino all’inizio, poi da stasi sorniona, infine da nodo arrivato al pettine. Nodo districare il quale è talmente difficile che nei giorni scorsi è scattato lo sciopero di numerosi stabilimenti balneari. Ombrelloni chiusi contro un ombrello che si è chiuso anch’esso, quello dell’Esecutivo sulla categoria.
Lo sciopero sulle spiagge
La levata di scudi è stata indetta dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi (associazione di Confcommercio che rappresenta le imprese del turismo). Poi dalla Federazione sindacale della Confesercenti (che rappresenta i balneari) e con un target dimostrativo forte, a contare che siamo nel pieno di un agosto che per l’Italia turistica e costiera è tradizionalmente manna economica.
Gli ombrelloni sono rimasti chiusi per due ore, tra le 7.30 e le 10.30. Quindi in maniera più simbolica che tafazziana, ma di certo indicativa di un malessere a cui nessuno qualche mese fa avrebbe pesato. Perché? Perché il governo Meloni si era dimostrato (con molte parole e fatti pochini) completamente schierato a favore della conservazione delle licenze storiche invece della messa a bando con reset.
Solo che poi la deadline della Commissione Ue di dicembre con relativa denuncia di Roma e procedura di infrazione aperta ormai da anni avevano fatto il “miracolo”.
E Giorgia che prometteva barricate assieme ai balneari è dovuta diventare Meloni che cerca una soluzione mestamente salomonica. Non perché le soluzioni mediate siano meste di per sé.
I Comuni che “si portano avanti”
Ma perché quando ti intesti un endorsement in purezza su uno solo dei poli contrapposti e poi passi alla fase “parliamone” perché ti ricordi che sei istituzione e non più Partito di solito lì sono guai.
Intanto c’è una robusta fetta di comuni marittimo/lacustri che in queste settimane sta già procedendo con le gare per assegnare le nuove concessioni balneari. Ma non c’era il decreto Milleproroghe che “vietava agli enti locali di far partire i concorsi senza che prima fossero pubblicati i criteri nazionali che avrebbero dovuto seguire”? Sì, ma nel caos è meglio agire e mettere in conto puntate multiple ai Tar, piuttosto che attendere sviluppi farraginosi e step by step.
E mentre nel Paese non cessano le proteste sul tema delle concessioni scadute Palazzo Chigi prova a calare la più democristiana delle briscole. In realtà si tratta di una soluzione già nota, figlia di uno dei recenti solleciti di Bruxelles ad ottemperare ad una norma che avrebbe dovuto avere attuazione già nel 2017. Quando questa arrivò sul tavolo di Giorgia Meloni il Governo si trovò letteralmente tra Scilla e Cariddi, e studiò la mossa del censimento delle spiagge libere.
Capre, cavoli e proroghe modulate
In pratica e grossolanamente: per non scontentare chi aveva già una licenza e sul lido ci aveva investito danè a pacchi. Poi per non disubbidire all’Ue che vuole far ripartire tutto da zero con le aste, si pensò agli arenili free.
Mappando i quali quindi si poteva ricavare una quota da mettere a bando secondo indicazione di Bruxelles ma senza rompere le uova (d’oro) nel paniere dei concessionari storici.
Sorse ovviamente un problema ambientale, perciò Palazzo Chigi pensa di sconfessare lo spiaggiamento dei balneari con una briscola bis. Quale? Una proroga fino al 2030 per alcune concessioni demaniali marittime specifiche.
Che abbiano requisiti precisi insomma, solo che anche qui si (re)innesca un problema. La competenza di incanto da bandire è infatti delle Regioni, e il governo pensa a quelle in cui la percentuale di occupazione delle spiagge sia inferiore al 25%. (e che magari siano in mano al destra centro).
L’altro nodo al pettine: le Regioni
Il guaio è che la Commissione europea non cerca accomodamenti alla “volemose bene”. Soprattutto non li cerca con un paese che da lustri ormai ignora di fatto un “ordine” accampando proroghe, fisiologia nei ritardi e sub-soluzioni. Si sta parlando in buona sostanza di proroghe modulari, differenziate su quella stessa mappatura che Bruxelles aveva bocciato qualche mese fa. E attenzione: quella era la Bruxelles della “luna di miele coatta” tra Meloni ed Ursula von de Leyen, non quella di oggi in cui le due leader sono su fronti molto più distanziati.
Qui Finanza la mette giù più netta: “Di fatto si nega l’evidenza che decenni di politica abbiano di fatto privatizzato il mare in Italia”. Tutto questo con la sponda per cui “l’Italia non vive una condizione di scarsità della risorsa naturale”. Come a dire “ce n’è così tanta da noi, di sabbia balneabile che è inutile accapigliarsi. Noi tuteliamo i nostri, voi bandite sul nuovo e tutti felici”.
Una cosa molto italiana che non tiene conto del fatto che l’Italia è Europa, normativamente e secondo una vulgata che oggi per Meloni è boomerang. “Contro il nostro Paese è stata però avviata una procedura d’infrazione e a novembre 2023 è stato inviato a Roma un parere motivato. (Parere) “che rappresenta l’ultimo step prima di un possibile deferimento alla Corte di giustizia Ue. In assenza di una decisione a stretto giro da parte del governo di Giorgia Meloni, dunque, la questione finirà in tribunale”.
Unioncamere: stabilimenti in crescita
Il dato paradossale è che da noi gli stabilimenti balneari sono in crescita. Lo dicono i dati di Unioncamere su fine 2023. E lo dicono con un censimento di 7.244 imprese del settore “attive lungo i 3.951 km di coste basse. La crescita rispetto al 2011 è del 26%”.
Il che è ovviamente un bene, ma bene amaro sul contingente, perché vuol dire che sono in crescita le potenziali concessioni da rimettere a bando. Nomisma ha censito 60mila addetti impiegati in alta stagione. Poi 43mila dipendenti ed un fatturato medio stagionale pari a 260.000 euro.
Sono cittadini che votano e risorse economiche che fanno Pil, e il bivio di Meloni tra spiaggiarli o salvarli è di quelli che ti fanno perdere il sonno. Con un ombrellone chiuso sulla testa che non ti ripara più dal tuo solleone propagandistico.