Distraggo ergo sum: l’ennesimo capolavoro pubblicistico di Giorgia

Buttarla in caciara su temi urticanti quando le cose in casa tua vanno male: premier maestra e gonzi a frotte

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Di certo Fausto Bertinotti non è stato elegantissimo, ma altrettanto certamente la sua mistica di presunta “violenza istigata” non era roba da almanaccare. E di certo Romano Prodi non è stato conforme al suo proverbiale aplomb da “Mortadella zen” nel replicare alla nota giornalista, ma non è uno stracciatore di zazzere. Come pure di Stefano Bandecchi, uno che violento lo è davvero, non si può certo dire che abbia frequentato scuole zen in Tibet.

Tuttavia la sua ultima uscita – smargiassa e rozza – sul caso Ventotene, non resterà certo negli annali della storia del giornalismo. Eppure c’è un dato comune a tutte e tre le figure ed un altro dato comune a quel che le azioni delle stesse incarnano.

I diversivi mainstream

Giorgia Meloni

Vale a dire la straordinaria capacità di Giorgia Meloni di creare diversivi mainstream e “forti” negli esatti momenti in cui la sua azione di governo dell’Italia inizia a mostrare smagliature e addirittura strappi. Attenzione, ché c’è un particolare cardinale su cui riflettere e riflettere bene, senza preconcetti. Di Meloni e del suo rapporto a dir poco difficoltoso con i media se ne sta parlando da due anni, e tutti – specie sul fronte delle opposizioni – sono concordi su un dato.

D’altronde la Meloni è essa stessa giornalista, a Fiuggi nella prima decade dei 2000 aveva sostenuto i test per l’esame nella stessa sessione in cui si patentò professionista la compianta Valentina Prato. E’ quello per cui la premier “scappa” dalle domande dirette e dagli scenari a braccio in cui un professionista con serietà standard potrebbe mettere in crisi il suo lessico fluido alla “va tutto bene grazie a noantri”.

Sfuggire ai giornalisti? Non serve

Eppure nessuno pare essersi accorti che tutto sommato a Meloni non serve scappare dai giornalisti scomodi, perché ne ha di comodissimi che, appena lei lancia un’esca di distrazione, su quella e solo su quella per parte maggioritaria si fiondano. Come sul caso Ventotene e sugli annessi e connessi made in Fausto e Romano.

Fausto Bertinotti (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Su un caso cioè che, per paradosso, alla fine ha consentito alla premier non di patentarsi come governante in difficoltà e pungolatrice di una cosa cardinale per democrazia ed Ue, ma come capa di una scuola di pensiero vittima di “violenza”.

Cioè delle brusche repliche di alcuni esponenti avversi. Come quando si va a pesca di cavedani in ansa placida di fiume rapido.

Come coi cavedani da pozza

Lanci, guati il galleggiante che scatta e si tuffa, allami, scatti, recuperi di mulinello e metti in guadino la preda. E tutto questo mentre, a pochi metri dall’acqua ferma dove hai giocato la tua partita sorniona di pasturatrice saggia, la corrente si sta portando via pure i tronchi marci.

E per l’Italia la corrente è l’ex Rearm Eu, oppure il caro bollette, o l’occupazione che no, non sta affatto salendo, non al punto da poter sentenziare che oggi nel Paese ci sono famiglie più tranquille. Ma Meloni è brava nel distrarre e nell’approntare miti vittimistici, ed i suoi sono sponde funzionaliste al massimo.

La Filippica di Ruspandini

Massimo Ruspandini

Sponde media, che manco se lo sognano, di andare a tartufare le grane vere, e sponde partitiche di rango. Che ovviamente intuiscono il potere dello slogan e rilanciamo. Come Massimo Ruspandini, che sui social sta funzionando più di una sponda da bazzica. Il deputato e presidente provinciale di Fratelli d’Italia Frosinone ha scritto all’Agi in pieno “furor” etico.

Così: “L’incitamento alla violenza contro il presidente del Consiglio Giorgia Meloni rivolto dal comunista Fausto Bertinotti è uno dei punti piu’ bassi (e pericolosi) della storia della Repubblica italiana.

E per il politico ceccanese che i libri invece li bruciava in piazza “tanto da oscurare perfino la tirata di capelli di Romano Prodi a una brava giornalista che rivolgeva una domanda non gradita”. Sul tema delle “domande non gradite” ci sarebbe da scrivere un trattato, dalle parti di Via della Scrofa, ma è indubbio che certe reazioni non fanno bene alla mistica del voler censirare quelle stese reazioni quando però scappano in casa tua.

Ruspandini chiosa: “Questa è la fine che ha fatto la sinistra italiana: usa la violenza perché non ha più argomenti e continua a difendere un libretto che in pochi avevano letto e molti avevano esaltato, come il Manifesto di Ventotene.

Ventotene, specchietti ed allodole

Romano Prodi (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

Ed in perfetto endorsement definisce lo stesso come quel documento “in cui si inneggiava nel 1941 all’esproprio proletario della proprietà privata e alla rivoluzione”. Ma il problema è davvero cosa ha detto Meloni di una cosa che non le apparterrà mai per battage ideologico, oppure come hanno reagito due seniores della sinistra o ancora come la coprono i suoi?

Nessuno che si sua accorto del fatto che la premier che si sente ancora leader dell’opposizione si è briscolata in sede camerale alcune domande che davvero l’avrebbero messa in crisi? E che sarebbero davvero andate alla polpa di un’azione di governo che sta, nettissimo ed in pole, tra inconsistenza e cerchiobottismo?

Nulla da fare, la sinistra si gioca la carta stantia della supremazia culturale con Bertinotti che sul famoso “libro lanciato” chiosa che “magari ti serve”. Prodi che dà dell’analfabeta ad una giornalista facendole una concitata lezioncina di storia. Quando le vinci, le elezioni, così?

La stampa per parte grossa ha dimenticato i guai veri e sì. Giorgia Meloni può stare senza pensieri per almeno un altro mese. Perché le armi di distrazione di massa funzionano solo se il numero dei distratti è così alto da giustificarne l’uso.