
La sottile (ma non troppo) linea europea che lega Rearm-Ue e la crisi dell’automotive che morde anche il Cassinate
Nel 1942 e dopo l’operazione “Barbarossa” con qui quel matto di Hitler decise di andarsi a cercare spazio vitale nell’immensità ostile dell’Unione Sovietica, Iosif Stalin capì l’antifona. E in meno di tre mesi decise e realizzò la riconversione delle fabbriche “Ottobre Rosso” e “Barricata” a Stalingrado. Fino alla fine del patto Ribbentropp-Molotov facevano trattori, ma sotto scacco della VI armata di Von Paulus iniziarono a produrre carri armati. Il paragone è solo concettuale, sia chiaro, e la liaison è flebile e poco sostenibile, ma è un po’ quello che oggi potrebbe accadere nella nuova Europa a trazione “Ursulen”.
Quella che deve riarmarsi, che non ha più lo sparring bullo degli Usa. E che soprattutto deve conciliare crisi automotive con nuove e radicali esigenze geopolitiche. Quelle che aveva descritto in maniera partigiana (ed intelligente per la nota mistica di grandeur) il senatore Claude Malhuret alla Camera alta francese pochi giorni fa. Così, a scavarci una silloge cardinale.
Malhuret che non le manda a dire

“L’Europa si trova in una fase critica della sua storia. Lo scudo americano si sta ritirando, l’Ucraina rischia di essere abbandonata e la Russia si rafforza. Washington è diventata la corte di Nerone, con un imperatore incendiario, cortigiani sottomessi e un buffone sotto ketamina incaricato di epurare la funzione pubblica. Questa è una tragedia per il mondo libero. Ma è, prima di tutto, una tragedia per gli Stati Uniti.Il messaggio di Trump è che non ha senso essere suoi alleati perché non vi difenderà, imporrà più dazi a voi che ai suoi nemici e minaccerà di impadronirsi dei vostri territori sostenendo le dittature che vi invadono. Il “re degli accordi” sta dimostrando cos’è davvero l’arte della trattativa: sottomettersi. Pensa di intimidire la Cina inchinandosi davanti a Putin, ma Xi Jinping, di fronte a un simile disastro, sta senza dubbio accelerando i preparativi per l’invasione di Taiwan”.
“Mai un presidente aveva sostenuto un aggressore contro un alleato. Mai prima d’ora un presidente aveva calpestato la Costituzione americana, emanato così tanti decreti illegali, destituito i giudici che avrebbero potuto impedirglielo”. E “licenziato il personale militare in un colpo solo, indebolito tutti i contrappesi istituzionali e preso il controllo dei social network. Questa non è una semplice deriva illiberale”.

E ancora: “E’ l’inizio della confisca della democrazia. Ricordiamo che bastarono solo un mese, tre settimane e due giorni per far crollare la Repubblica di Weimar e la sua costituzione. Ho fiducia nella solidità della democrazia americana e il Paese sta già protestando. Ma in un mese Trump ha fatto più danni all’America che in quattro anni della sua ultima presidenza”.
E a chiosa: “Eravamo in guerra contro un dittatore. Ora stiamo combattendo contro un dittatore sostenuto da un traditore”.
“Dittatori e traditori”

Consivisibili o meno, quelle parole schiudono due scenari, ed uno porta direttamente al Cassinate. Perché se il primo piano di ragionamento è paradigmatico di una (non ben) definita necessità dell’Ue di riarmarsi per potersi difendere senza il cugino “mazziere”, la seconda è più sotterranea.
Ed è quella per cui oggi il piano Rearm-Ue risponde anche ad esigenze produttive castrate dalla crisi automotive. Insomma, pare proprio che in un colpo solo Ursula von der Leyen voglia dare piglio etico alla sua mission e risolvere il problema ormai sistemico della crisi economica del comparto produttivo Ue.
Come? Come sta già facendo Rheinmetall in Germania, ad esempio. Il colosso degli armamenti corazzati “potrebbe convertire due dei suoi stabilimenti, che attualmente producono componenti civili per veicoli, alla produzione per la divisione militare del Gruppo”. Da Düsseldorf avevano fatto sapere che “nel settore della difesa, Rheinmetall sta attualmente sfruttando tutte le opportunità per aumentare i volumi di produzione, in particolare nel settore delle munizioni“.
Le vitamine Ue: riarmiamola

Lo scopo è “produrre principalmente prodotti o componenti per la divisione ‘Armi e munizioni’ in due siti tedeschi che finora facevano parte della divisione civile”. Dove si trovano? A Berlino e a Neuss. Nulla di già deciso, per carità, ma l’orientamento pare quello. Cioè prendere pezzi di automotive e farli diventare in riconversione dei “cannonifici” che abbiano un mercato straordinario, a contare le clausole economiche che gravano su Rearm-Ue per i singoli Stati.
A Berlino e Neuss operano infatti stabilimenti della divisione ‘Power Systems’, che “offre prodotti per l’industria automobilistica ed energetica. La divisione sta risentendo della crisi dell’industria automobilistica. In contrasto con le altre aree di business in crescita di Rheinmetall, l’attività civile raggruppata in Power Systems ha registrato un leggero calo del fatturato a 1,543 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2024”. E sull’altro fronte, quello militare? Lì i numeri volano.
“Le vendite della divisione Armi e Munizioni sono aumentate del 64,3 percento a 1,554 miliardi di euro nello stesso periodo, mentre il risultato operativo è quasi raddoppiato a 339 milioni di euro. Nel complesso, le vendite del Gruppo Rheinmetall sono salite a 6,2 (4,6) miliardi di euro”.
Siamo con la Riserva accesa

In questi anni abbiamo sostenuto l’Ucraina inviandole quasi tutto ciò che c’era nei magazzini. E poi anche quello che era strategico per noi stessi. Non è un caso che nel luglio 2023 il generale Luciano Portolano, nella sua veste di Segretario generale della Difesa e soprattutto di Direttore nazionale degli armamenti abbia lanciato il segnale d’allarme. Dicendo “Se non saremo in grado di assicurare un adeguato livello di disponibilità di munizioni e missili in tempi rapidi, potremmo mettere a rischio le possibilità di successo dello sforzo bellico ucraino”.
Alla Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, aveva spiegato che “I sistemi donati servirebbero a poco senza le necessarie munizioni“. L’ufficiale ha spiegato con cruda efficienza che siamo in ritardo: abbiamo commesso l’errore di pensare che una guerra fosse impossibile. Nel campo del munizionamento c’è da recuperare un gap pesante. Portolano ha infatti ricordato che “con la fine della guerra fredda ha avuto inizio una fase storica contraddistinta dall’illusione che non avremmo più assistito a conflitti di natura territoriale su larga scala“.

Ciò “ha comportato un adattamento – al ribasso – di alcune capacità militari”. Quali? “In particolare quelle terrestri, con conseguente, generalizzata notevole riduzione della componente corazzata e delle scorte, incluse quelle di munizionamento“. All’epoca ha sollecitato la riattivazione di impianti come lo Stabilimento Militare Propellenti di Fontana Liri per produrre il munizionamento necessario. Per noi e per lo sforzo bellico in Ucraina. (Leggi qui: La Difesa chiede di ‘arruolare’ il Propellenti per l’Ucraina).
Ed è sulla base dello stesso ragionamento che a Cassino è stato tolto l’80° reggimento di fanteria in cui si addestravano e formavano sottufficiali per sostituirlo con un reparto più operativo e moderno: il 3° Bondone che ha è stato elevato di rango, ha ricevuto la bandiera di guerra e si occupa di gestione dei droni. (Leggi qui: Cassino passa dalla retrovia alla prima linea).
Il paradigma Urso

Insomma, quello della conversione industriale da civile a militare è un paradigma che potrebbe (amaramente) funzionare anche per l’Italia. Ed è stato lo stesso ministro di Imprese e Made in Italy Adolfo Urso a farlo capire. Dal canto suo Il Ceo di Leonardo Roberto Cingolani, ha spiegato che “al momento non abbiamo alcuna discussione in corso con costruttori automobilistici. E’ troppo presto. Ma se c’è un aumento della spesa in difesa che è sostanziale e se si immagina che gli ordini aumentino del 50-60%, allora bisogna fare delle scelte”.
Quali scelte? Quelle tedesche e mainstream, per cui “le aziende di armamenti stanno vivendo una rapida crescita a fronte dell’aumento della spesa per la difesa da parte dei Paesi occidentali dopo l’invasione russa dell’Ucraina”. Rheinmetall ha uno stabilimento alle porte di Roma; ci si fanno, nel novero areale della “Tiburtina Valley”, sistemi d’arma Oerlikon, radar, cannoni e missili.
Tiburtina Valley mon amour

Ed è un colosso il cui Ceo Armin Papperger aveva detto: “Stiamo vivendo una crescita come non abbiamo mai avuto prima nel Gruppo”. Eccola, la parola magica: “Crescita”, che va in endiade conversa con quell’altra: “crisi automotive”.
La transizione verso l’elettro-mobilità “sta causando problemi all’industria automobilistica tedesca, mentre anche le vendite in Cina sono fiacche. Tuttavia, anche gli stabilimenti di altre industrie in crisi vengono convertiti alla produzione di difesa”.
Esiste un modello italiano da replicare? In linea teorica sì, a contare la crisi Stellantis e la gigantesca mole di problemi – produttivi, sociali ed occupazionali – annessa. In Italia gli investimenti per la difesa potrebbero arrivare a valere circa 18 miliardi di euro in prestiti.

Ovvio che l’asset cardinale è Leonardo, da questo punto di vista, ma con qualche sfumatura. La prima (oltre una turca con Baykar) quella della joint venture che prevede una maxi commessa da 23 miliardi di euro in un orizzonte di 10-15 anni per produrre circa “280 carri armati e 1000 mezzi di fanteria leggeri per l’Esercito Italiano”. E con un mercato Ue che varrà 100 miliardi non provare a lanciare una ciambella di salvataggio al settore automotive, specie in ambito indotto, sarebbe da folli.
Cassino Plant col respiro corto
E veniamo a Piedimonte San Germano: la situazione è nota, con poco più di 2400 lavoratori attuali e con 700 di essi in contratto di solidarietà. Solo la metà raggiunge l’officina e lo stato di salute di stabilimento e settore è di quelli che disegnano un quadro cupo.

Come per quello della De Vizia, che dovranno scegliere tra continuare a portare il pane a casa con un pendolarismo coatto o se smettere anche sol di concepirlo, il pane. Rheinmetall, che molto rumors danno per interessata su fronte capitolino a mettere le mani nella marmellata guasta dell’automotive laziale (cioè cassinate) può essere la soluzione?
I sindacati tendono ad essere contrari ma le commesse della Difesa sono ormai alle porte. Manca solo l’approvazione in Consiglio a Strasburgo del documento che dà disco verde alle nuova Europa “armata” in meno di due decenni.
E che consacrerà la nuova linea anche per un territorio che fino ad ora aveva prodotto mezzi per portare i bambini a scuola e le mamme ai market. E che potrebbe essere presto costretto a scegliere tra fabbricare cose che uccidono o uccidere i propri sogni.