Il 2025 che è già qui: tra “bluff” da vedere e Green Smart che ci serve

Il segnale di speranza che arriva da Stellantis Cassino Plant a ridosso dello spumante. E quella striscia di led bene augurante. Dagli appuntamenti elettorali alle sfide su lavoro, economia, Ue e coesione. Tutti (o quasi) i nodi che attendono la politica italiana

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Per cominciare non comincerà benissimo. Se non ci fossero stati i salvataggi compiuti in extremis allora avremmo potuto dire senza dubbi che si cominciava male. Le ore di passaggio tra il vecchio ed il nuovo anno hanno acceso una piccola luce di ottimismo: a ridosso del cenone e dei fuochi d’artificio, Stellantis ha prorogato di 30 giorni il contratto con la De Vizia, la società che si occupa delle pulizie industriali nello stabilimento Cassino Plant e che sarebbe scaduto il 7 gennaio determinando il licenziamento di 32 dipendenti.

La piccola luce di speranza

Il presidio De Vizia nel giorno di San Silvestro

L’annuncio è stato fatto ai sindacati a poche ore dalla mezzanotte di Capodanno che i lavoratori a rischio si preparavano a trascorrere davanti ai cancelli dello stabilimento.

Nella giornata di San Silvestro ha portato la sua solidarietà ai lavoratori Rocco Palombella, segretario generale della Uilm Uil annunciando “un presidio ad oltranza”. E denunciando “il silenzio assordante dell’azienda e del ministro Adolfo Urso. Vogliamo che si rispetti la dignità e l’occupazione di queste persone”.

A distanza di qualche ora, nel pomeriggio del 31 dicembre è stato comunicato al Segretario provinciale Uilm Uil di Frosinone Gennaro D’Avino che il contratto era stato prorogato. Di trenta giorni soltanto ma intanto si va avanti: il 7 gennaio ci sarà un tavolo al Ministero delle Imprese per discutere del futuro della De Vizia, analogamente a quanto avvenuto nelle settimane scorse per il personale della Trasnova, la società che si occupa della logistica interna ai piazzali: per loro è stata individuata una soluzione con la proroga di un anno dei contratti.

Stellantis dice che il 2025 sarà l’anno in cui Cassino Plant inizierà gradualmente ad entrare nella sua nuova dimensione. La sera del 30 dicembre, con un video pubblicato su Instagram Alfa Romeo ha salutato il 2024 e guardato al 2025 con una piccola ma succosa anteprima: gli ultimi fotogrammi del filmato mostrano infatti quella che dovrebbe essere la firma luminosa della seconda generazione della Stelvio che nascerà dalle linee di Cassino Plant.

Fino a quel momento la situazione registra gli operai dell’azienda madre e quelli della galassia di indotto annessa di Cassino Plant fermi fino al 20 del primo mese del 2025.

I temi caldi in calendario

Giorgia Meloni

Riposte le bocce di sciampagna ci toccherà fare quindi i conti con quello che di quel beverone resta. Cioè un hangover grosso che non è solo il nostro, ma quello di un Paese che non ha trovato ancora la via mediana tra Il Green Deal ed il suo diritto di fare produzione. E tra la politica urlata e quella praticata. Poco da fare, il 2025 rispetterà il mood di tutti gli anni di cui si provano a disegnare gli scenari.

E lo farà con la chiave di lettura per cui di “anni italiani parliamo”. Cioè di lunghi periodi di attività esplicativa di sistemi complessi politici, società, costume ed altri in cui vanno a massa critica principalmente due cose. L’obbligo per chi governa di mantenere la rotta facendo credere di averla migliorata e la speranza di chi è governato che chi lo governa sia migliore di lui.

Il 2025 sarà comunque un anno di temi caldi. In politica il Governo dovrà affrontare due nodi più cruciali ancora degli altri: quello dell’Autonomia Differenziata su cui pende giudizio di Consulta e quello della campagna referendaria per il Premierato voluto da Giorgia Meloni ma retrocesso in griglia a causa delle continue frizioni tra le componenti della maggioranza.

Oggi la riforma della Giustizia è il vero “gancio” con cui la premier spera di tenere uniti i suoi rissosi compagni di viaggio. E qui scatta un problema che è uno e trino al contempo, e che non è solo uno dei tanti ma forse il cardine di tutti. Il governo Meloni non ha le stesse caratteristiche, ovviamente giocando di iperbole comparativa, della maggioranza che a Cassino ha ad esempio Enzo Salera.

Meloni, Salvini e Tajani “quasi amici”

Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica

Fatta la tara alle abissali differenze il senso è un altro. Quello per cui dove il team del sindaco di Cassino è andato sì in baruffa (anche personale) come pochi altri, ma non ha mai lasciato che certi veleni erodessero la compattezza dell’azione amministrativa oggi invece Palazzo Chigi è una polveriera. Perché le componenti della maggioranza hanno avuto buona parte del 2024 per logorarsi a vicenda su questioni cardinali pur mantenendo rapporti personali tutto sommato tiepidi anche nei momenti peggiori.

Perciò su tasse, riflessi delle azioni partitiche in quelle di ampio respiro Ue, Rai, autonomia regionale, prelievi alle banche e molto altro Antonio Tajani, Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono spesso su sponde abissalmente opposte.

E trattandosi di un governo nazionale, cioè di un sistema decisore di rango massimo a sua volta legato alle dinamiche geopolitiche mondiali, i possibili guai saranno grossi. Meloni deve ancora sciogliere il nodo dei provvedimenti contro Gioventù Nazionale per l’inchiesta di Fanpage e Tajani borbotta. Salvini nella sua novella veste di assolto in primo grado per il caso Open Arms sente l’usta di un Viminale bis e Tajani borbotta.

Tajani non vuole che si tocchino le banche e Meloni borbotta: perché qualcosa di pop davvero lo dovrà pur fare e perché tutto le serve meno che un guitto social in un posto che sarà cardine del braccio di ferro politico-giudiziario sui Cpr in Albania.

Due appuntamenti elettorali di rango

Vincenzo De Luca

Il 2025 sarà poi caratterizzato da appuntamenti elettorali cruciali: le regionali in Veneto e Campania. Nella roccaforte leghista ci sono due piani di frizione: quello tutto interno alla Lega dove Luca Zaia non ha mai rappresentato un’estensione politica del Segretario-Capitano, semmai un’antitesi soft ma decisa.

Poi quello tra Carroccio e Fratelli d’Italia, con il primo che per bocca di Salvini pretende un candidato leghista e Giorgia Meloni che, dopo aver perso Donatella Tesei in Umbria, vorrebbe blindare il Veneto con un candidato di Via della Scrofa. Anche perché l’assoluzione di Salvini ha rimesso in quota lo score basso della Lega 2024 e la premier teme un fenomeno tutt’altro che improbabile. Cioè che si crei un effetto combinato di erosione fisiologica del Partito “Punta di lancia” del governo e di “vitamine” ad un Partito sempre di maggioranza, ma ormai “marginale” dal 2019.

In Campania ci sarà da sfidare uno come Vincenzo De Luca, un sultano in pratica, e il copione è lo stesso ma stavolta con Forza Italia. Gli azzurri puntano su Fulvio Martuscello ma Meloni ha il jolly di Edmondo Cirielli da tempo nel cassetto.

Green Deal senza eccessi, remember Stellantis

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Il 2025 sarà l’anno in cui il Green Deal dovrà rimodellarsi addosso alle esigenze produttive dei singoli Stati sovrani, altrimenti perdureranno e si amplificheranno i dolori che in Italia si sono sostanziati già con Stellantis e Beko. Sul fronte delle opposizioni l’anno che è appena cominciato dovrà dare definitivo battesimo ad una realtà che nel 2024 è comparsa a scatti e con non pochi eventi sdruccioli: il campo largo con Pd e M5s cardinali, per posizione e peso elettorale.

I dem di Elly Schlein in particolare dovranno uscire dalla logica della “guerra tra bande” che troppo spesso contrabbandano per dialettica vivificatrice. Mentre i pentastellati del dopo Grillo dovranno frenare la progressiva perdita di consenso innescata dal fatto che il populismo ha ceduto il passo al sovranismo. Anche perché il M5s “solo Conte” ha già accusato colpo in termini di numeri reali.

Il Partito Democratico dovrà affinare l’equilibrio tra battaglie etiche e battaglie per il lavoro. Ed i riformisti prog, a cominciare da Matteo Renzi e Carlo Calenda, dovranno dire una volte per tutte ai loro elettori cosa vogliono fare da grandi: se i primi della classe senza classe o quelli bravi in un istituto comprensivo.

Pd e M5s alla prova del nove

Giuseppe Conte

Su tutto poi, per l’anno in corso che ha appena iniziato a vagire, un problema che sembra secondario ma che secondario non è: quello del linguaggio della politica.

Ciascuno con il suo format, i partiti italiani sono preda ormai da tempo di un furor sloganistico che mortifica la verità, ed è un lessico con il quale i problemi veri rischiano di essere dimenticati. Noi italiani poi siamo storicamente propensi a farci “allamare facile”, e questo crea un cortocircuito, cognitivo prima che decisionale.

Problemi come il lavoro, la sanità, il welfare agile ma pervasivo, i temi etici, le migrazioni, il ruolo dell’Italia in Ue, le guerra in corso, non abbisognano del vocabolario di chi si crede sempre in campagna elettorale. Né hanno bisogno dei ring social su cui sempre più spesso anche l’opposizione sale, per il solo gusto di “vincere facile” additando in Giorgia Meloni l’archetipo della leader demagoga.

L’Italia, questa Italia di questo 2025 che ci si para davanti, merita molto meglio e molto di più.