Don Antonio mazzi festeggia 93 anni. E riceve il titolo di cavaliere di Gran Croce. Il suo legame con Cassino. Dove trent'anni fa portò Exodus. La visione lucidissima del prete di strada: più oggi di allora
Don e cavaliere. E nemmeno un cavaliere così ma addirittura di Gran Croce. Il Capo della Stato Sergio Mattarella ha insignito don Antonio Mazzi della massima onorificenza della Repubblica Italiana: il fondatore della comunità Exodus è da oggi Cavaliere di Gran Croce.
Il 22 maggio del 2015 don Mazzi ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Cassino dall’allora sindaco Giuseppe Golini Petrarcone. Nello stesso anno, il 22 settembre, sempre a Cassino, ha ricevuto in Ateneo la laurea magistrale honoris causa in Scienze Pedagogiche. Il prestigioso riconoscimento gli venne conferito dall’Università di Cassino e del Lazio Meridionale per volere del rettore dell’epoca: Ciro Attaianese.
Un legame speciale
Exodus e l’Università di Cassino hanno sempre avuto un legame speciale. Per le molte attività svolte insieme: come, ad esempio, l’impegno dei ragazzi in fase di reinserimento nell’accompagnamento degli studenti disabili dell’Ateneo. Ma anche tanti momenti di confronto e di condivisione sui temi dell’educazione, del rapporto con i giovani, della formazione degli insegnanti.
L’Università di Cassino insieme ad Exodus e all’Abbazia di Montecassino hanno dato vita alla manifestazione “Mille Giovani per la Pace” e nel 2017 Sergio Mattarella aveva inviato la Medaglia del Presidente della Repubblica quale premio di rappresentanza alla XXIII edizione del meeting. Adesso il Capo dello Stato conferisce a Don Mazzi l’onorificenza più alta prevista dagli ordinamenti di benemerito nazionali.
L’arrivo di Exodus
La città di Cassino deve molto a quel prete di strada che nel 1990 portò la carovana di Exodus all’ombra dell’Abbazia. Oltre 30 anni sono passati, e non sono stati facili. Soprattutto i primi, quando diffidenza e scetticismo accolsero i ragazzi di don Antonio.
In questi 30 anni Exodus ha accolto però tantissime famiglie che avevano bisogno di aiuto per i propri figli, ha incontrato tantissimi studenti indicando loro una strada positiva, ha formato molti educatori che mettono la propria vita al servizio del territorio ed in cui don Antonio Mazzi ha avuto sempre un ruolo principale. L’esperienza di Exodus a Cassino la definisce lui stesso come una delle punte di eccellenza di tutta l’opera sociale promossa nella propria vita.
La musica, lo sport, il volontariato, i laboratori, la fattoria, la pizzeria hanno trasformato quella che era una semplice comunità terapeutica in un centro di aggregazione giovanile, un motore di attività educative aperto a tutta la città.
Un ragazzino di 93 anni
Ieri, a Milano, alla presenza anche dello storico direttore di Exodus Cassino Luigi Maccaro e di una folta delegazione partita dalla città martire, don Mazzi ha festeggiato i suoi 93 anni.
“Quando Exodus è partito, negli anni Settanta-Ottanta voleva dimostrare che si può rieducare e affrontare un problema grave come quello delle droghe senza metodi particolari, repressivi e terapeutici, ma solo vivacizzando le modalità educative normali” dice don Mazzi quando gli viene offerto il microfono per l’omelia.
“Dopo 40 anni, vorrei che il sogno non si fermasse al recupero dei disperati, ma che si aprisse all’intera società, digiuna di valori e di vitamine interiormente ricostituenti, ricca solo di uomini-fotocopia. Vogliamo anzi dobbiamo allargarci, uscire dalle strutture e battere le strade educative ed evangeliche suggerite da papa Francesco. Dobbiamo inventarci cellule diverse che si innestano in questo mondo, per testimoniare che l’uomo vero non può essere la fotocopia delle commedie nelle quali, purtroppo, vive suo malgrado”.
“L’obiettivo — perché c’è sempre un nuovo obiettivo nei discorsi dei preti di strada— è riuscire a fare sempre meglio quello che facciamo, con scopi più sociopolitici; il passaggio da “sassolini nelle scarpe” a “cellule vitali” non è facile“.
E ancora: “Le contraddizioni e la stanchezza, si vincono camminando. Dobbiamo andare nelle piazze non solo perché dobbiamo combattere le dipendenze, ma per dimostrare che siamo figli della stessa storia ma vissuta diversamente e che gli uomini veri esistono ancora“.