
La Corte di Appello di Roma dà ragione all'amministrazione di Cassino su una controversa e complessa questione urbanistica. Evitato il pagamento di oltre 2 milioni di euro, la soddisfazione del sindaco Enzo Salera
Una diatriba legale che si è trascinata per ben quindici anni. E che solo adesso, dopo il pronunciamento della Corte d’Appello di Roma, vede il Comune di Cassino eliminare una spada di Damocle che pesava oltre due milioni di euro sul bilancio comunale.
Al centro della vicenda c’è una questione urbanistica complessa e controversa. Riguarda alcuni parcheggi che dovevano essere realizzati vicino a un edificio in via Arno. Inizialmente era stata prevista una precisa posizione, ma i posti auto sono poi stati costruiti altrove. Quei parcheggi facevano parte di un accordo tra il Comune e la società costruttrice, la Cogei s.r.l., come opera compensativa per ottenere il permesso di costruire. Tuttavia, una sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito che i parcheggi dovevano essere collocati all’interno dell’isolato “A” previsto dalla variante urbanistica, e non all’esterno.
Per questo il Consiglio di Stato annullò gli atti autorizzativi contestati.
La richiesta della Cogei, la difesa del Comune

Dopo l’annullamento di un primo permesso a costruire, il Comune rilasciò una nuova autorizzazione in linea con quanto stabilito dal Consiglio di Stato. A quel punto la società Cogei presentò una richiesta di risarcimento danni, sostenendo che l’amministrazione comunale, con il proprio comportamento, l’avesse indotta a ritenere legittimo l’intervento edilizio inizialmente approvato.
A rappresentare l’ente in giudizio è stato l’avvocato Alessandro Longo, secondo il quale la richiesta della Cogei non aveva basi solide. In particolare, mancava il presupposto fondamentale dell’illecito: l’impresa non aveva dimostrato alcuna violazione, da parte del Comune, dei principi di imparzialità, correttezza amministrativa, buona fede.
Il difensore poi faceva notare che la prova di una eventuale condotta illecita del Comune non poteva sussistere in via automatica, solo perché l’atto era stato annullato. Sosteneva inoltre, che non veniva provato il nesso di causalità tra la condotta e i danni lamentati: cioè non c’è relazione tra le due cose. I presunti danni sarebbero stati causati dal fermo dei lavori e dai ritardi nella costruzione dell’immobile di via Arno.
La soddisfazione di Salera

Tutto ciò riferito al danno patrimoniale. Ma sul fronte del danno all’immagine, il giudice ha richiamato un orientamento della Corte di Cassazione, sottolineando in sentenza che non poteva essere riconosciuto in automatico. Trattandosi di un “danno conseguente”, andava dimostrato in modo specifico da chi ne chiedeva il risarcimento. E in questo caso – ha concluso il giudice – mancavano sia la prova che l’allegazione concreta.
“Possiamo tirare un sospiro di sollievo“ il commento a caldo del sindaco Enzo Salera. “Se la sentenza di primo grado fosse stata capovolta, data l’esosità della richiesta, le casse comunali sarebbero state sconvolte. Ma eravamo fiduciosi. La questione era stata da noi seguita con particolare attenzione, preoccupati del rispetto delle norme e di fare le cose per bene. La sentenza della Corte d’Appello ha riconfermato che avevamo ragione. Un plauso all’avvocato Longo che ha saputo ben tutelare l’amministrazione in una causa facile solo all’apparenza”.