Il nodo delle concessioni balneari e non solo. E l'espediente che il governo Meloni sta attuando per aggirare la direttiva Ue
Il sunto non poteva che rimandare alla strofetta che fa “stessa spiaggia stesso mare”. E non per minimalismo, ma solo perché alla fine di quello si tratta. Del lungo braccio di ferro cioè tra il governo Meloni e l’Ue. Quello sulla direttiva con cui l’Europa impone di liberalizzare le concessioni demaniali, tra cui anche quelle balneari sulle spiagge. Bruxelles l’aveva approvata nel 2006 e da allora con Palazzo Chigi era stato un lungo e stancante tira e molla per arrivare ad una soluzione condivisa.
Cosa significa? Che l’Italia ha i suoi interessi e le sue categorie di elettori da non scontentare e l’Europa ha le sue sanzioni da irrogare se ci sono Stati riottosi. Un mezzo stallo messicano insomma con cui, da sempre, in Italia si recepiscono le direttive Ue con i denti stretti di chi si è visto rompere mezzo paniere di uova. E che è abituato ad averle tutte in sporta, abituandoci anche alcune categorie, loro e i loro scenari esistenziali e produttivi.
La crociata di Abbruzzese e Ciacciarelli
In Ciociaria e nel Cassinate la Bolkestein aveva fatto storcere più di un naso già dal 2016, quando una sua propaggine normativa spedì sulle barricate i mercatali ambulanti del territorio. Quella ciociara è una provincia storicamente ricca di mercati settimanali e la norma Ue priva potenzialmente la più parte di loro letteralmente del “posto” da cui portare il pane in tavola.
La levata di scudi aveva riguardato in particolare quelli di Cassino e quelli di San Giorgio al Liri, paese natale dell’attuale assessore regionale Pasquale Ciacciarelli. E proprio lui, in tandem con un Mario Abbruzzese belluino come non mai sul tema, era sceso in campo. Lo aveva fatto contro una direttiva vista come un mezzo capestro. Una norma che non prevedeva “alcun diritto di prelazione legato alla storicità della presenza degli ambulanti nei mercati i cui posti sarebbero invece assegnati con vere e proprie aste pubbliche”.
Abbruzzese scrisse illo tempore a Nicola Zingaretti e il cerino acceso passò alla Pisana, dove ancora brucia ma stavolta in mani almeno concettualmente “amiche”. Mani legate, come però vedremo.
Il Tavolo tecnico che tanto tecnico non è
Proprio in questi giorni è iniziato lo step cruciale della faccenda. Il 4 luglio scorso c’era stata la seconda riunione del “Tavolo tecnico” di Palazzo Chigi. Tavolo incaricato dall’Esecutivo di affrontare il tema delle concessioni pubbliche agli stabilimenti balneari.
Il tema va inquadrato bene e per farlo bisogna capire cosa faccia il “Tavolo tecnico”. E soprattutto a chi risponda. Per chiarire subito: non è organismo indipendente, perciò sta in endorsement con la linea di Palazzo Chigi. Chi lo compone? Due rappresentanti indicati da ognuno dei ministri competenti. Sono quelli di Infrastrutture, Economia, Imprese, Ambiente, Turismo, Politiche del mare, Affari regionali e Affari europei.
E a capotavola chi c’è? Il capo dipartimento per il coordinamento amministrativo della presidenza del Consiglio, cioè oggi un “uomo di Giorgia Meloni”. Nel caso di specie è una donna, Elisa Grande.
E veniamo alla polpa in ordine all’oggetto del contendere. In Italia le concessioni balneari e quelle per gli spazi mercatali vengono prorogate da decenni più o meno in maniera automatica. E vanno quindi più o meno sempre agli stessi proprietari e con canoni d’affitto molto bassi.
Gara per tutti o solo per i nuovi arrivati
La Bolkestein invece impone di aprire le concessioni già esistenti a gare pubbliche. Da un lato quindi c’è una categoria che ha consolidato la sua mission economica sulla certezza di avere il “campo” su cui attuarla. Dall’altro c’è l’Europa che ha bandito ogni categoria che non sia figlia di una selezione per gara di affido.
E in mezzo c’è il governo Meloni, che tra vicinanza alla categoria e aderenza alle regole Ue si è fatto bipolare ed ha una grana grossa. Grana che pare stia “aggirando”. Come? Cercando di evitare che vada a meta la procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea contro Roma nel 2020.
Lo scopo è trovare un accordo entro il 20 luglio che salvi capra e cavoli. Cioè legge e margine di aggiramento della stessa, una cosa tanto intimamente “italiana” da essere quasi commovente, nei suoi conati bizantini. Ebbene sì, abbiamo un espediente interpretativo. Secondo la Bolkestein uno stato europeo “deve garantire gare pubbliche trasparenti sui beni demaniali”.
Salvare capra e cavoli: l’espediente di Roma
E lo deve fare “nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali”.
Roma arringa che la stessa da noi è inapplicabile perché le “risorse naturali”, cioè le spiagge, non sarebbero “scarse”. Insomma, ci sarebbero ancora spiagge libere che potrebbero essere messe a gara, perciò toccare quelle già assegnate è inutile.
Ecco perché e malgrado una mappatura della spiagge nostrane sia stata già fatta nel 2021 il Tavolo tecnico sta procedendo con una mappatura bis. Lo scopo è individuare un numero di spiagge libere talmente in upgrade da distogliere la norma europea dall’addentare quelle già assegnate. Roba da censire perfino i sabbioni del Po nel delta, insomma. Ed evitare così le sanzioni legate alla procedura di infrazione. Quali sono le zoppie del “piano B” di Palazzo Chigi? Innanzitutto i nuovi parametri.
Mappare comune per comune va bene. Lo dice una sentenza dello scorso 20 aprile con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva ribadito che l’Italia non può rinnovare automaticamente le concessioni balneari. Solo che pare che a Roma quel giudicato lo abbiano letto solo nella parte che interessa l’Italia. La sentenza infatti “impone il divieto di rinnovare automaticamente le concessioni già in essere”.
Cara Meloni ti do un consiglio: di Stato
Poi c’è il problema delle gerarchie amministrative. Le Regioni hanno singolarmente imposto una diversa percentuale di spiagge da mantenere libere, ma l’esecutivo punta ad una percentuale unica valida in tutte le regioni. La catena di comando sul tema è definita: le concessioni erano state date in delega alle Regioni.
E le stesse le avevano sub-delegate ai Comuni, soli ed unici responsabili dei bandi di gara e ciascuno con una sua connotazione “politica” ed una sua linea autonoma. Come li metti d’accordo senza incappare in una selva di ricorsi? Altra grana: la scelta di Roma parrebbe non in linea con i nuovi scenari green imposti anche dal Pnrr. E neanche potrebbe risolvere il tutto la proroga del governo al 2024, visto che il Consiglio di Stato l’aveva dichiarata illegittima.
Come ne usciamo con il 20 luglio alle porte? Lo scenario è banalmente solito: da un lato il Governo e dall’altro le toghe, due decisioni in conflitto ed un recap tra pochi giorni. Che potrebbe salvare gli ammutinati della Bolkestein capeggiati da Fletcher-Meloni. O affondarli definitivamente.