Chissà se Giorgia è scaramantica

La riforma sulla separazione delle carriere è legge, ma adesso arriva il referendum. E la storia insegna: chi lo invoca, spesso cade. Giorgia Meloni festeggia, ma dovrebbe toccare ferro.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

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Chissà se Giorgia Meloni, nel veder sfilare l’ultimo voto favorevole del Senato sulla riforma costituzionale targata Nordio, ha fatto i debiti scongiuri. Qualcuno in Aula giura di aver notato un gesto furtivo, forse una grattatina dietro l’orecchio. E chissà se non ha pensato anche lei, per un attimo, al vecchio adagio che aleggia come un corvo sui Palazzi della politica: “Chi tocca la Costituzione muore (politicamente)”.

Perché oggi, è vero, è stato il giorno del trionfo: 112 sì, 59 no e 9 astenuti hanno dato il via libera definitivo alla separazione delle carriere in magistratura, bandiera sventolata da anni da centrodestra e berlusconiani, ora cucita a doppio filo sul vessillo di Fratelli d’Italia. 

Il disegno di legge Nordio è stato approvato in tutte e quattro le letture senza mai una modifica, blindato come un forziere di Montecristo. E la premier l’ha definito “un traguardo storico”, con tanto di proclama: “L’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento. Ora la parola passerà ai cittadini”.

La parola ai cittadini

Foto: Marco Cremonesi © Imagoeconomica

Appunto: i cittadini. Quelli che, quando si ritrovano in cabina a votare i referendum confermativi sulle riforme costituzionali, spesso finiscono per bocciarle. Anche solo per mandare un messaggio a chi sta al governo. O solo per il gusto di fare uno sgambetto ad un governo lanciato in corsa.

Una storia che si ripete. Matteo Renzi docet, asfaltato nel 2016 da un referendum sulle Province che si trasformò in un referendum sulla sua persona. Prima ancora, Craxi, Amato, D’Alema: tutti messi alla prova – e spesso messi da parte – da consultazioni popolari che da tecniche si sono fatte plebiscitarie. 

Giorgia Meloni

Il referendum è come il gioco del Monopoli: chi lo propone rischia di tornare al Via, senza passare dal “via libera”. Ecco perché il trionfo di oggi rischia di essere il prologo di un azzardo politico

L’elettorato è volubile, la disaffezione è alta, l’opposizione è pronta a trasformarlo in una conta contro il governo. Finora i cittadini, chiamati a confermare, si sono divertiti a bocciare. E stavolta la bocciatura avrebbe un solo destinatario. La vittoria, viceversa, avrebbe una prima pretendente per il Quirinale.

Senza Ricevuta di Ritorno.