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Due chiavi di lettura per due scenari molto distanti ma non del tutto diversi: perché in ballo c’è anche il prestigio di bottega
Due piani due, e sono piani “tosti”: in politica si è praticamente quasi ogni giorno sotto esame. Poi c’è l’altro, quello per cui in Fratelli d’Italia la condizione di verifica, la mistica “del test” è talmente presente e perenne che i suoi iscritti nella loro versione meno di lotta e più di governo si sentono sempresempre sotto esame. E a volte questa condizione portata a parossimo logora più di quanto non imbrodi. E lo fa ad ogni livello, dai capi ai pretoriani, da Giorgia Meloni a Massimo Ruspandini fino all’ultimo degli iscritti che aspiri a conquistare un circolo.
Questo magari ai prossimi congressi che proprio il deputato ciociaro, che è anche presidente provinciale, dovrà indire nelle prossime settimane: entro la fine di questo mese. L’aspetto più interessante, per certi versi, non è la assoluta legittimità delle verifiche che il target fa ai sistemi complessi ed alle condotte dei loro esponenti di rango.
Dalla Florida ai congressi frusinati
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No, la parte sugosa dell’analisi sta tutta nella tenuta di chi si sente sotto test, e della condizione – che per Fdi pare claim sempiterno – di sentirsi in campagna elettorale, in un certo senso “sotto attacco”. Il che, nel caso di ruoli istituzionali, a volte pregiudica l’ecumenicità dell’azione e rinfocola quel mood sovranista che a volte fa a cazzotti con i desiderata di una politica più morigerata, in forma e contenuti. Fatta la tara alle differenti posizioni ed usando il “tappeto volante” di una iperbole voluta, Massimo Ruspandini è certamente uno di quelli che sta “sotto test”.
Quello cioè dei congressi in Provincia che dovranno dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio due cose. Soprattutto a Frosinone, Cassino, Veroli, Ferentino e Ceccano. Dimostrare che il parlamentare di Ceccano non è il Ras di un Partito cresciuto in maniera esponenziale ma il primus all’interno di un sistema che ha saputo allargare alle varie sensibilità della destra. E questo a prescindere dal numero di tessere che farà la sua area e dal numero che faranno le altre sensibilità: in questo caso il successo non sta nei numeri della conta ma nell’essere stati capaci di avere avuto tanti che facessero le tessere. E ciascuno per il suo modo di vedere la destra che sta sotto il comune denominatore di Giorgia Meloni.
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È proprio quello sdoganamento del sistema democratico interno declinato sul territorio ciociaro a dare oggi ben salde a Ruspandini le redini di un Partito che si è dimostrato, per mezzo di suoi accalarati esponenti, non immune da sgroppate “brade”. La sua condotta alle scorse amministrative, quella che risultati alla mano ha premiato il Partito ma aperto varchi di esercizio critico, è bollabile come strategia ecumenica ed applicabile, sempre con lui ai vertici frusinati di Fdi. Questione di conta di tessere e di rapporti politici consolidati step by step, comune per comune.
Giorgia che è volata da Donald
Di ben altro rango il test a cui si è sottoposta con 4 ore attive Made in Usa Giorgia Meloni. Di cui proprio Ruspandini aveva sottolineato la centralità geopolitica con un post social mezzo agiografico che faceva sponda sull’articolo di “7”, l’inserto del Corsera, proprio sulla premier. Così: “Aveva detto che avrebbe stravolto i pronostici e lo sta facendo. Dalle politiche sul lavoro, al contrasto all’immigrazione clandestina, il Presidente Meloni ha rimesso in moto la Nazione. L’Italia oggi è più forte in Europa e nel mondo”.
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E per dimostrarlo la Meloni è volata a Mar-a Lago, in casa (insomma, non proprio roba da Ater, via) di Donald Trump. Questo per trattare temi cruciali come gli accordi con Elon Musk, il caso Cecilia Sala, i dazi, le guerre ed i rapporti tra la Washington a trazione Maga e la Bruxelles a trazione Ursula-bis. E proprio il Wall Street Journal, che come tutti i media Usa è lodevolmente inconsapevole dei casini che crea in sistemi dove è meglio non mettere ansia, aveva inquadrato il viaggio di Meloni nella casella di verifica.
La lettura del Wall Street Journal
“Il caso di Cecilia Sala sta diventando un test per il governo italiano”. Esecutivo che, secondo un lungo articolo di cui dà menzione AdnKronos, “si trova coinvolto nella ‘guerra ombra’ tra Iran e Stati Uniti”. Cardine di quella lettura che non si discosta poi di molto dalla realtà erano state le ultime dichiarazioni del ministero degli Esteri di Teheran. In cui Palazzo Chigi e quindi Meloni ed Antonio Tajani in primis venivano esortati a “respingere la politica americana di presa degli ostaggi”.
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Il riferimento era ovviamente ad Mohammed Abedini, il cittadino iraniano arrestato a Malpensa tre giorni prima di Sala su istanza di Washington. Tempi di test per i Fratelli dunque, e ad ognuno il suo. Perché Giorgia Meloni non rinuncerà mai a mixare un successo di Roma con uno di Via della Scrofa.
E perché, su scala ridotta ma in forma simile, in provincia il successo del partito dovrà passare per quello del suo uomo di rango più alto. Fino a farli coincidere… quasi perfettamente. E congressi permettendo.