Dopo la guerra politica tra Lega da una parte e Pd-5 Stelle dall’altra, la vicenda del sottosegretario fa esplodere lo scontro della carta stampata: Marco Travaglio (Il Fatto) contro Augusto Minzolini (Il Giornale). L’analisi politica di Stefano Feltri su Domani di Carlo De Benedetti. E quella di Storace su Il Tempo. Nella Lega c’è la fronda Giorgetti-Zaia, ma Salvini non molla. Il vero bersaglio sembra essere il Governo Draghi. La domanda che nessuno fa a Giorgia Meloni.
Il Pd presenterà la mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario al Mef Claudio Durigon: parole di Enrico Borghi (responsabile sicurezza del Pd) nel corso di ‘Ma che cos’e’ questa estate‘ questa mattina su Radio 24. Più dure le parole sulla pagina Facebook del vicepresidente del Pd alla Camera, Roberto Morassut: “Nella città dove domina il clan Di Silvio, dal quale il sottosegretario della Lega Claudio Durigon ha avuto notevoli e dichiarati sostegni elettorali, la questione dell’intitolazione del Parco ha un significato politico prima che ideologico. Cancellare la memoria di due simboli della lotta alla mafia come Falcone e Borsellino, è ancor più grave che riesumare quella di un congiunto di Mussolini“. Elio Vito, deputato di Forza Italia dice che le dimissioni di Durigon “dovrebbe essere proprio la Lega e tutto il centrodestra a chiederle, senza lasciare l’iniziativa alla sinistra”.
Nelle ore precedenti aveva rotto il silenzio il Segretario della Lega Matteo Salvini: “Fascismo e comunismo sono stati sconfitti dalla storia e né in Lega né da nessuna parte c’è nessun nostalgico”. Parole affidate a Rete4. (Leggi anche Durigon, Littoria, il fascismo e il Capitano).
Il tormentone Durigon
È diventato il tormentone dell’estate. Attenzione però: la vicenda di Claudio Durigon avrà un significato politico enorme. Comunque vada a finire. E se anche alla fine dovesse non essere più il sottosegretario al Mef, il suo ruolo politico all’interno del Carroccio è destinato ad aumentare, soprattutto tra i fedelissimi di Matteo Salvini.
Quello che sta succedendo in queste ore dice che l’intero dibattito politico italiano è incentrato sulle parole di Durigon relative alla reintitolazione del parco di Latina alla memoria di Arnaldo Mussolini.
Il Fatto Quotidiano, del direttore Marco Travaglio, ha già raggiunto 25.000 firme in calce alla petizione da presentare poi a Mario Draghi per chiedere il sollevamento dall’incarico di Durigon. Mentre il ministro Stefano Patuanelli (Cinque Stelle), il segretario del Pd Enrico Letta e tanti altri sottolineano l’incompatibilità di Durigon con il ruolo di Governo perché è la Costituzione a determinare i confini.
Sempre Il Fatto fa emergere l’attacco interno, quello che parte dal ministro Giancarlo Giorgetti e dal Governatore del Veneto Luca Zaia. Con una domanda: “Perché Siri e Rixi dimessi e lui no?”. Il perché è chiaro: Durigon è un fedelissimo di Matteo Salvini, che anche in queste ore lo ha difeso. Spiegando che “è bravissimo”. Però, riferisce Il Corriere della Sera, la Lega teme il blitz di Mario Draghi prima che la mozione di sfiducia venga calendarizzata.
Il Fatto Quotidiano, quasi dimenticavamo, condisce il tutto con le faccine di Draghi, Salvini e Renzi, immaginati come le tre scimmiette che non parlano, non vedono, non sentono.
La pagliacciata immonda
Nella guerra editoriale non poteva mancare il quotidiano storico di Roma: su Il Tempo il vicedirettore, Francesco Storace non va per il sottile. Dice che “Contro Claudio Durigon va in scena una pagliacciata immonda. (…) Fango nel ventilatore. Io ho ascoltato quelle parole. Stanno su YouTube, e chiunque può sentirle. Su un palco a Latina. In un comizio di quelli che i Partiti non fanno più: per ascoltare Matteo Salvini e la Lega quella sera nel capoluogo pontino non c’era bisogno di avere un green pass. Erano troppi da controllare…Lo scandalo del parco Arnaldo Mussolini è durato due secondi. Due”.
Una posizione molto netta. Che disarma molte delle polemiche costruire in questi giorni. E nella quale, come sempre, Storace non si tira indietro.
Il rosicamento sublimato
Un altro quotidiano, Il Giornale, dedica un editoriale del direttore Augusto Minzolini, che parla di una nuova moda, di un gioco di società della vecchia maggioranza giallorossa. Il gioco è chiedere le dimissioni di esponenti che, come Claudio Durigon, scivolano su diverse situazioni. Il tutto per riaffermare una posizione difficile da difendere dopo l’avvento del Governo Draghi. Una sorta di “rosicamento” sublimato con una richiesta politica di dimissioni di pedine dell’esecutivo di Mario Draghi.
Poi c’è il quotidiano Il Domani di Carlo De Benedetti. Il direttore Stefano Feltri fa un’analisi squisitamente politica e spiega che in realtà Durigon è il riferimento di quei voti di estrema destra (“fascisti”) che la Lega non vuole e non può perdere considerando l’attacco di Giorgia Meloni a destra.
A proposito di Giorgia Meloni: in un’intervista di qualche tempo fa disse di aver deciso di scendere in politica dopo aver apprezzato l’impegno e il sacrificio di Paolo Borsellino. Sarebbe interessante chiederle cosa pensa della proposta di Durigon di togliere la dedica del parco ai giudici antimafia. Perché in realtà è proprio quello l’errore politicamente più grave di Durigon.
Ma ormai è chiaro, per le navi politico mediatiche che stanno muovendo nella politica italiana, che il caso Durigon ha una posta in palio ben più alta. La vecchia maggioranza (Pd-Cinque Stelle-Leu), ispirata da Travaglio, vuole mettere in difficoltà Draghi. Matteo Salvini deve difendere la posizione, anche da Giorgetti e Zaia.
Mentre lui, Claudio Durigon, è la pedina più debole. Potrebbe fare un passo indietro. Ma non è affatto scontato.