Fenomenologia di un ministro che ha "toppato" sulla Zes ma che riesce a non allarmare troppo l'universo dem: perché è quasi centrista
A fine luglio le cose stavano più o meno così: la Zona Economica Speciale unica del Mezzogiorno aveva preso all’improvviso un saporino agro di “sola”. E le imprese erano salite sugli scudi dopo l’annuncio di una robusta riduzione della percentuale del contributo. Questo con un credito d’imposta che era sceso di diversi punti percentuale e che aveva sostanzialmente vanificato l’appartenenza alla Zes.
Ovviamente il termine “vanificare” è drastico, ma il sugo era che centinaia di imprenditori del sud che erano scattati in avanti a metter su progetti tarati sull’offerta economica originaria si erano ritrovati all’improvviso diacci. E con una folata di freddo dove il sole di solito non batte a meno che il malcapitato non sia nudista.
Ma cosa era successo?
Il duello con Ruffini sulla Zes unica
La solita solfa italiana, l’equivoco perenne in cui nessuno mette in conto il gap tra quanto proclamato e legiferato e quanto si ha in cassa per attuarlo a pieno regime. Le risorse limitate erano andate di frontale con il numero di domande all’Agenzia delle Entrate.
Perciò Raffaele Fitto, che aveva sparato a palle incatenate contro il manager erariale Ernesto Maria Ruffini, era diventato un bersaglio. Ovviamente target il ministro pugliese prossimo a passare Commissario Ue ci era diventato nel “suo” sud. Discorso a parte per le terre dove il Sud si stempera nel Centro, e dove il Centro fa come la Luna con la Terra.
Cioè entra nel campo gravitazionale di Roma e si prende tutto ciò che Roma è su carta ma senza essere Roma nei fatti. Come Ciociaria e Cassinate, ad esempio, che avevano lottato fino alla fine con i loro rappresentanti di rango per entrare in Zes, ma invano. Venimmo briscolati dal Pil della Capitale e dal fatto che quel volume di ricchezza prodotto fa curriculum anche per terre e province che di quel Pil non vedono neanche un bruscolo da pavimento. E tanti saluti a tutti, inclusa Stellantis in pieno debito d’ossigeno che a Piedimonte riaprirà le linee a metà settembre. (Leggi qui:).
Coppotelli che ha capito tutto
Meglio di tutti forse l’aveva messa qualche giorno fa il segretario generale della Cisl Lazio e reggente di quella di Roma Capitale Enrico Coppotelli. Che aveva intuito due cose fondamentali. La prima, che quella del format Zes è comunque un’impalcatura di sostegno importantissima. La seconda: che in assenza della prima è possibile puntare su misure gemelle figlie di legiferati specifici e di scala per le zone contigue al Sud. Zone che Per Coppotelli dovrebbero godere di “misure equivalenti alla Zes”. Misure “per le economie delle province di Latina, Frosinone e Rieti”.
Coppotelli ha memoria storica lunga ed ha fatto una spunta grossa così sotto la voce in calendario di quando finì la Cassa del Mezzogiorno. E da noi ci furono imprese che smantellarono tutto e si lanciarono a capofitto a guadare il Garigliano ed ad attaccarsi alla mammella casertana della Legge Obiettivo 1.
Lo stesso Enzo Altobelli, master and commader di Profima, società di consulenza per lo sviluppo delle piccole e medie imprese, punta sa una Zes regionale. E su un distinguo netto tra i miliardi che Roma Capitale avrà per il Giubileo 2025 e le briciole che toccheranno alle province.
Insomma, tutto sembrerebbe gridare ad un ostracismo tecnico, più che ideologico, nei confronti del Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR. Un po’ è così.
Verso il ruolo di Commissario Ue
Ed il fatto che sia praticamente certa la sua nomina a Commissario europeo di rango dietro input di Giorgia Meloni e con output di Ursula von der Leyen dovrebbe aver messo tossine letali nei denti della galassia prog. Ebbene, pare che non sia proprio così. E per una serie di fattori che, da Bruxelles dove la prospettiva è meno polarizzata fino alla sua Puglia, alla fine stanno facendo del Raffaele di Maglie un vero format bipartisan. Un format inaspettato che perfino nell’areale del Nazareno non ha trovato fanteria d’arresto.
La sfumatura non da poco l’aveva colta per primo Claudio Cerasa sul “suo” Foglio. “Il Pd ha già mezzo digerito la scelta di Meloni. Sulla nomina, ormai semiufficiale, del ministro agli Affari europei come candidato commissario Ue per l’Italia, emergono infatti convergenze inaspettate”.
C’è un preambolo da cui partire se si vuole comprendere bene portata ed incidenza di questo fenomeno: il “fittismo” non è roba da fan, piuttosto da alimentazione per bambini. Nel senso che Fitto appare come un cibo non da gourmet ma estremamente digeribile, per ogni pancia, anche le più delicate. E c’è un altro cardine: Fitto è di Fratelli d’Italia ma ha un pedigree democristiano e poi forzista che ne fanno un “non urlatore”.
Vale a dire che nei suoi confronti scatta sempre quella bonomia sottesa per cui, anche da sinistra, addosso all’ex governatore pugliese ti ci puoi strusciare. E senza incollarti addosso le scorie di uno scomodo ed imbarazzante massimalismo di destra. Un o’ come la “Pepperoni pizza” degli Usa, che tutti guardiamo con sufficienza ma che quando la mangiamo ci sentiamo la botta di sapore.
E per un certo Pd che per oltre un decennio ha combattuto Silvio Berlusconi ma senza mai fucilarlo sul conflitto di interessi quando avrebbe potuto/dovuto, oggi tollerare un Fitto a Bruxelles è cosa abbastanza facile.
L’endorsement pugliese di Decaro
Ci sono poi elementi più contingenti e di sponda che Cerasa illustra non senza una punta di sana malizia. “Il primo avversario a benedire il possibile arrivo di Raffaele Fitto nell’Ue è infatti l’ex sindaco di Bari, Antonio Decaro”. Che ha spiegato al quotidiano dell’Elefantino: “Al netto delle differenze e delle distanze politiche, note a tutti, tra me e Raffaele Fitto, posso dire una cosa”.
E ancora: “Che in questi anni in cui abbiamo lavorato insieme sull’attuazione del Pnrr nei comuni italiani, credo abbiamo dimostrato di saper mettere l’interesse del paese davanti a tutto”. Attenzione, anche Decaro è un dem atipico, oltre ad essere corregionale di Fitto. E questo dimostra che dove ci sono zone grigie e dove pascola la politica senza bollino di certificazione polarizzata vengono meno i presupposti da ring.
La “soluzione all’italiana”
E la “soluzione all’italiana” diventa una cosa facile, oltre che insita nel nostro genio nazionale. Decaro ha proseguito: “Non sono mancati i diverbi, ma entrambi riconoscevamo all’altro la correttezza e l’onestà intellettuale delle reciproche posizioni. Spero di poter continuare a lavorare allo stesso modo nei prossimi mesi in Europa”. C’è un mastice tecnico di cu tener conto forse più che tutti gli altri fattori: Fitto è in dirittura d’arrivo per l’Ue e Decaro è in Ue.
Cioè in un posto dove, al netto dei distinguo di vessillo, si ragiona su piani diversi e spesso convergenti. Decaro ad esempio è “membro supplente della commissione Affari regionali (Regi)”. Cioè “una delle commissioni dell’Eurocamera dove Fitto, se la sua candidatura e il suo portfolio relativo al Pnrr. (A quello) e alla coesione dovessero essere confermati, dovrà affrontare l’audizione degli eurodeputati”.
“Raffaè, guarda che potresti servirmi”
Il senso è che se hai uno dell’altra parte su cui non aleggiano i toni cupi di un post fascismo che non riesce per parte a staccarsi dalla sua mistica hai fatto centro. Centro nel senso di obiettivo e centro nel senso di una direzione-area politica che ad ottobre non lascerà immuni neanche i più sfegatati giannizzeri di Meloni.
E nel nome della quale “Fitto si ritroverà a farsi votare dalle commissioni competenti”. Ed in quella sede “riceverà i voti anche di alcuni partiti, come il Pd. Partiti che di solito descrivono il partito di cui Fitto fa parte, Fratelli d’Italia, come l’incarnazione del demonio in terra”.
Perché ci sono diavoli e diavoli, e alcuni di loro hanno sparso zolfo sulle Zes, ma non ancora su Bruxelles. E forse lì non lo faranno mai, perché da lì l’Italia è più lontana, e magari anche più pratica. Ideale per ogni Raffaele che porti il crisma della mitezza.