Dalla Liguria a San Donato, in cerca delle “aree interne” che punta il Pd

Metà della popolazione nei piccoli centri e quella urbana è un terzo del totale: lì i dem devono andare a pescare, con un nuovo approccio

Troppa cultura con la “C” maiuscola e troppi lasciti dell’Italia Comunale. Quella che sfociò non solo nelle Signorie. Ma che grazie ad una immediata ricomposizione dei singoli tessuti urbani schizzò in punto di progresso millenni avanti alla cupa Europa tardo medievale. Quella iconica e farcita ancora per secoli di castelli separati da foreste sconfinate e villaggiucoli mesti. Sì, ma perché il concetto di “cultura alta” e la storica densità urbanistica dell’Italia stanno assieme? E soprattutto: che c’entra il Partito Democratico con tutto questo? C’entra perché la nuova mission dei dem – che tanto nuova non è – è quella di superare un gap storico del Nazareno.

Cioè quello tra un Partito metropolitano che attecchisce poco nelle province ed un Paese provinciale per definizione e tessuto urbanistico. Un posto dove sono capillarmente distribuiti tanti piccoli comuni. In provincia di Frosinone il 16,9% della popolazione vive in 53 Comuni con meno di 3mila abitanti, il 13% vive in 16 Comuni che hanno fra 3mila e 5mila residenti, il 14,6 sta in 10 centri dove abitano tra 5mila e 10mila persone, solo 12 Comuni ciociari hanno più di 10mila abitanti e solo Frosinone e Cassino superano i 30mila.

Jim Morrison disse: “Datemi un sogno in cui vivere perché la realtà mi sta uccidendo”, ma Morrison doveva dimenarsi sciamanicamente alla Hollywood Bowl, non spuntare preferenze a La Spezia.

L’Italia dei piccoli centri

(Foto: Barbara Iandolo)

Nei giorni scorsi una chiave di lettura spalmata sul dato nazionale l’ha fornita Luciano Capone su Il Foglio. Spiegando “che la metà della popolazione risiede in piccoli centri. Mentre la popolazione urbana, se si include con un criterio abbastanza esteso tutti gli abitanti delle quattordici città metropolitane (oltre 1.200 comuni, di cui molti sono piccoli), è circa un terzo del totale.

E c’è un altro gap da colmare: quello tra un Partito che rivendica da tempo l’egemonia culturale, da tanto di quel tempo da scordarsi che, per entrare nei cuori dell’Italia di paesi e cittadine, ha bisogno di una subcultura basica. Di un linguaggio, un metodo e di un retroterra che non è che in areale dem manchino, ma che non sono stati mai così massivi (e considerati) da risultare determinanti ai fini elettorali.

Enrico Pittiglio (Foto: Erica Del Vecchio © Teleuniverso)

Che questo assioma sia vero lo ha dimostrato il recente voto regionale in Liguria e che a questa “tara” il Pd stia cercando di mettere rimedio lo ha dimostrato la Valcomino. Anzi, segnatamente San Donato Valcomino. Dove il sindaco dem Enrico Pittiglio ha organizzato un evento-brand che segue esattamente le orme di questa “Reconquista imperativa”. Cioè un momento di confronto su quelle “Aree interne” che per il Pd sono sempre state pascolo difficile.

Il lessico di Sara

Sara Battisti sta dove sta esattamente per un motivo: la consigliera regionale ha una visione prospettica che le permette di cogliere la polpa dello scenario. Ecco perché, intervenendo al convegno cominense, ha spiegato cose che sono la fotografia perfetta di quel che il Pd deve riprendersi.

Lo ha fatto parlando di “un’iniziativa che si pone in continuità con la volontà di Elly Schlein di inserire questo tema tra i cinque punti chiave dell’agenda politica del Partito Democratico. Il nostro territorio è caratterizzato da una forte vocazione industriale, incentrata sul settore dell’automotive e la crisi che lo sta attraversando avrà conseguenze drammatiche soprattutto sulle aree interne”.

Sara Battisti

Perciò fissando subito il claim su due fattori chiave: la territorialità specifica dell’ex Fiat ed un bacino di utenza idelogica e consensuale che da tempo non si riconosce più nella creatura post Lingotto: quello delle tute blu. E ancora: “Oltre al potenziamento e alla salvaguarda dei servizi, in primis scuola e sanità, è necessario continuare a puntare sul segmento turistico. In questi anni con l’amministrazione guidata da Nicola Zingaretti, sono stati messi a disposizione diversi strumenti che hanno incentivato gli investimenti in queste zone, creando opportunità e nuovi percorsi di sviluppo.

Pesto del Tigullio per Orlando

Il dato del voto ligure viaggia sullo stesso binario analitico. Genova città non è stata affatto decisiva, piuttosto lì il destracentro ha fatto argine robusto ad uno strapotere storico della sinistra fin dai tempi del Governo Tambroni. E di un VI congresso del Msi che la città ricusò furiosa scendendo in piazza con intenzioni poco pacifiche. Idema dicasi per Savona e La Spezia, altre realtà urbane vaste in cui Andrea Orlando ha staccato di otto punti Marco Bucci.

ANDREA ORLANDO. FOTO © SARA MINELLI / IMAGOECONOMICA

Dov’è che quest’ultimo ha “pestato” le velleità di vittoria del centro sinistra? Proprio nella patria del pesto, nel Tigullio e nell’hinterland provinciale di Imperia. Cioè dove i problemi della nazione ed il loro riflesso sui cittadini sono valutati su una scala diversa da quella dem, che pone grandi questioni morali e giganteschi afflati sociali generalisti.

Che significa? Che c’è anche la lettura “culturale” del voto, e che per come è fatta l’Italia le elezioni le vinci nei paesoni dove il barbiere sa più del sindaco.

Seminari e nuovo target pop

E soprattutto che il Pd questo lo sta gradualmente capendo, tanto da fare “tanti seminari e convegni sui ‘luoghi che non contano’ e sul rilancio delle ‘aree interne’”.

Vincenzo De Luca

Il rischio però è quello che ha delineato magistralmente Capone: quello per cui “è come se parlasse di quella gente e non con quella gente”. E soprattutto per cui la destra invece le province non le enuncia ma le presidia saldamente con amministratori ed esponenti che usano un linguaggio più pop, terragno, amicone-autorevole e di pronta beva.

Un po’ alla Vincenzo De Luca, per capirci, che da quanto è mezzo autarca a casa sua (praticamente da sempre) sembra molto più vicino, per lessico e target, agli avversari che ai compagni di partito. A lui lo chiamano Vicienzo. Perché a volte quello che hai da dire conta molto di meno di come lo dici ed a chi lo vai a raccontare. E perché politica e Paese Reale sono da tempo separati in casa, anche al netto del fatto che quella definizione all’Italia gliela diede un comunista.