D’Alema su caso Cina, sulla sinistra e su Meloni. “Molto… Rumor per nulla”

L’ex presidente del Consiglio senza peli sulla lingua in merito alle recenti polemiche sulla foto di Pechino

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Tra quel togliattiano e perculatorio “Migliorino” ed un attuale “meno peggio” intanto Massimo D’Alema il suo spazio mainstream se lo ricava sempre. E ci riesce non solo perché, per restare sui soprannomi, malgrado il pensionamento dalla politica attiva lui resta un “Leader Maximo” della sinistra italiana.

No, il vero motivo per cui oggi gente come D’Alema o lo stesso Pierluigi Bersani restano totem di obiettività è che tra i loro “eredi” vigono per lo più due cose. O le deriva ideologiche oppure l’approssimazione, quando non entrambe in combo.

Ospite di Cerasa e Ferrara

Claudio Cerasa

D’Alema, ad esempio, lo avevamo lasciato in ambasce imbarazzanti per il suo ruolo di mediatore di naviglio militare, poi si era inabissato di nuovo. Fino a ieri, quando, alla Festa del Foglio, si è dilettato in tre o quattro cosucce al curaro. Innanzitutto a fare il Padre Nobile del centrosinistra che tutto sommato non crede che quello attuale sia così imbranato (asserendo per vie traverse esattamente il contrario).

Poi a chiarire il caso Pechino che aveva visto la remuntada delle polemiche su di lui. Infine a smascherare, forse meglio e più di Matteo Renzi che in tal senso è campione mondiale, le vere tare del governo Meloni.

Sullo stato di salute del centrosinistra attuale D’Alema non la vede poi così nera. “Fa bene a cercare l’unità. L’unità è la precondizione ma non basta, ci vuole una visone del futuro, un’idea di cambiamento del Paese”.

“Non stanno messi così male…”

(Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

E ancora: ”Io non ho una visione catastrofica, sono confidente del fatto che progressivamente il centrosinistra riesca a fare questo. Bisogna che discuta un po’ di più e che faccia tesoro delle esperienze anche non positive.

Insomma, la solita solfa delle legnate didattiche, specie quando a prenderle non sei tu, con un mezzo monito al cesarismo pop di Elly Schlein. Poi il caso Pechino, con D’Alema tra i partecipanti alle celebrazioni degli ottanta anni dalla fine della Seconda guerra mondiale.

In uno scatto official figuravano anche il presidente russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong-un. La cosa aveva suscitato scalpore e l’ex presidente del Consiglio ha detto la sua.

“Isolarli è da coglioni”

Massimo D’Alema (Foto: Alessandro Amoroso © Imagoeconomica)

Con dosi equivalenti di raziocinio e pezze un po’ più grandi del buco. “Se pensiamo di isolarli siamo dei coglioni, non trovo altra definizione”.

Magari ci sta, ma D’Alema ha voluto insistere su un tema ce è un po’ un campo minato. “Se si sfugge alla semplificazione si vede che la maggior parte delle persone presenti nella foto proviene da Paesi democratici”. Quali sarebbero queste specchiate democrazie? La Corea del Sud, l’Indonesia e l’India, non proprio modelli alla Montesquieu.

“Non hanno la visibilità di Putin e del dittatore nord coreano, ma lì c’era il presidente del Parlamento della Corea del Sud, il primo ministro dell’Indonesia, il rappresentante del governo indiano”.

Il discorso di D’Alema però è demografico: “Se li mettiamo insieme, e io mi offro per un corso di formazione professionale, se facciamo i conti di quante persone sono rappresentati lì, si tratta dell’80% del genere umano.

Giorgia che non perde e non fa

Giorgia Meloni

E su Giorgia Meloni? E’ vero che la Meloni non perde, però la Meloni è immobilismo assoluto. Qualche volta ha delle intemperanze verbali ma nelle azioni rispetto a lei Rumor fu sconvolgente. Questo governo è un governo che riesce a non farsi mal volere perché non fa nulla.

Mariano Rumor, democristiano e Presidente del Consiglio per cinque volte dal 1969 al 1974, venne elevato nel tempo ad archetipo di immobilismo, anche se sotto i suoi governi nacquero la legge sul divorzio, lo statuto dei Lavoratori e le terribili baby pensioni.

Ma D’Alema ha voluto sottolineare, al di là delle iperboli, come il vero problema dell’esecutivo in carica sia l’inerzia, e non il suo battage ideologico di ritorno. E forse lo ha voluto spiegare più ai “suoi” che ad altri.