La storia di Isaia Biasini. E di mezzo secolo d'artigianato a Frosinone. Dall'appuntamento con il destino, chiuso in una scatola di attrezzi del nonno. Fino al successo nazionale con Eugenio Bennato a bussare el negozio. Il reflusso anni Novanta. Ed il sapersi reinventare. Perché essere artigiano è come andare in biicletta
Il destino sa aspettare. Chiuso in una scatola di vecchi attrezzi da calzolaio. In attesa di essere scoperto, nel momento esatto per compiersi. Come ha fatto con Isaia Biasini, artigiano per vocazione. Il destino lo ha aspettato per anni chiuso nella vecchia scatola di attrezzi del nonno che Isaia non ha mai conosciuto ma del quale porta il nome. Inizia da lì, negli Anni 70, la storia di uno degli artigiani storici di Frosinone.
Nessuna scuola professionale, nessuna bottega dove ‘rubare‘ il mestiere osservando un maestro. “Sono sempre stato un creativo. Ho ereditato questa dote da mio nonno, che non ho conosciuto ma di cui porto il nome. Mi hanno raccontato che era un personaggio eclettico: realizzava scarpe a mano ed era un musicista”.
L’appuntamento con il destino viene fissato per caso, quando Isaia è ancora un bambino ed il nonno già non c’è più. “Un giorno, da bambino, nella cantina della casa di mia nonna, trovai una cassa piena di bellissime forme di legno per realizzare scarpe. Erano ingiallite e lucide per l’usura ma piene di storia e di fascino. Oggi posso dire che conservai quella scoperta in un file nel mio archivio mentale, con la certezza che prima o poi, io e mio nonno, avremmo in qualche modo lavorato insieme”.
La cassetta riaperta
Sono gli Anni Settanta, giorni di contestazione e di fuoco. È la fine del conformismo, i ventenni sono figli di quella generazione che è nata sotto le bombe ed è cresciuta nella fame. Loro non conoscono l’allarme aereo né la tessera annonaria. Ma hanno respirato in casa quel clima. Sono gli anni dell’impegno e della contrapposizione, delle Brigate Rosse e dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Isaia è studente di Architettura a Roma. Anno Domini 1976.
“Ricordo che abitavo con altri studenti a Piazza Vittorio e avevo molti amici nella quartiere San Lorenzo. Una mattina stavo andando da una amica e passai davanti alla bottega di un rivenditore di pellami. Fui rapito subito da quell’ambiente inusuale e fuori dal tempo. Sul bancone c’era un rotolo di cuoio naturale, quello tra il giallo ed il beige per intenderci. Ne fui catturato e chiesi il costo di una pelle. Promisi a me stesso che sarei tornato per prenderla, dato che dovevo prima mettere da parte i soldi”.
I mitici Camperos
Gli anni 70 erano gli anni dei mitici Camperos, uno stivale unisex stile western in cuoio liscio o scamosciato, ed Isaia decise che ne avrebbe realizzato un paio solo per se.“Mia nonna, avendo lavorato spesso con mio nonno, mi diede qualche dritta sul montaggio e sulla costruzione di una scarpa. L’entusiasmo e la voglia di indossare i miei Camperos mi misero le ali ed in tre giorni furono pronti”.
“Non erano certo il massimo della bellezza, ma li avevo fatti io! Con curiosità e molta soddisfazione decisi di indossarli per vedere se fossero anche comodi ma…non entravano!! Il collo del piede non passava, avendo usato forme di scarpe, c’era una strozzatura. Non mi persi d’animo, li disfeci e con la pelle realizzai un altro cult di quel periodo, un tascapane, (la “tolfa” come la chiamavano a Roma). Incominciai ad utilizzarla e qualche amico mi chiese se potessi farne una anche per lui. Cominciò così la mia attività di studente artigiano. Qualche borsa, qualche cintura, portachiavi, fermacapelli ed il giro magicamente si allargò”.
Un buchetto a Frosinone
“A questo punto mi misi alla ricerca di un “buchetto” sul corso di Frosinone che desse più visibilità ai miei prodotti. E maggiore sfogo alle mie creazioni. Il nome del negozio e quindi anche del mio marchio, era Jesael: era il soprannome affibbiatomi in seguito all’uscita della canzone di Ivano Fossati”.
“L’anno successivo, nel 1978, mi trasferii in un negozio più grande. Ero sempre circondato da amici ed uno di questi, operaio in una fabbrica dalla cui monotonia voleva fuggire, mi chiese se ci fosse spazio nel mio progetto per un socio. Lo accolsi a braccia aperte. Franco, somigliava a Robert De Niro e lo chiamavamo Bob. Nacque così la Bob & Jesael. Ero diventato un “autoartigiano”.
Per “calcolare” le mie borse non usavo forme o stampi ma matematica e geometria; disegnavo su un foglio di carta un bozzetto di massima e poi elaboravo forme e misure dei singoli pezzi che la componevano. L’assemblaggio finale era la semplice riprova dell’esattezza dei calcoli. Purtroppo le società sono difficili da gestire, i nostri caratteri erano entrambi forti e poco addomesticabili, così nel 1983 sciogliemmo la società e Bob prese altre strade”.
La cintura ed il mandolino di Bennato
“Al suo posto subentrò un altro amico che lavorava saltuariamente da noi. Gli anni ‘80 furono pieni di soddisfazioni. A Frosinone e provincia eravamo per tutti “La Cintura”, un prodotto per il quale c’era quotidianamente la fila di ragazzi davanti al negozio. Era lo zoccolo duro, il core business dell’attività.
“Vendevamo circa 10.000 cinture ogni anno e poi tascapane, secchielli, zainetti, borse professionali, da viaggio, sedie, sgabelli e custodie per strumenti musicali. Un giorno venne Eugenio Bennato con un mandoloncello, un antico strumento musicale tra la chitarra ed il mandolino per il quale non si trovava una custodia rigida. Ci chiese se fosse possibile realizzarne una….. Nulla era impossibile; ormai il feeling con la pelle e con il cuoio era diventato simbiotico ed il prodotto richiesto fu realizzato nel giro di una settimana, con grandissima reciproca soddisfazione”.
L’onda di reflusso
Arrivano poi gli anni della crisi. Non quella economica. Quella dell’Artigianato. Un’onda di reflusso. Rimpiazzata dalle produzioni in scala, dal pronto, maledetto e subito, senza dover aspettare qualche giorno per avere un pezzo unico fatto con qualità assoluta.
“Dagli inizi degli anni ‘90 l’artigianato avviò il suo calo, ancora inarrestabile. Fu dovuto sicuramente all’incipiente consumismo, e la ricerca del bel prodotto era sostituita dalla ricerca della griffe. Anche il nostro era stato un fenomeno moda, non c’era un ragazzo che non avesse una nostra cintura o altri accessori Bob & Jesael, ma era pur sempre un fenomeno locale. Un marchio importante, invece, era riconoscibile quando andavi al mare, all’università o in una qualsiasi trasferta“.
“Insomma, come per tanti altri prodotti, la massificazione prese il sopravvento.Con il tempo ci trasformammo in attività commerciale, mantenendo soltanto la produzione artigianale di cinture. Gradualmente ci fu un’espansione sia di negozi che di offerta merceologica. Si partì dal punto vendita iniziale, completamente ristrutturato e arredato con vendita di borse ed accessori, per allargare il campo alle calzature e abbigliamento: 4 punti vendita e 7 dipendenti.
L’ultima rinascita
Il destino ha i suoi cicli, i suoi eterni ritorni, crea e disfa per poi ricreare sotto altra forma. E così arriva il nuovo millennio e la storica crisi della finanza, con la sua bolla fatta di investimenti fittizi, pompati da radiers dell’economia.
“ La crisi del 2008 vanificò 30 anni di sacrifici. Ci separammo anche con il secondo socio, che avviò un’attività di Outlet mentre io cercai invano di raddrizzare la situazione, ma poi, raccolti i cocci e presa visione della sua irreversibilità, tornai a fare l’artigiano”.
“Quando sei artigiano dentro, è come quando hai imparato ad andare in bicicletta. L’estro, la creatività, la tenacia sono come lo stare in equilibrio: saranno tuoi per tutta la vita. Una scelta non facile a quasi 60 anni, ma ora ne sono già passati 7, i tempi sono cambiati. Di certo non ti arricchisci; diciamo che sopravvivi come con la maggior parte dei lavori, ma essere rimasto finora a galla, a 65 anni e grazie alle tue mani, credetemi, è un’enorme soddisfazione”.
“I miei figli hanno preso altre strade e ragazzi volenterosi che volessero imparare il mestiere non ce ne sono stati quindi, anche questo, come molti altri, sarà un mestiere destinato a morire. Peccato che lo Stato non preveda alcuna forma di tutela, sovvenzione e soprattutto una scuola che garantisca un ricambio generazionale e la conservazione di questa grande ricchezza che abbiamo”.
Il destino rientrerà in quella cassetta di legno piena di forme lucide e consumate. E attenderà di nuovo che qualcuno vada ad aprirla.