Cacciari e la telematica che chiude i piccoli atenei: non Cassino e Latina

I dubbi di Cacciari sul futuro delle piccole università. Il caso di Urbino. E perché non devono avere paura né Cassino né Latina. Dobbiamo essere capaci di non fermarci ad una buona idea

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Massimo Cacciari è all’università di Urbino, incrocio il suo intervento nella rete… Per via telematica, digitale. Questa università è un esempio in cui una tradizione di alta formazione si innesta con la vita, e la mantiene in vita, una città. Urbino è un unico con il suo ateneo.

Urbino viene citata spesso come esempio per Latina e per la scelta, fatta alcuni lustri fa, di diventare città universitaria. Oggi conta 5000 iscritti tra Ingegneria, Economia e Medicina.

Tutto bene, tutto liscio ma Massimo Cacciari fa un ragionamento che schiaccia il discorso. Il mondo non resta mai tal quale e il filosofo veneziano fa una considerazione: ma se oggi ti puoi laureare da casa con le università telematiche cosa ti iscrivi a fare a Camerino prima, ma anche a Urbino?

Già e se questo vale per atenei di grandi tradizioni vale anche per Latina che de La Sapienza di Roma è sede è decentrata. Ma anche per Cassino.

Se vale per gli altri…

Farne un solo boccone è stata aspirazione che nel passato recente ha rischiato di diventare concreta. Era l’anno 2010 quando l’ipotesi di annessione dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale a La Sapienza di Roma venne discussa. L’idea fu avanzata nell’ambito di un più ampio dibattito sulla razionalizzazione del sistema universitario italiano. A promuovere quel ragionamento fu il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Il Rettore dell’epoca Giovanni Betta consumò un treno di gomme lungo la strada Cassino – Roma – Cassino. Ma alla fine convinse il ministero. Di cosa?

Foto © IchnusaPapers

Del fatto che le economie di scala le puoi usare nell’industria ma non nell’università. In soldoni: l’Unicas cuba circa 7mila iscritti e fagocitare l’ateneo significa trasferire le loro quote di iscrizione a Roma senza dover aggiungere troppe spese in più perché tanto le strutture già ci sono. Sbagliato.

È sbagliato perché quei settemila hanno deciso di iscriversi a Cassino proprio perché non è Roma. Non è una questione di qualità dell’insegnamento ma di qualità del modo in cui apprendere l’insegnamento. A Cassino ci vai in bici, in monopattino, la città è a dieci minuti dalla cittadella universitaria: non devi fare ore di metro, c’è un campus a misura di studente, vero che mancano le case ma Cassino non è Roma e la qualità della vita è tutta altra cosa. Anche se non hai il Colosseo sullo sfondo ma l’abazia.

L’ascensore sociale

Cassino è un ascensore sociale ancora oggi. Perché ha consentito ai figli degli operai di studiare vicino casa senza svenarsi, di diventare ingegneri e dottori commercialisti, costruirsi uno sbocco senza emigrare. Ecco perché iscriversi a Cassino non è iscriversi a Roma. E lo stesso sarà per Latina se funzionerà il progetto nel quale la vittà ha scelto di scommettere.

Dobbiamo essere capaci di non fermarci ad una buona idea perché nessuna idea è per sempre. Ogni idea deve trovare la sua antitesi per una nuova sintesi.

Dobbiamo non dare per scontato quello che già ci è dato. Le università tradizionali segnano un calo di iscritti (con alcune eccezioni al nord) ma non a Cassino e forse sarà cosi anche a Latina. La rivoluzione digitale o ti vede protagonista o ti rende soccombente. Urbino resterà Urbino perché è Urbino. Tanto quanto Cassino continuerà ad essere Unicas se saprà continuare ad essere moderna ed al passo con i tempi

Un filosofo lo intuisce, la politica dovrebbe inventare su quella intuizioni nuove soluzioni. Un tema da affrontare, un tema di città Futura.