Salta il patto tra premier e vice azzurro impegnato a Fiuggi-Anagni nel G7 e la Lega si mette di traverso a tutti e due: in Ue ed a Roma
“Siamo orgogliosi e fieri di aver dato all’Italia maggior peso in Europa. Per la prima volta un Vicepresidente esecutivo della Commissione Ue è di Fratelli d’Italia”. Parole e musica di Massimo Ruspandini, deputato di Fratelli d’Italia con una spiccata propensione per le analisi apodittiche. Ed il parlamentare ceccanese è in ottima compagnia. Questo almeno a contare i termini usati da Nicola Procaccini sempre in ordine alla nomina di Raffaele Fitto, termini tutti incentrati sul un glorioso “ruolo apicale” che testimonia la centralità europea del partito di Giorgia Meloni.
E’ tutto vero? Sì, decisamente. E’ stato tutto indolore? Decisamente no, anche a contare il particolarissimo momento dell’Esecutivo in carica, che ha fatto più del giovane Werther ghoetiano e di questi tempi ha sdoppiato i suoi dolori.
Ma torniamo un attimo a Ruspandini, mai avaro di post celebrativi sui social.
Ruspandini e Procaccini gongolano
Uno dei quali, tra i più recenti, proclama: “Con la manovra di bilancio 2025, l’Esecutivo ha reso finalmente strutturale il taglio del cuneo fiscale, ampliando ulteriormente la platea dei beneficiari. Il Governo Meloni si conferma dalla parte del ceto medio e dei più fragili, garantendo un alleggerimento della pressione fiscale e più soldi in busta paga”. Proviamo a mettere ordine in questa pletora di brodo di giuggiole per capire dove ed in che modo il governo oggi possa essere “autorizzato a fregiarsi”, come dicono i fogli matricolari dell’Esercito.
In realtà la coccarda più grossa Meloni se la dovrebbe appuntare in petto per la sua straordinaria politica dei due forni. Un mese e mezzo fa non aveva fatto votare la fiducia ad Ursula von der Leyen come inequivocabile segno di identitarismo “made in Ecr”. Poi si era innescata la questione di Raffaele Fitto, e qui la cosa si tinge di giallo.
In realtà il ruolo che oggi è del ministro ancora per poco deputato al Pnrr doveva essere proprio di Nicola Procaccini, più skillato in Europa e soprattutto più legato alla premier.
Lo scambio alla pari, grazie a Tajani
Poi si era posto un problema di identità destrorsa troppo marcata del pontino e le due donne, Ursula e Giorgia, avevano deciso per uno scambio alla pari. Raffaele Fitto sarebbe entrato in ruolo apicale perché meno caratterizzato in ordine al format della destra trucida (è un ex forzista, non dimentichiamolo mai). Mentre Meloni avrebbe fatto votare ai suoi la coalizione dell’Ursula bis che di fatto è di centrosinistra. Un accordo ibrido che ha permesso alla premier di cantare la strofetta della “centralità” ed al Ppe, di cui von der Leyen è membra, di esigere una cambiale di ritorno.
Anche perché tutta la faccenda era stata mediata da Antonio Tajani nelle ore precedenti il suo arrivo al G7 di Fiuggi ed Anagni. E qui scatta la seconda serie di dolori, perché il segretario di Forza Italia aveva chiesto la sua, di “cambiale”, e l’aveva chiesta esattamente dove gli azzurri hanno il nervo più scoperto: quello inside del canone Rai.
La Lega ed il canone Rai
Recap: da sempre la Lega di Matteo Salvini si batte per l’abolizione del canone e un anno fa il leader del Carroccio aveva spuntato in Legge di Bilancio una decurtazione da 90 a 70 euro. Spuntatura che Salvini, tramite il “suo” Giorgetti, contava di confermare anche per la manovra di quest’anno. Ma lì, in Commissione, sono stati dolori ed il governo è “andato sotto” con Forza Italia che ha votato con le opposizioni per tenere la quota originaria.
Cosa sta accadendo? Non è ancora crisi nera ma di certo non è più amore e coccole. Vero è che ogni esecutivo ha una facciata di zucchero e stanze interne di fiele, ma qui la faccenda è più grossa. Lo è proprio perché Tajani si aspettava un “grazie tangibile” per aver fatto il sensale dell’accordo Meloni-Ursula pro Fitto, e non lo ha avuto. Ma c’è di più: quell’emendamento promosso dalla Lega al decreto-legge sul fisco contiene ben altro.
Le pulci a Forza Italia e Carroccio
E per capire cosa bisogna fare un po’ le pulci sia ad azzurri che leghisti. I primi tengono duro sul canone Rai immutato perché su tutto grava una proposta di legge. L’aveva depositata alla Camera il deputato Stefano Candiani. Il dato è che con la riduzione del canone “si alzerebbero i limiti di introiti pubblicitari previsti per la tv pubblica”. Tradotto, per compensare la perdita la Rai dovrebbe mettere in vendita più spazi pubblicitari, entrando in concorrenza diretta con Mediaset e con la famiglia Berlusconi, che qualche piccola “golden share” su Forza Italia ce l’ha ancora.
E La Lega, o meglio, Salvini come l’avrebbe voluta coprire la spesa per compensare la riduzione del canone? Bene, quei 430 milioni in meno il ministro dei Trasporti li avrebbe assicurati a Giorgetti con “una riduzione di 430 milioni di euro di un fondo destinato a RFI, la società pubblica che gestisce la rete ferroviaria italiana”, secondo il Post.
Un ministro dei Trasporti che salassa i trasporti
Ergo, per un fine propagandistico un ministro dei Trasporti depaupera una società legata al mondo dei trasporti che è già sulla graticola per il caos treni di queste settimane. E Meloni? Lei sta minimizzando (come Tajani) e parla di “schermaglie” tra i due alleati ma il dato è un altro. Ed è quello per cui tra “forno” italiano e “forno” europeo sta (ri) emergendo un fattore al quale la premier non ha ancora fatto abitudine completa.
La differenza tra proclamare e governare, ed a traino quella tra spacciarsi per puri e trovarsi poi costretti a quegli stessi inciuci che da altri palchi ed in altre epoche venivano messi sulla graticola. Perché oggi Meloni a Roma ha Forza Italia che vota contro il governo ed a Bruxelles ha la Lega che vota contro di lei.