Destra e sinistra passate di moda ma non troppo, e non del tutto in Ciociaria

Dieci anni per stemperare i toni e conservare solo i "totem” dell’identità politica, ma con nuovi target morbidi

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La stagione dei colori pastello era cominciata già con Matteo Renzi. Con un leader politico, cioè, che coniugava in un solo corpo anima prog e spirito liberal. Non era solo un segnale singolare lanciato dall’indole chimerica dell’ex premier, quello che dal 2015 si sparse per l’Italia, era il chiaro sintomo di un mutato modo di percepire la politica da parte dei cittadini. Uno stemperarsi delle ideologie che avevano resistito alla fine del millennio precedente. E che, per paradosso, avevano generato un fenomeno di esacerbazione.

Quello cioè per il quale i Partiti italiani, non potendo più compiutamente arroccarsi del tutto nel cuore delle loro origini, sono stati costretti per gran parte a rimarcarle di più in front desk. Con episodi, piccole nostalgie, sfoghi totemici forti quanto occasionali. Perciò sintomatici del fatto che in un solo decennio i loro vessilli si sono sbiancati.

Acca Larenzia letta da Frosinone

Massimo Ruspandini

Tanto per fare un esempio: nessuno, tra gli esponenti di rango di Fratelli d’Italia in provincia di Frosinone, si era sognato di ignorare la ricorrenza della strage di Acca Larenzia del 7 gennaio 1978. Quella di matrice di estrema sinistra, in cui perirono in circostanze separate Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e poi Stefano Recchioni, missini e militanti nel Fronte della Gioventù.

E Massimo Ruspandini, deputato ceccanese e presidente provinciale del Partito di Giorgia Meloni, ha postato: “Da 47 anni chiediamo verità e giustizia sulla Strage di Acca Larentia. La memoria non si cancella.

Così come Daniele Maura, consigliere alla Pisana sempre di Fdi. Che ha scritto: “Come ogni 7 gennaio e passando sopra le solite polemiche, io non scordo! Morire a 20 anni per odio politico e senza giustizia non può avere giustificazione!!!”.

Traduciamo: l’identitarismo resiste ed è forte. Tuttavia passa, nettissima, l’impressione per cui oggi lo stesso sia collante funzionale per tenere avvinghiate precise fette di elettorato.

Berlinguer ti volevo bene

Enrico Berlinguer a Venezia nel 1980 (Foto: Gorup de Besanez)

Attenzione: non è fuffa e non sono in discussione né i sentimenti politici né l’intensità del loro intimo viverli anche oggi. Semmai quello che è in discussione è l’angolo di focus con cui questo sfoggio benevolo va a rifrangesi su una società mutata radicalmente. E che essendo mutata (in peggio) nella percezione dei messaggi politici obbliga i politici stessi a seguire l’usta di un elettorato sempre più scollegato dalle tessere e dalla loro mistica di rappresentanza.

Lo stesso collante, ovviamente su sponda opposta, che porta esponenti del Pd anche provinciali a non farsi scappare una sola occasione che sia una per riesumare il totem di Enrico Berlinguer. E piazzarlo magari dritto in strozza alla parte cattolica del Nazareno, quella che la fotina di De Gasperi proprio non ci è riuscita, a capovolgerla sul comodino.

Ne ha scritto esaustivamente Nicola Perrone su Dire, citando uno studio condotto da Swg. Secondo quel report “nel corso degli ultimi 9 anni è durante i governi Renzi e Gentiloni (2016) ben il 70 per cento degli elettori italiani consideravano Destra e Sinistra concetti superati.

Il sondaggio di Swg sugli italiani

L’arrivo di Giorgia Meloni ai vertici di Palazzo Chigi e l’onda di ritorno di un identitarismo forte perché represso per decenni aveva un po’ riequilibrato le cose. Con “il 54 per cento” che “li considera superati” ed “il 44 per cento ancora attuali. Una tendenza verso il bipolarismo destinata a rafforzarsi man mano che ci avvicineremo alle prossime elezioni politiche – spiega Perrone -. Quando l’attuale sistema elettorale costringerà ogni singolo elettore a decidere con quale parte schierarsi.

Insomma, qual è il fenomeno e, soprattutto, stiamo parlando davvero di un fenomeno per il quale le “caselle” sardoniche di Giorgio Gaber non hanno più molta ragione di esistere sia pur in chiave tertullianea? Il dato incontrovertibile è quello per cui la “botta di camomilla” alla voglia di barricate degli italiani – già storicamente bassina se non come linguaggio formale – in Italia l’aveva data il centro sinistra.

La “camomilla” del Lingotto

Walter Veltroni © Imagoeconomica, Alessia Mastropietro

Questo perché, con il progressivo maturare della creatura che vide la luce al Lingotto nel 2007, c’era stato tempo per affinare il prodotto. Quale? Quello di una ricetta politica che, prendendo un po’ dai post comunisti ed un po’ da cattolici post democristiani, ne aveva regimentato gli ideali a crasi. E li aveva giocoforza spuntati. Le lunghe esperienze di governo avevano poi consentito ai cittadini-elettori di seguire la pista di una metamorfosi: da vino schietto a vinello alla gazzosa, e per gradi.

Ed al contempo di non sentirsi a disagio in quella nuova veste da soft-drink perché nel frattempo tutta la storia post caduta del Muro di Berlino virava dritta verso quei colori tenui.

Le cose erano andate diversamente a destra, perché con la brusca interruzione dell’esperienza politica di rango di Gianfranco Fini erano avanzate le ex seconde linee.

Fini interrotto in corso d’opera

Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, avversari alle Comunali di Roma (Foto Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

E quelle erano non solo più polarizzatrici, ma anche compresse a molla. Da una lunga esperienza all’opposizione e dalla segregazione in nicchie culturali che testimoniavano l’incapacità dell’Italia di cassare la sua storia. Perciò quando era arrivato il 25 settembre del 2022 con esso era arrivata una “botta di Stravecchio” che ancora oggi emana i fumi grevi del revanscismo storico post missino. E qui si è innescata una reazione secondaria e seconda, ma determinante.

Alla “lunga” cioè anche la destra ha iniziato a fare i conti con una duplice mission: tenersi gli elettori storici che dalla mistica del post-Ventennio non abdicheranno mai completamente.

Poi convincere i nuovi che esiste una destra europea.

Cioè una roba che, a contare il format originario, è di fatto una non-destra.

I capolavori e le cantonate di Giorgia

Operazione bifronte e complicatissima, in cui Giorgia Meloni a volte fa piccoli capolavori, altre prende cantonate inevitabili. Perché? Perché nel frattempo è cambiato anche il suo, di elettorato. E Swg lo ha spiegato bene: “Il 45 per cento di elettori del Centrodestra (il 15% del Centrosinistra) considera tutti gli allarmi sullo sviluppo sostenibile e la difesa dell’ambiente solo una moda.

Attenzione: che 45 elettori su 100 del centrodestra non credano al cambiamento climatico è dato banale ma forte per cui ce ne sono 55 che ci credono e come. Come pire, ricorda sempre Perrone, “curiosa è la valutazione sulle libertà individuali (convivenza, omosessualità, legalizzazione droghe leggere, aborto, eutanasia)”. Perché?

Clima, diritti ed altri (non) discrimini

Il gay Pride di Roma 2015 (Foto: Andrew Medichini / Courtesy AP)

Ecco, lì “le posizioni registrate a partire dal 2007 fino al 2024 tendono a convergere riducendo le distanze: adesso il 77% (84% nel 2007) del popolo del Centrosinistra è d’accordo, insieme al 57% (41% nel 2007) del popolo del Centrodestra. Come a dire che in tema di diritti civili si sta stemperando tutto nell’ecumenicità del loro valore assoluto, e non nella settorialità del singolo valore di cespite ideologico.

Resta solo una netta distanza sulla irrisolta dicotomia tra eguaglianza assoluta e merito. Oggi in favore del secondo “è d’accordo il 77% degli elettori del Centrodestra (81% nel 2011), contro il 29% del popolo di Centrosinistra (46% nel 2011)”. Perché sarà pur vero che destra e sinistra non esistono più come le concepivamo una volta, ma l’Italia degli imbucati previo telefonata giusta non morirà mai.

E questo i sondaggi possono solo registrarlo, ma senza risolverlo. Perché mediamente chiunque vada a comandare in questo resistente carrozzone giolittiano mette il gregge col suo marchio sempre prima di tutte le pecore del pascolo.