L'inchiesta su Enrico Tiero pone di fronte ad un'evidenza e ad un interrogativo. La vita reale è più sfumata di quanto la teoria giuridica riesca a fotografare. Ma fino a che punto un politico può – e deve – occuparsi delle richieste che gli arrivano dai cittadini?
La premessa è tutta legata alla cronaca. Il presidente della Commissione Sviluppo economico e Attività produttive della Regione Lazio Enrico Tiero (Fratelli d’Italia) è indagato dalla Procura di Latina con l’ipotesi di Corruzione. Con lui risultano iscritti nel registro degli indagati anche l’assessore regionale ai Rifiuti Fabrizio Ghera, il direttore amministrativo dell’ospedale Icot di Latina Roberto Ciceroni, il gestore del supermercato Conad di Latina Maurizio Marasca, due imprenditori del gruppo Cosami ed un terzo imprenditore dei rifiuti.
Tiero si è autosospeso, per lui c’è una richiesta di arresti domiciliari sulla quale il giudice dovrà decidere dopo averlo prima ascoltato. Il consigliere regionale, in una lettera al Coordinatore regionale Paolo Trancassini ed al Coordinatore provinciale Nicola Calandrini conferma di aver chiesto in una telefonata all’imprenditore Marasca se avesse assunzioni da fare nel suo supermercato. Il che lascia aperto un interrogativo: fino a che punto un politico può – e deve – occuparsi delle richieste che gli arrivano dai cittadini?
La questione antica

La questione tocca le fondamenta del rapporto tra rappresentanza e legalità. E riporta alla memoria un episodio poco conosciuto: quando l’allora presidente della Provincia di Frosinone Antonello Iannarilli venne chiamato a spiegare le sue richieste di posti di lavoro per le assunzioni all’interno di Acea Ato5. La risposta fu disarmante, nella sua sincerità: «Embè? Da quando un presidente della Provincia non dovrebbe occuparsi di trovare lavoro per i propri cittadini? Mica gli ho detto che se non creavano posti di lavoro gli negavo qualcosa».
Fu un modo per porre sul tavolo, senza retorica, la tensione che esiste da sempre tra la funzione pubblica e l’aspettativa sociale. Tra l’impegno del politico ed il confine invalicabile del diritto.
Tiero, nel motivare la propria autosospensione da Fratelli d’Italia, ha dichiarato di aver “semplicemente segnalato giovani in difficoltà” ad imprenditori privati, senza mai ricevere nulla in cambio. A suo dire, dunque, nessuna tangente, nessuna minaccia, nessuna contropartita. Un aiuto umano, in un’Italia in cui la disperazione del lavoro – specie nelle province – è ancora moneta quotidiana.
Ma è davvero tutto qui?
Il reato di Corruzione

Il diritto – e in particolare il reato di corruzione per l’esercizio della funzione – ha una sua interpretazione specifica. Anche il solo piegare l’azione pubblica a vantaggio di interessi privati, se sistematico, può diventare reato. È qui che le strade si separano: il Codice Penale non misura l’intenzione morale, ma l’effetto giuridico dell’azione. E l’effetto è: un politico che utilizza il proprio ruolo per attivare assunzioni (anche legittime) in cambio di consenso, tessere o fedeltà.
Dove finisce, allora, l’ascolto e dove comincia la scorciatoia? Esiste un margine, una zona grigia entro cui l’attivismo politico può oscillare senza scivolare nel reato?
La risposta non è semplice. Perché la politica vive del contatto con le persone, e perché la giustizia, giustamente, pretende trasparenza e imparzialità. Ma la vita reale è più sfumata di quanto la teoria giuridica riesca a fotografare.
In fondo, un politico che ignora le richieste dei suoi elettori tradisce il suo mandato. Ma uno che le accoglie senza filtri e senza il rispetto delle regole ne abusa.
La vera domanda

Forse, allora, la vera domanda non è tanto se Tiero o altri abbiano commesso un reato. Questo lo stabiliranno i giudici. La vera domanda è quale spazio lasciamo oggi alla politica per esercitare umanità, mediazione e prossimità, senza trasformare ogni gesto in un atto penalmente rilevante.
Il reato di Abuso d’Ufficio è stato soppresso non perché così i politici ne fossero immuni ma perché oltre il 90% delle indagini si chiudeva con l’assoluzione degli indagati. Che però finivano alla berlina, bruciandone la carriera politica in una assurda selezione della classe dirigente che invece dovrebbe avvenire attraverso lo strumento delle elezioni.
È una domanda scomoda, che però merita una risposta. Non fosse altro perché – come già si intuiva nelle parole di Iannarilli – tra il fare politica e l’essere inquisiti, il confine rischia di diventare ogni giorno più sottile.



