Da Posta Fibreno alla Campania: tutti i segnali per cui Matteo Renzi è un leader di vertice che però sui territori ha seminato poco
“Peccato per quei 10/15 amministratori che hanno deciso negli ultimi giorni di non votarmi sollecitati da autorevoli esponenti della nostra lista. Quindi ai trionfalistici annunci di esponenti del Pd voglio dire chiaramente che Italia Viva per questa ipotetica costruzione del campo largo si ferma qui. Dati i modi e i mezzi con cui siamo stati osteggiati”.
La chiosa sembrava una minaccia e, magari, a volerla leggere, pure una minaccia mantenuta: “State sereni, ci divertiremo nel 2024!”. A chi si riferiva Adamo Pantano in quella concitata vigilia di Natale del 2023? Alle elezioni provinciali ultime scorse in punto di Legge Delrio.
Le Provinciali 2023, poi (quasi) più nulla
Quelle nelle quali lui era in lizza con “La Provincia dei Cittadini” ed era risultato tra i “primi non eletti”. Da allora ed in punto di Politica più nulla: l’ex “commissario” provinciale di Italia Viva poi divenuto presidente official a seguito delle dimissioni del cassinate Salvatore Fontana si era concentrato sul suo ruolo di sindaco di Posta Fibreno, ruolo in cui era stato riconfermato a giugno. Ma il dato resta: Pantano, che è statico ma incolpevole perché le rotte non gliele ha date nessuno, è la prova provata di un fatto che vive del riflesso paradossale del leader nazionale.
Quello più mainstream di tutti malgrado numeri da prefisso telefonico del Partito, quello che in Senato fa gli interventi più ficcanti. E che in punto di geopolitica le mette meglio di chiunque.
Italia Viva ma non troppo, specie in Ciociaria
Quello per cui in provincia di Frosinone e un po’ in tutte le province Italia Viva è scomparsa dai radar subito dopo essere apparsa. E qui si innesca un ossimoro grande: quello per cui il partito di Matteo Renzi è tanto (forzosamente) centrale nelle macro dinamiche nazionali e perfino europee quanto evanescente nei territori in cui il sogno centrista avrebbe dovuto attecchire meglio.
Territori come la Ciociaria ed il Cassinate ad esempio, dove l’eredità di una Dc debordante nei suoi anni aurei è stata invece raccolta da Forza Italia. Il sogno centrista di Renzi pare uno di quei fuochi fatui e ballerini che portano via la fiammella del leader rignanese a provare ad incendiare un po’ ogni fienile. Poi tutto va a pompieri e i campi larghi si spezzano, gli struscioni abortiscono e le rotte cambiamo.
Lo fanno man mano che il sogno di Renzi di federare i moderati perde lo shining di operazione massima ed assomiglia più ad un tentativo tutto basico di restare a galla. Perché Italia Viva ormai è così: ha più ciambellani che elettori ed ha più idee che strutture di areale a cui delegarne la compiuta realizzazione. E questo non funziona, evidentemente, anche al netto di Renzi di voler ballare in ogni stanza dove c’è qualcuno che possa anche solo assomigliare ad un collante per il suo progetto.
Le stoccate alla Schlein
Anche se quel qualcuno lo chiamano “Vicienzo” ed è più sceriffo che potenziale copilota, e sta sfidando (di nuovo) Elly Schlein sul terzo mandato da Governatore in Campania. Tanto che a casa sua ha vinto ma non sarà candidato di bandiera, secondo il Nazareno. Fermi tutti abbiamo uno scenario: ma Schlein non era quella che alla partita del Cuore si era presa l’abbraccio figo del Fonzie toscano, quasi a suggellare il tentativo di fare un campo largo che battesse Meloni & co ad ogni fiata d’urna in calendario?
Ruggiero Montenegro non poteva spiegarla meglio su Il Foglio: “Ha fiutato l’aria e sulle macerie del campo largo è pronto a ballare. Matteo Renzi manda stoccate a Elly Schlein, attacca Beppe Sala e soprattutto è sempre più convinto che sia Vincenzo De Luca, il governatore sceriffo della Campania, la figura giusta per fare il federatore dell’area moderata e riformista”.
Tradotto: in Liguria Giuseppe Conte non ce lo ha voluto, Renzi in team, e si è anche permesso di non metterci neanche il suo M5s, nell’equazione, con una micidiale doppietta di autolesionismo che però ha fatto l’interesse in purezza dell’ex premier pentastellato. Che si è patentato, sia pur in negativo, nella più cardinale delle funzioni, quella che a Renzi piace più di tutti. La funzione di essere determinante.
Federare i centristi, mica facile
Vero è che Renzi oggi può vestire i panni di quello che lo dice da una vita che federare i centristi e metterli a traino dei dem è il solo modo per battere il destracentro. Tuttavia il suo spazzare di radar il panorama politico italiano in cerca di sparring che non abbiano, come la Schlein, chi storce il naso in casa per certe strusciate ha il tono di una radbomantica ossessione. Il dato è che oggi Renzi fa la parte del deluso da Schlein ma sa benissimo che è con lei che deve stare.
Perciò la fa incazzare giusto un po’ andandosi a strofinare addosso all’avversario più inside e più avversario di tutti della segretaria: De Luca. Ha “deciso di rimescolare la carte, pensare a un’altra strategia. E’ tornato a evocare il mondo cattolico, quello che in fondo non hai mai del tutto digerito la leader dem. E’ in quella vasta area sempre in cerca di rappresentanza che secondo il senatore di Rignano bisogna pescare il nuovo padre del campo largo”.
Il voto in Emilia Romagna
Nulla di nuovo, per carità, anzi, il format è stantio, ma è rinvigorito dall’imminente voto in Emilia Romagna. In lettura del quale Renzi fa il fratello maggiore più saggio che idrofobo. “E’ inutile avere il 29 per cento se poi si perdono le elezioni per un pugno di voti. Schlein ha indicato la strada giusta: basta veti. Poi però lei per prima non è stata in grado di tenere la posizione”.
E se la linea di Italia Viva non cambia e resta quella della strada senza escludere adesso sotto la voce “includere” ci ha messo anche la Nemesi si Schlein. Così, giusto per ricordarle che se sei leader o comandi o chi sa comandare meglio di te si becca il bonus. E qui scatta il paradosso che nei territori però conduce ad un altro lessico: quello della mancanza di strutture per supportare questi cambi/aggiustamenti di rotta.
“Vicienzo” che non ripudiò il Jobs Act
La sponda riformista del Nazareno di certo ne esce ringalluzzita. Tuttavia dietro i duelli di Renzi con Beppe Sala e le assonanze con De Luca che non votò per l’abolizione del Jobs act “promosso dalla Cgil (e sostenuto da Schlein)” c’è il vuoto territoriale. Anche al netto dell’invito del governatore campano al senatore fiorentino “per una iniziativa contro l’Autonomia organizzata proprio nella sede del Consiglio regionale”.
Il senso è che il riformismo oggi è la vera rivoluzione, ma ha bisogno di truppe oltre che di generali asserragliati attorno ai tavoli con le mappe e le bandierine. E mentre Renzi si sceglie il suo prossimo cavallo cui cui puntare dietro di lui c’è un… Pantano: che attende ordini.
O magari il momento buono per mollare un leader col torcicollo.